18 Gennaio 2013

FOCUS – Pazza nel Dna

di Claudio Colombrita

Pazzia, esaltazione, sconforto, schizofrenia, instabilità, euforia, disperazione e chi più ne ha più ne metta, tutti aggettivi, positivi e negativi, forse esagerati, semplicemente l’anima e l’essenza di una squadra che ha i colori nero e azzurri. Spesso criticata, perchè le cose facili sono più agevoli da comprendere, perchè semplicemente la normalità a volte è ciò che ci vuole per raggiungere la continuità, di risultati, di prestazioni e di stati d’animo, altre volte esaltata, perchè l’originalità e la genialità colpiscono come un abbaglio in un cielo che più scuro non si può, forse perchè la normalità richiama la routine e il tifoso vuole invece emozioni, sussulti, un senso costante di vertigine tra l’alto e il basso, tra la gioia e lo sconforto.

Non parliamo nè di opera teatrale, nè di un film, nè di uno spettacolo, parliamo di una “semplice” squadra di calcio, che raccoglie in sè tutto ciò, contenitore unico di emozioni eterogenee, unica e inimitabile nella sua essenza, l’Inter è follia allo stato puro, la squadra imprevedibile per eccellenza.

Croce e delizia dei tifosi, impronosticabile per gli scommettitori di tutto il mondo, capace di perdere uno scudetto già vinto contro una squadra ampiamente appagata come la Lazio, “audace” oltremodo nel buttare all’aria una qualificazione in Champions contro una squadra di semisconosciuti come l’Helsingborg, ma altresì in grado di scrivere pagine di una bellezza sconvolgente, rimonte epiche e impensabili anche per il più folle dei folli, di sovvertire anche i pronostici scritti con inchiostri indelebili.

La partita con il Bologna di Coppa Italia è solo l’ultimo esempio di fulgido squilibrio, un 2 a 0 a qualche manciata di minuti dalla fine della partita che presagiva un comodo raggiungimento della semifinale e che in poco tempo si trasforma invece in 2-2 rischiando di diventare un 2-3, una beffa delle beffe che si trasforma in una serata di gloria col gol di Ranocchia al 120′, un urlo nerazzurro manco fosse una finale di Champions, le solite sette camicie sudate.

Quando un essere umano prende la decisione (saggia) di tifare per l’Inter, firma un contratto in bianco, sa come entra in questo bellissimo tunnel ma non sa come e se ne esce, sa che proverà emozioni ma non sa di che tipo, sa che potrebbe rimanerci secco ma sa anche che può rendere la sua vita un intenso e continuo viaggio in una montagna russa, alti e bassi come sale della vita.

Sui schermi nerazzurri si sono visti capitomboli clamorosi, vittorie trionfanti e insperate e rimonte mozzafiato, una squadra in grado di passare alla storia per un Triplete ma anche per una serie di sconfitte con squadre dal nome impronunciabile, mai scesa nella categoria inferiore ma a lungo con una paura smisurata del confronto europeo.

Il tifoso nerazzurro che si appresta a vedere la partita della sua squadra del cuore non può permettersi mai di guardare il nome della squadra avversaria, può battere in modo trionfale il Barcellona e perdere in maniera clamorosa con il Trabzonspor, può essere in vantaggio di due gol e farsi rimontare, può essere in svantaggio di due gol a sei minuti dalla fine e recuperare e vincere 3-2 (Inter-Sampdoria del 2005).

Tifare Inter non è facile, rischioso per certi versi e meraviglioso per altri, adrenalinico sempre a volte forse fin troppo, alzi la mano chi conosce una squadra tanto imprevedibile quanto emozionante, certo è che se si pensasse anche ad una copertura sanitaria per i neo nerazzurri sarebbe forse meglio per tutti, per i vecchi invece sarebbe gradita almeno una visita gratuita l’anno per le coronarie.