FOCUS – Juventus-Inter, il timore reverenziale e la sfacciataggine di tentare il colpaccio
Juventus-Inter, analisi di un pareggio coraggioso.
Un pareggio che non serve a nessuno. Dal punto di vista meramente dei risultati e della classifica l’esito del match di Torino offre solo e soltanto questo tipo di commento. Purtroppo lo sappiamo, all’Inter serve l’ormai celeberrimo filotto di vittorie consecutive per poter rinvigorire una classifica che, nonostante netti miglioramenti nel gioco, consegna pur sempre alla Beneamata il primato nella colonna di destra (per non dire 11° posto). Con 22 punti conquistati in 17 partite, per l’Internazionale il gradino più basso del podio è distante 8 lunghezze e 8 squadre. Ma finchè la classifica resterà così com’è ora, sarà inutile continuare a fare conti e, probabilmente, converrà considerare quanto visto in campo per consolarsi. Già, la classifica dice una cosa, il campo un’altra. Come ieri sera, ad esempio, quando un’Inter sprecona ha sciupato la possibilità di espugnare lo Stadium, ma soprattutto ha perso l’occasione per battere una squadra che ci guarda da 18 punti più in alto. Il gap vistoso emerso nei primi 45′ è stato dignitosamente e sfacciatamente eliminato nella seconda frazione di gara, in cui l’undici di Mancini ha dato tanto filo da torcere alla Vecchia Signora, mettendola alle corde prima e lottando per mantenere il risultato in inferiorità numerica poi. 1 punto guadagnato o 2 punti persi? Chiaro che se andiamo a vedere di quanti cm è uscita la palla colpita in spaccata da Icardi bisognerebbe solo mangiarsi le mani. Ma l’Inter non è ancora una grande squadra, che sa ammazzare l’avversario e sfruttare la prima occasione per metterlo KO. Qui il Mancio avrà tanto da lavorare, perchè se finalizzassimo quanto prodotto, probabilmente staremmo parlando di un’altra cosa adesso. Se, invece, andiamo a considerare la differenza di livello tecnico con la Juventus e il primo tempo spaventoso (nell’accezione negativa del termine) da parte dei nostri ragazzi, allora dobbiamo essere fieri e orgogliosi di aver portato a casa con le unghie e con i denti un punto da uno stadio quasi inviolabile e contro una squadra oggettivamente a tratti padrona del campo. Ma Roberto Mancini è un vincente e come tale non può accontentarsi di un pareggio, visto quanto i suoi nuovi ragazzi hanno appreso in meno di due mesi di lavoro insieme. Un lavoro rivolto anche alla testa, perchè il tecnico sta cercando di imprimere nella sua creatura e nei tifosi la convinzione che l‘Inter può e ha l’obbligo di giocarsela con chiunque, per la storia del club. Ma il mister, che non ha la bacchetta magica, ha ammesso senza alcun tipo di problema che i campionati non si vincono senza grandi giocatori; quindi l’entusiasmo e il blasone non potranno essere sempre le uniche armi della Benemata: serve qualità. Qualità che si è palesata al minuto 54 del match, quando uno spavaldo Lukas Podolski, in teoria l’ultimo arrivato ma in pratica non esattamente così, è entrato in partita con un impatto e una cattiveria agonistica che solo un campione del mondo sa di avere. Qualità che il tecnico di Jesi spera di incrementare con l’arrivo di Shaqiri, un giocatore che gli permetterebbe, finalmente, di mostrare un 4-2-3-1 con tutti gli uomini ai propri posti. Molti, forse, presi giustamente dalla sofferenza per il risultato ancora in bilico, non avranno dato tanta importanza ad una situazione di gioco che all’Inter non si vedeva da almeno un anno e mezzo: al minuto 85, l’Inter aveva in campo Icardi, Podolski, Kovacic, Osvaldo, quest’ultimo appena entrato al posto di Hernanes. Qui si vede il cambiamento di mentalità: mancano 5′ alla fine, stai conquistando 1 punto in casa della prima in classifica. Il predecessore di RM probabilmente avrebbe giocato con 6-7 difensori per portare a casa un pareggio che, bello e buono quanto volete, come dicevamo prima, in classifica serve a poco. Invece il Mancio prova a giocarsi le sue carte con una formazione superoffensiva perchè, anche se 1 punto è sicuramente meglio di zero, la possibilità di strappare una vittoria del genere contro la prima della classe è un’occasione ghiotta, è nelle corde della squadra che lui vuole costruire. Dall’arrivo di Mancini, l’Inter ha conquistato 6 punti in 6 partite. Pochi, ma pur sempre da contestualizzare. Infatti, siamo usciti imbattuti da sfide con la capolista, la terza e nel derby, abbiamo perso dopo aver lottato con la Roma. L’unico blackout è stato quello con l’Udinese. Ma abbiamo visto così tanti scempi quest’anno che non sarà una sconfitta a farci paura. Bisogna dare tempo al mister e, soprattutto, bisogna fare i conti solo alla fine, solo quando la rosa sarà stata oggettivamente rinforzata secondo le convinzioni del Mancio e, in questo senso, la strada intrapresa con l’affare Podolski lascia ben sperare. Anche qui si denota un certo cambiamento: l’Inter non ha tempo di puntare sulle scommesse o su giocatori leader in squadre di mezza classifica. All’Inter servono giocatori forti, in grado di far girare la partita, più o meno come ha fatto Podolski ieri sera col suo ingresso. E Roberto Mancini, che non è solo un allenatore, ma un manager, sa come arrivare e da chi arrivare anche con una situazione economica in rosso come la nostra. Resta il fatto che l’Inter che vuole diventare grande squadra non può concedere con tutta facilità un tempo all’avversario, non è possibile vedere il timore reverenziale in campo al cospetto di una squadra che, nonostante sia la più forte, resta sempre la nostra più spregevole nemica. E allora, al di là dei limiti tecnici dei singoli, visto che tutti ormai conosciamo le criticità della nostra squadra, chi indossa la maglia nerazzurra deve essere in campo sempre concentrato al 100%, figuriamoci quando di fronte ci sono i nostri avversari storici, perchè non ci sarà sempre Samir Handanovic a salvare la situazione e non può uscire il carattere di questa squadra solo dopo i rimbrotti nell’intervallo. Cosa dire, infine, della diatriba Icardi-Osvaldo? Come sempre, cerchiamo di guardare l’episodio da diverse angolazioni: giusto incavolarsi per un errore madornale di Icardi, ma non come ha fatto Osvaldo. Si sbaglia, si fa bene ma la prima cosa che contraddistingue una grande squadra è che tutti remano nella stessa direzione. E, in fin dei conti, la rabbia di Osvaldo può essere giustificata proprio così: l’Inter, con l’avvento di Mancini, ha preso coscienza delle proprie potenzialità e un’arrabbiatura del genere può essere letta anche come l’aver compreso che mancava davvero poco per abbattere quel grande muro chiamato Juventus e conquistare un risultato su cui quasi nessuno avrebbe puntato un euro alla vigilia. Nel complesso, segnali positivi. Ora più che mai, pedalare tanto, con entusiasmo e con un occhio al mercato. Forza Inter, sempre! di Giuseppe Santangelo Follow @PeppeSantangelo