5 Agosto 2013

Inter-Valencia, analisi di un naufragio: niente drammi ma…

E’ solo calcio d’Agosto, d’accordo, ma i quattro manotazos in salsa valenciana fanno tremendamente male: al netto di una condizione atletica ancora in embrione e della laboriosa digestione che gli schemi del nuovo allenatore impongono, l’Inter esce con le ossa rotte dal confronto di New York e si interroga sulle immediate contromisure da adottare per non incorrere in ulteriori figure barbine che in campo internazionale inficiano soprattutto sull’immagine di un club che, comunque la si voglia mettere, solo tre anni fa occupava il gradino più alto del podio planetario.

Giochiamo allora a carte scoperte, alla ricerca dei fattori più salienti che il confronto di New York lascia nei pensieri e nelle speranze coltivate sotto l’ombrellone:

LINEA MAGINOT – La difesa orfana del carisma di Hugo Campagnaro si è squagliata sul piano psicologico prima ancora che sul piano fisico. Per inquadrare l’impotenza del reparto arretrato nerazzurro, se non bastasse il tabellino, basta annoverare tra i migliori in campo Samir Handanovic che ha evitato di raccogliere dalla rete americana almeno altri tre palloni che avevano già scelto il bersaglio grosso come loro destinazione finale. La prestazione ha evidenziato tutto ciò che di allarmante ci può essere in una difesa che deve superare le pesanti empasse dell’epopea Stramaccioni: poca concentrazione, marchiani errori di impostazioni, diagonali totalmente toppate, nessun leader a tenere in piedi la baracca fatiscente. In considerazione del fatto che almeno i due terzi visti a New York saranno i titolari della stagione alle porte, urge una decisa strigliata e un superlavoro sulla sinergia della trincea nerazzurra: il Valencia ha affondato senza strafare, senza giocate di superlusso e senza una convincente resistenza trovando strada spianata per prendere la mira e tentare la via del gol anche dalla media distanza. Un naufragio evidente a cui va messa una toppa il prima possibile.

CERCASI QUALITA’ DISPERATAMENTE – In fase di possesso l’Inter si è accesa a corrente alternata, ma quando si è trattato di costruire il gioco lo si è fatto con una prevedibilità, una lentezza ed una fragilità degna di un castello di carte. L’orchestra che occupava la parte mediana del campo si è trovata senza solisti di qualità che dessero il La alla manovra e non è un caso che l’ingresso del classe 1994 Olsen, regista di professione, abbia portato immediati benefici ai tempi ed all’armonia del gioco quando però i giochi erano ormai ampiamente chiusi. Nemmeno i piedi educati di Alvarez hanno fatto sortire alla squadra il cambio di passo che ci si poteva aspettare nel secondo tempo e per Ricky (fu?)Maravilla ecco un’altra prestazione da inabissare nell’oblio il prima possibile: se di lui dovesse parlare uno come Pirandello, sarebbe certamente un personaggio in cerca d’autore. Con buona pace della sosta ai box di Mateo Kovacic, che a 19 anni ricopre già la scomoda parte del più rimpianto a cui è spontaneo affidare buona parte del cambio di tendenza. Nel blocco degli appunti da compilare dopo questa partita, è da segnare con un circoletto rosso calcato l’ imprescindibile necessità di portarsi a casa un centrocampista metronomo quanto prima.

MOTRICE SENZA RIMORCHIO – Or quando le maglie nerazzurre si sono trovate ad imbandire la tavola nella metacampo avversaria, si è palesata la mancanza di un galleggiante tra i medi e gli avanti nerazzurri che attendesse l’abbocco valenzano in cerca di una pesca ben più fruttuosa negli ultimi 16 metri. Mazzarri sa bene come armare la fiocina delle sue variabili impazzite: senza scomodare l’importanza di Marek Hamsik nel suo Napoli, il tecnico livornese versione Doria era riuscito a sparigliare le linee nemiche perfino con gli inserimenti di uno come Gennaro Delvecchio, non certo un fulmine di guerra nel panorama del calcio italiano e mondiale. Fredy Guarin può interpretare a dovere il ruolo a patto di riuscirci con diligenza e continuità, là dove Palacio prende palla ai 50 metri e non può avere la sola scelta di Belfodil in mezzo a una moltitudine di maglie nemiche. La condizione atletica, fiore all’occhiello delle precedenti creature di Mazzarri, consegnerà al campo qualcosa di molto più convincente ma nel frattempo diventa vitale coinvolgere più interpreti in fase offensiva quantomeno per sbloccare il digiuno americano e nutrire la voglia di goal del tifoso che non si placa mai, da Agosto a Maggio.

BEL FODIL – Un sorriso dal mercato in entrata lo lascia Ishak Belfodil: servito poco e male nella prima frazione da terminale, sfodera il meglio nel secondo atto quando viene impiegato da esterno alto, esaltandone le indiscusse qualità di protezione palla al piede e una tecnica non così comune per uno della sua stazza. Paradossalmente sfoggia una delle migliori tenute atletiche della squadra, nonostante la denutrizione figlia del credo religioso: a fine Ramadan ed inizio stagione, l’impressione é che Mazzarri si troverà tra le mani un valido jolly offensivo che se vedesse di più la porta sarebbe già in procinto di varcare la porta di ingresso della stanza riservata ai fuoriclasse.

E’ calcio d’Agosto, d’accordo, ma l’Inter è sempre l’Inter e martedi c’è già davanti quella Juventus che tra 40 giorni sarà sul campo di San Siro con ben altro spirito. Per il blasone e per i doveri di riscatto, stavolta facciamoci trovare pronti.