C’è chi può e chi non può…
“C’è chi può e chi non può, io può”, una frase del mitico Totò, presa in prestito e quanto mai attuale all’indomani di Barcellona-Milan. Solito copione, ennesima vittima sacrificata all’altare blaugrana, con una facilità che a volte sembra quasi irrisoria. Eppure la storia calcistica e in particolare la storia della coppa dalle grandi orecchie ci narra di un’eccezione, che conferma la regola, di undici eroi e di un condottiero che sono riusciti non solo a riportare una vittoria in un’unica, isolata battaglia, bensì anche ad ottenere una qualificazione che li ha lanciati nell’Olimpo del calcio. Quali sono stati i cinque segreti di quella incredibile impresa? (prendere spunto Milan e company)
1) LA PARTITA D’ANDATA – Anche se tutto era cominciato nel peggiore dei modi, con la squadra nerazzurra che a San Siro era andata sotto subito, al 19′ con Pedro, l’approccio dell’Inter è stato quello corretto e l’unico possibile contro i giganti blaugrana. Una partenza di queste poteva tagliare le gambe a qualsiasi squadra, considerato il gol fuori casa, Sneijder, Maicon e Milito riuscirono a portare a termine la prima remuntada, termine che diventerà poi tanto caro al popolo nerazzurro. Una squadra abituata a fare la partita come il Barcellona e a travolgere gli avversari dal 1′ al 90′, letteralmente alle corde in un tour de force agonistico, che nella storia recente non ha precedenti. L’Inter ha ipotecato la qualificazione all’andata, volendo fare la partita, le altre squadre che l’hanno succeduta, come il Milan ieri, hanno pensato solo a non prenderle sin dalla partita d’andata. Anche la squadra nerazzurra ha avuto il suo bel da fare a San Siro ma ha saputo colpire nei momenti giusti per poi affidarsi ad una difesa e soprattutto ad un Julio Cesar in formato super.
2) JOSE’ MOURINHO – In quel tempo regnava ad Interlandia un certo Josè Mourinho e i suoi giocatori rispecchiavano in tutto e per tutto la sua voglia di vincere e non arrendersi mai. La sua abilità nel catalizzare tutte le attenzioni su di sè cercando di rasserenare quanto possibile un ambiente inevitabilmente roso dalla tensione, non avrà precedenti negli anni successivi, nessun allenatore è riuscito a togliere pressione alla propria squadra e ad addossarla sullo stesso Barcellona. La partita del girone è stata salutare perchè ha consentito di lavorare al meglio sugli errori e sulle loro possibili correzioni ma il lavoro superbo del portoghese è stato sulla testa dei giocatori e sulla loro convinzione di non essere inferiori a nessuno, nemmeno agli dei del calcio.
3) CAPOLAVORO TATTICO – All’andata è stato fatto il passo forse più importante per la qualificazione ,con il gioco sulle fasce, con Maicon che umilia Maxwell, con Sneijder devastante davanti e grintoso anche in copertura a centrocampo ma la partita di ritorno è stata un autentico capolavoro tattico studiato da Mourinho, studiato per una normale partita 11 contro 11 e rivelatosi superbo anche dopo il 27′ quando Busquets ruzzola a terra sulla leggera manata di Thiago Motta, roba da strapparsi i capelli ed abbandonare il campo in preda al nervosismo e invece no, Chivu in mediana, Milito chiamato ad un super lavoro e la macchina perfetta è ricomposta, con Messi mai trovatosi così in difficoltà nella sua carriera, preso in mezzo tra Cambiasso, Zanetti e i difensori nerazzurri. Un’insufficienza per l’argentino, forse la prima e l’ultima della sua luminosa carriera. La storia narra che in quel Barcellona la punta centrale fosse Zlatan Ibrahimovic, spostatosi proprio in estate da una sponda all’altra per cercare finalmente di raggiungere il trofeo tanto ambito, ebbene in quelle due sere non si ricorda un pericolo portato dal gigante svedese alla porta dell’ermetico Julio Cesar. E qui appare lampante un’altra differenza con chi ha affrontato dopo il Barcellona, un esempio a caso, il Milan, che si ritrova al centro dell’attacco un gigante timido e pauroso, forte con i deboli e debole con i forti, a fronte di un Principe nerazzurro, Diego Milito, autentico mattatore non solo con i suoi gol e i suoi assist ma anche con i suoi movimenti avanti e indietro, tanta concretezza e molto sacrificio.
4) LA FAME – Quella squadra era un gruppo vero, coeso e soprattutto con una grande fame di vittorie, soprattutto in Europa, mancava quella coppa, erano state fatte troppe brutte figure negli anni passati, a parte qualche sporadico caso, bisognava dare un’immagine di una squadra che comandasse, dopo gli anni di vittorie in campionato, anche fuori dalle mura nazionali. L’acquisto di Eto’o era indicativo, l’obiettivo era quello e per raggiungerlo bisognava dare più del possibile, bisognava battere tutto e tutti senza guardare al colore della maglia avversaria, Chelsea, Barcellona o Bayern che fosse.
5) REAZIONE – Uno dei segreti più importanti, il sapersi rialzare sempre e comunque anche di fronte ai ko più duri, anche di fronte ad un’espulsione nella bolgia del Camp Nou, senza attenuanti, perchè si era l’Inter e già questo bastava per convincersi di poter raggiungere tutto, anche quando Thiago Motta aveva solo sfiorato il “comico” Busquets, anche in 10 per tutta la partita. Che problema c’è? avrà detto Mourinho, questo è l’anno del nostro Triplete, sposto Chivu a centrocampo e chiedo al Principe il doppio lavoro e voilà il gioco è fatto. Perchè si vince anche contro la sorte e gli arbitri quando si è superiori e quell’Inter lo era, perchè se un’altra squadra di Milano si lamenta per questo o quel rigore si dimentica il tabellino dei tiri tra andata e ritorno clamorosamente a favore dei blaugrana, si dimentica del rigore su Sanchez all’andata e si dimentica soprattutto la partita d’andata dove ha pensato solo a non prenderle.
Ma poi era così semplice fare meglio, bastava chiedere ad un certo Josè Mourinho…