27 Dicembre 2014

ESCLUSIVA: Pippo Russo: “Vi racconto la verità sul lato oscuro dell’economia del calcio”

Il calcio, lo sport più bello del mondo. O almeno così avremmo detto fino a qualche anno fa. Adesso potremmo definirlo principalmente come un settore dell’economia mondiale, nella quale investire e guadagnare grandi capitali. E come in qualsiasi altro settore altamente redditizio c’è sempre chi, attraverso tutti i possibili escamotage, leciti o meno, è riuscito ad avere il pieno controllo di un’economia ‘parallela’ al mondo del calcio. Procuratori, magnati e spregiudicati uomini d’affari che movimentano decine di milioni speculando su contratti e sponsorizzazioni.

La redazione di PassioneInter.com ha avuto l’onore e il piacere di parlarne con Pippo Russo, saggista, giornalista e docente di sociologia all’Università di Firenze che, attraverso un’indagine meticolosa e affascinante, ha analizzato gli intrecci dell’economia grigia che sta avvelenando lo sport più amato, mettendo tutto nero su bianco nel suo libro Gol di rapina. Il lato oscuro del calcio globale, edizioni Clichy.

Sig. Russo, come nasce l’idea del suo libro “Gol di rapina”?

L’interesse per il tema dell’economia parallela del calcio globale (fondi d’investimento, third party ownership) è iniziato intorno a settembre del 2006, quando vennero resi noti i dettagli del trasferimento di Carlos Tevez e Javier Mascherano dal Corinthians al West Ham. Di per sé era già un trasferimento anomalo, perché si trattava di due calciatori d’alto livello nonché reduci da un buon Mondiale in Germania. Anziché andare a un club dell’élite europea finirono in un club da sempre di modesta levatura in Inghilterra, costantemente in bilico fra prima e seconda divisione. Per dare un’idea, è come se in Italia i due fossero andati al Chievo o al Cesena. Ma l’anomalia più grande fu la formula del trasferimento. I due calciatori non erano stati acquistati dal West Ham né ceduti dal Corinthians. Piuttosto, erano stati dati “in affitto” da un fondo d’investimento chiamato Media Sport Investments (MSI), con sede legale presso le Isole Vergini Britanniche, noto paradiso fiscale. Era il fondo d’investimento a controllare i due giocatori. La MSI aveva come figura di riferimento un signore anglo-canadese nato in Iran: Kia Joorabchian. Costui continua a essere definito “l’agente di Tevez”, quando in realtà non ha nemmeno i titoli per esercitare la professione di agente e ne fa pure un vanto. Joorabchian è amico di molti personaggi di spicco del calcio europeo. Fra questi c’è il geometra Adriano Galliani, a cui Joorabchian ha rifilato bidoni del calibro di Alex e Taarabt. E’ proprio dal caso di Tevez e Mascherano che parte il mio libro “Gol di rapina”.

Cosa si intende precisamente per economia parallela del calcio e come opera?

Quella che io chiamo “economia parallela del calcio globale” è un sistema che sfrutta il calcio come un campo puramente finanziario. Questo sistema è composto sia da attori che lavorano con e dentro il calcio, sia da attori della finanza a caccia di opportunità d’investimento. Il carattere parallelo di quest’economia sta nel realizzare interessi attraverso il calcio. Un esempio di questo tipo sta nell’azione dei fondi d’investimento. Essi, è vero, iniettano nel mondo del calcio risorse finanziarie. Ma lo fanno non allo scopo di raggiungere risultati sportivi, né di sviluppare il movimento, né men che meno di produrre valore sociale. Lo fanno per produrre ulteriore valore finanziario. Il calcio è soltanto una macchina per far incrementare il capitale investito. Ma poi quel denaro viene riportato fuori per essere redistribuito agli investitori. Questo è uno dei motivi per cui parlo di economia parallela. L’altro motivo per cui uso questa etichetta sta nel fatto che vengono creati dei cartelli d’interesse che condizionano il mercato dei calciatori, movimentando questi ultimi per ragioni che non sono tecniche ma finanziarie. Ci sono calciatori che cambiano club di continuo, e questo indipendentemente da ciò che hanno fatto o non fatto nei club precedenti. Possono essere calciatori d’alto livello che vengono movimentati perché più circolano e più muovono denaro. O possono essere calciatori mediocri e persino scadenti che però un club lo trovano sempre grazie al fatto d’appartenere alla cordata giusta. Anche questa è un’economia parallela, perché il valore finanziario che produce non è legato al merito acquisito attraverso le performance sui campi da gioco, ma agli interessi di attori capaci di condizionare e persino interdire l’operato dei club.

Come si può espandere questo sistema nel calcio italiano e quali ripercussioni può avere?

Per rispondere a questa domanda devo fare un ragionamento un po’ lungo e certamente complesso, ma indispensabile. E questo ragionamento riguarda l’attuale posizione occupata dal calcio italiano nel sistema globale, la sua competitività agonistica e commerciale. Il calcio italiano si trova attualmente in una posizione di grande fragilità dentro questo sistema. La perdita di competitività internazionale dei suoi club non è misurabile soltanto attraverso gli scarsi risultati o l’indebolimento economico. Ci sono altri elementi a segnalare questa fragilità. L’èlite dei club europei, quelli capaci di associare fattori come la tradizione, la forza economica e politica, e il valore sportivo, si è sempre più ristretta. In questo momento il gruppo e formato dal quartetto inglese (Arsenal, Chelsea e i due Manchester, col Liverpool che sta provando a rientrare nella cerchia dopo aver attraversato un momento di crisi), dal Bayern Monaco, dal Paris-Saint Germain, da Barcellona e Real Madrid. Questo è il gruppo dei club che hanno abbastanza forza economica per trattare alla pari con gli attori dell’economia parallela, e in qualche caso ne sono alleati: per esempio il Chelsea e i due Manchester. Poi c’è un gruppo di club di seconda fascia, quelli che dagli attori dell’economia parallela vengono tenuti in piedi e ne subiscono gli indirizzi in misura più o meno diretta: l’Atletico Madrid, il Valencia, il Siviglia, il Besiktas, l’Olympiakos Pireo, il PSV Eindhoven, il trio delle big portoghesi (Benfica, Porto e Sporting Lisbona), e di recente il Monaco. Quest’ultimo è un caso originale: per un breve periodo aveva provato a far parte del primo gruppo grazie all’esagerata capacità di spesa del suo proprietario, l’oligarca russo Dimitri Rybolovlyev. Ma alla fine della scorsa stagione si è avuta una brusca inversione di tendenza, anche a causa del minore potere di spesa da parte di Rybolovlyev determinato dalle conseguenze finanziarie di un rovinoso divorzio, e ciò ha portato il Monaco nella seconda fascia di questo sistema. Il club del Principato rimane comunque un circolo privato di Jorge Mendes, il superagente che è al giorno d?oggi l’uomo di calcio più potente al mondo. Adesso in Francia il Monaco s’avvia a essere scalzato dal Marsiglia come club molto vicino agli attori dell’economia parallela. Ci sono anche importatnti club russi come lo Zenit San Pietroburgo e la Dinamo Mosca, che fino a qualche tempo fa potevano competere per forza economica coi club di prima fascia ma adesso risentono della crisi del rublo. Per questo vanno collocati nella seconda fascia, pur non essendo del tutto supini ai voleri degli attori dell’economia parallela. E poi c’è la terza fascia, formata dalla vasta schiera di club minori che non hanno nessun potere negoziale nei confronti degli attori dell’economia parallela: penso ai rumeni del Cluj Napoca (club che non a caso ha una vasta colonia di calciatori portoghesi), allo Sporting Braga e al Rio Ave che in Portogallo sono delle dependance di Jorge Mendes, a club dell’est Europa come il Partizan Belgrado, la Dinamo Zagabria, a tutti i principali club sudamericani che ormai sono strangolati dai fondi d’investimento. Per loro è già tanto essere presi in considerazione. Se si guarda alla realtà italiana si scopre come i grandi club, quelli che un tempo appartenevano all’élite europea o lottavano per entrarci, si trovino adesso schiacciati fra la prima e la seconda fascia. Senza essere pienamente né dentro l’una né dentro l’altra. Un tempo l’Inter, la Juventus e il Milan erano club fondatori della lobby del G-14, quella che sventolava la minaccia della Superlega Europea e costringeva l’Uefa a partorire quest’orrenda versione della Champions League (con le federazioni più forti che possono arrivare a allineare fini a quattro club nella fase a gironi) in luogo della vecchia Coppa dei Campioni. E a quella lobby aspirava a accedere la Roma, così come al giorno d’oggi aspirerebbe a entrarci il Napoli. Adesso i tre club italiani fondatori del G-14 arrancano o finiscono in retrovia. Le milanesi, addirittura, collezionano assenze dalla Champions League. Di sicuro i tre club in questione non sono lì dove vengono prese le decisioni che contano. Casomai fanno anticamera e approvano scelte fatte da altri. E quanto sia ormai gregario il ruolo dei club italiani di prima fascia è dimostrato dalle due ultime sessioni del calciomercato, quella estiva 2014 e quella invernale in corso. I club italiani che dovrebbero guidare il movimento hanno preso esuberi dei club europei di prima fascia. L’Inter ha preso in estate Vidic dal Manchester United, e poi in inverno Podolski dall’Arsenal e Shaqiri dal Bayern Monaco. La Juventus ha preso Evra dal Manchester United, e ora potrebbe prendere Cavani dal Paris-Saint Germain o Falcao dal Manchester United. La Roma ha preso Cole dal Chelsea. Il Milan ha addirittura esagerato: Alex dal Paris-Saint Germain, Diego Lopez dal Real Madrid, Torres e Van Ginkel dal Chelsea. Il rendimento in campo di quasi tutti costoro (lasciando da parte i due interisti arrivati a gennaio, per i quali non si può ancora esprimere un giudizio) oscilla fra il mediocre e lo scadente. Torres è stato addirittura già mandato via per avere in cambio un esubero di un club di seconda fascia, Cerci dall’Atletico Madrid. Questa lunga premessa è stata fatta per dire che il calcio italiano vive un momento di profonda crisi, e che questa crisi colpisce innanzitutto il suo profilo sul piano internazionale. I campionati nazionali si distinguono fra campionati prevalentemente formatori di talenti e campionati prevalentemente reclutatori. Il campionato italiano ha smesso da anni di formare talenti italiani, ma per lungo tempo è stato uno di quelli più importanti sul piano del reclutamento perché in Italia passavano i migliori calciatori del mondo. Adesso invece il nostro è un campionato in cui si fa reclutamento di seconde e terze scelte sul mercato internazionale. Una situazione tristissima. Per rendere l’idea, faccio una lista di nomi e delle squadre per cui sono o sono stati in forza fino all’apertura del calciomercato invernale: Edimar, Kupisz e Mangani del Chievo; Caio Rangel del Cagliari; Aguirre e Zielinski dell’Empoli; Octavio, Brillante, Marin e Badelj della Fiorentina; Mussis del Genoa; Novaretti e Pereirinha della Lazio; Bamba e Makyenok del Palermo; Sanabria, Paredes, Emanuelson e Uçan della Roma; Djordjevic e Campa?a della Sampdoria; Gaston Silva e Ruben Perez del Torino; Wague, Riera e Hallberg dell’Udinese; e Luna del Verona. Quanti fra costoro ricordate d’aver visto giocare? Ebbene, anche questi sono i giocatori che al giorno d’oggi vengono reclutati dal nostro campionato. Calciatori che in molti casi vanno via senza aver mai messo piede in campo. Perché arrivano? Un campionato così impoverito economicamente e tecnicamente, ma che nonostante tutto conserva una tradizione e un elevato potenziale di rigenerazione, è un terreno di caccia privilegiato per gli attori dell’economia parallela del calcio globale. E di fatto lo è diventato, anche se si cerca di non darlo a vedere.

Doyen Sports e Jorge Mendes: possono mettere le mani anche nel calcio nostrano e che ruolo possono avere?

Le mani di Doyen e Mendes sono già ben salde sul calcio italiano. Il fondo d’investimento con sede legale a Malta ha effettuato prima uno sbarco ufficioso e poi uno ufficiale nel calcio italiano. Quello ufficioso è avvenuto a luglio 2013, in una circostanza della quale i giornali italiani parlarono poco e nel modo sbagliato. In quell’occasione si diedero appuntamento a Taormina alcuni alti dirigenti del calcio italiano e un ospite straniero di rilievo. A fare gli onori di casa erano il presidente e proprietario del Catania, Nino Pulvirenti (quello del fallimento della compagnia aerea Wind Jet, detto a beneficio di chi avesse dimenticato), che fra l’altro mise a disposizione la location dato che l’incontro si tenne in un hotel di sua proprietà, e Pablo Cosentino. Quest’ultimo è un personaggio che va ben inquadrato. Si tratta di un argentino che fino a giugno 2013 faceva l’agente di calciatori. Cioè fino a prima di assumere la carica di vicepresidente del Catania, un club pieno di calciatori argentini, guarda caso. Assumendo la vicepresidenza del club, e per allontanare l’accusa di conflitto d’interesi, Cosentino rimise la licenza da agente Fifa e cedette la sua agenzia “Cosentino Sport”. A chi? Al fratello Fernando. No comment. In breve tempo Cosentino è diventato plenipotenziario al Catania, col presidente e proprietario Pulvirenti sempre più defilato. Da vicepresidente del club, nella stagione 2013-14, ottiene una retrocessione dopo 8 anni consecutivi di A guadagnati e consolidati da altri. A giugno 2014, anziché essere cacciato come accadrebbe a qualunque manager di azienda privata dopo aver ottenuto risultati così catastrofici, viene promosso amministratore delegato. Cioè un ruolo dirigenziale più importante, dato che la precedente carica di vicepresidente può anche avere un valore esclusivamente simbolico. E da amministratore delegato, in associazione con la Gea di Alessandro Moggi che a Catania ha messo radici, porta il Catania a concludere il girone d’andata in B al terzultimo posto nella stagione in corso. Un genio. A ogni modo, torniamo a quel luglio 2013 quando il Catania era saldamente in A (aveva sfiorato la qualificazione in Europa League) e Pablo Cosentino non aveva ancora avuto il tempo di mostrare al mondo il suo talento da dirigente. Come ospiti dei due anfitrioni catanesi si presentarono Adriano Galliani, Claudio Lotito, Enrico Preziosi, e soprattutto Nelio Lucas. Costui è un manager portoghese che riveste un ruolo ben preciso: è l’amministratore delegato di Doyen Sport Investments. Di cosa credete che abbiano parlato questi signori durante un weekend nella splendida estate sicula? Di sicuro c’è che i media italiani parlarono in modo totalmente errato di quel meeting. I personaggi presenti vennero descritti come se fossero intenti a godersi qualche giorno di relax. Ricordo che il sito web della Gazzetta dello Sport pubblicò un’immagine raccapricciante, di quelle da non mostrare ai bambini: il geometra Adriano Galliani che faceva il morto in piscina. Così veniva raccontato in Italia il meeting di Taormina. Invece la stessa notizia, sui siti web spagnoli, veniva trattata da titoli come: “Il calcio italiano apre ai fondi d’investimento”. Lo sbarco ufficiale di Doyen è avvenuto invece a maggio 2014, quando lo stesso Nelio Lucas rilasciò un’intervista al Sole-24 Ore per annunciare che il fondo era pronto a investire 200 milioni nel calcio italiano. Aggiungo che un annuncio analogo è stato dato a dicembre 2014 da Lucas a proposito del calcio francese, durante un’intervista rilasciata al settimanale economico Challenges. Quanto a Jorge Mendes, è in questo momento l’uomo più potente del calcio mondiale. Lui non intermedia il mercato: lui il mercato lo fa. Muove calciatori per un valore di centinaia di milioni a stagione. È alleato di Doyen ma gioca anche su tutti i tavoli possibili e questo probabilmente lo porterà, alla lunga, a rompere col fondo maltese. Fra l’altro Mendes ha nella propria scuderia un buon numero di allenatori, cioè coloro che richiedono ai presidenti i calciatori da acquisire. E quelle richieste riguardano spesso calciatori assistiti da Mendes o provenienti da club vicini a Mendes. Da interisti ricorderete bene l’acquisto di Quaresma, l’osceno Trivela, voluto da Mourinho. Venticinque milioni buttati nel water per un calciatore assisitito da Mendes e richiesto da un allenatore anch’egli assistito da Mendes. E proprio qui sta il punto: in Italia il superagente portoghese piazza mezze figure o calciatori a fine carriera. Helder Postiga e Pereirinha alla Lazio, Anderson sei mesi alla Fiorentina durante la scorsa stagione, e addirittura il penoso Hugo Almeida al Cesena. Anche Doyen ha piazzato alcuni dei suoi in Italia: Felipe Anderson alla Lazio, Alvaro Morata alla Juventus, il carneade Ruben Perez al Torino rientrato nell’affare che in estate portò Cerci all’Atletico Madrid. In generale, riguardo all’azione dei fondi d’investimento nel mercato italiano dei calciatori, segnalo alcuni nomi sui quali il discorso va approfondito: Maxime Lestienne del Genoa, Carlos Carbonero del Cesena e Kevin Mendez del Perugia (questi due entrambi in prestito dalla Roma), e soprattutto Joaquin Correa neo-acquisto della Sampdoria. Probabile che su quest’ultimo, fra qualche settimana, ci sia una storia da raccontare.

Una realtà in difficoltà economica come l’Inter può essere impattata da questo circuito?

Il caso di Quaresma, ma anche quello di Alvaro Pereira, dimostrano che l‘Inter dentro questo circuito c’è già da tempo. Gli affari con i grandi broker oligopolisti del calcio globale non sono una novità, né per l’Inter né per gli altri club italiani d’élite. In questo momento di difficoltà il grande rischio per l’Inter è quello di prestarsi a realizzare affari su calciatori dal valore discutibile. E in questo senso inviterei a fare attenzione non tanto alle transazioni su quei giocatori che si prendono i titoli dei giornali e muovono cifre rilevanti, quanto a quelle su calciatori poco noti e realizzati su cifre relativamente basse. Faccio un esempio. Nella stagiome 2013-14 l’Inter acquisì dal Chelsea il brasiliano Wallace. Il sito Transfermarkt parla di 1,5 milioni per il prestito. Qualcuno di voi ricorda quanto ha giocato Wallace all’Inter? Vi rinfresco io la memoria: tre spezzoni di gara in campionato per complessivi 40 minuti, più una partita intera in Coppa Italia contro il Trapani. A fine stagione è stato restituito al Chelsea, che lo ha immediatamente girato agli olandesi del Vitesse Arnhem. Quest’ultimo è un club satellite del Chelsea, e questa partnership è finita a aprile 2014 sotto inchiesta da parte della federcalcio olandese. Il caso è scoppiato in seguito a una denuncia dell’ex propritario del Vitesse, Merab Jordania, un imprenditore georgiano e ex calciatore. Jordania aveva acquistato il club nel 2010, e venne subito indicato come un prestanome di Roman Abramovich. Di sicuro, stando a quanto facevano notare alcuni commentatori nei giorni in cui Jordania acquistò il pacchetto di maggioranza del Vitesse, il suo lavoro da mediatore di calciatori e di diritti televisivi sul calcio non gli garantiva una forza economica sufficiente a rilevare un club in Olanda. A ogni modo, dopo l’arrivo di Jordania il Vitesse è diventato una colonia per giovani calciatori del Chelsea e un club-ponte da cui far transitare calciatori d?interesse dei Blues. E nel 2013 il club è passato un?altra volta di mano. Lo ha acquistato Alexander Chigirinsky, altro ricchissimo uomo d?affari russo amico di Abramovich. Jordania non deve averla presa bene, se è vero che a fine marzo del 2014 ha fatto una strana denuncia: secondo lui, a partire da un certo momento della stagione, il Vitesse ha preso a perdere apposta per allontanarsi dalla testa della classifica. Non si sa se le accuse rispondano a verità, ma di sicuro fra il girone d?andata e quello di ritorno la squadra giallonera ha avuto un calo clamoroso di rendimento. La federcalcio olandese ha chiesto chiarimenti a Jordania, ma poi del caso non si è saputo più nulla. Adesso l’ex proprietario del Vitesse è proprietario e presidente del La Valletta, a Malta. Tornando all’Inter e a Wallace, il club nerazzurro è entrato in questo giro. Perché l’ha fatto? Sarebbe bello avere una risposta. Di sicuro c’è che, prendendo per buone le informazioni di Transfermarkt, il prestito di una stagione del calciatore brasiliano è costato 1,5 milioni. Una cifra che rispetto a quelle esorbitanti di cui si sente parlare a proposito dei grandi affari sembra poca cosa. Ma che non lo è se viene presa a sé, e soprattutto se la si mette in relazione con l’utilizzo del calciatore. Dividete il milione e mezzo del costo per i 130 minuti complessivi giocati da Wallace fra campionato e Coppa Italia. Viene fuori che questo scherzetto è costato all’Inter 11.538 euro al minuto. È anche grazie a sciaguratezze del genere che ora il club si trova sotto ispezione per violazione delle norme sul Fair Play Finanziario.

Quali provvedimenti bisogna mettere in campo per contrastare questo fenomeno?

Il provvedimento più semplice sarebbe quello di mettere al bando le TPO, come la Fifa ha già annunciato. Ma passare dalla teoria alla pratica è molto difficile. Per esempio, una delle ipotesi avanzate è quella di fermare i calciatori che si trovino in una situazione contrattuale che li vede sotto il controllo di una TPO. Ma questa ipotesi fa insorgere, e con ragione, le associazioni dei calciatori. Da loro viene l’obiezione che in questo modo vengono a essere puniti soltanto i giocatori, che sovente sono il soggetto debole di queste transazioni e dunque sarebbero penalizzati due volte. A me piacerebbe vedere arrivare il giorno in cui i club si dessero un?autoregolamentazione e decidessero di dire basta agli affari con le TPO; ma so che anche questa è un?utopia. E allora si potrebbe prendere in considerazione una misura sulla cui fattibilità bisognerebbe consultare i giuristi, ma che andrebbe tenuta in considerazione: tassare in modo pesantissimo le transazione e le rendite da TPO. Dato che stiamo parlando di rendite finanziarie, e fino a che non arriverà il momento in cui si troverà la formula per cacciare le TPO fuori dal calcio, si faccia in modo di rendere finanziariamente non convenienti le transazioni con e delle TPO.

In base alla sua conoscenza ed esperienza nel settore, che tipo di scenario si aspetta di vedere nei prossimi dieci anni?

Purtroppo sono pessimista. Il processo di colonizzazione è andato troppo avanti, e se anche il provvedimento di messa al bando delle TPO da parte della Fifa dovesse andare fino in fondo si tratterebbe di una mossa ormai inefficace. I fondi e gli investitori privati si sono già attrezzati, o lo stanno facendo, comprando piccoli club in Sudamerica o in Europa attraverso i quali far transitare i calciatori e realizzare transazioni finanziarie intermedie che stornano denaro. È il collaudato metodo sudamericano delle triangolazioni di cui parlo in ?Gol di rapina?. In Uruguay e Cile c’è una rete di club che acquisiscono e rivendono calciatori argentini o brasiliani senza vederli mai passare dai propri ranghi. E in questa rete c’era pure un club ticinese, il Locarno. Ebbene, di recente alcuni attori dell’economia parallela del calcio globale hanno fatto o stanno facendo shopping di club. Gustavo Mascardi ha comprato l’Alcobendas in Spagna, il padre di Neymar e l’agente Wagner Ribeiro hanno acquisito il controllo dell’Uberlandia Esporte Clube in Brasile, il mediatore di calciatori peruviano Pablo Bentancur ha comprato da Enrico Preziosi il 40% del Lugano, nella B portoghese il Leixoes è finito nelle mani di un gruppo brasiliano chiamato J Winners ma dietro il quale ci sarebbero investitori europei, e anche l’Olhanense è da due stagioni nelle mani di un gruppo italo-portoghese, con risultati sportivi penosi (una retrocessione dalla A e adesso un cammino mediocre). Temo che questo shopping continui, ma vedo soprattutto la prospettiva che i grandi club europei rispolverino la vecchia idea della Superlega Europea auto-organizzata. Un torneo nel quale, fra l’altro, le TPO avrebbero libera cittadinanza. Forse quest?ultima è una prospettiva troppo radicale, ma non mi sorprenderebbe vederla realizzare. 

Per concludere, quanto una squadra opera in realtà sul mercato per coprire reali esigenze tecniche e quanto invece le sue mosse sono dettate dai giri economico/finanziari di cui abbiamo parlato?

Oggi le mosse di mercato sono dettate innanzitutto da giri economico-finanziari, e soltanto in secondo luogo da esigenze tecniche.

di Mauro Cossu

La redazione di Passioneinter.com ringrazia il signor Russo per la disponibilità e la cortesia mostrata durante l’intervista. Per la riproduzione anche parziale dell’intervista citare la fonte.

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