Accadde Oggi – 9 novembre 1997, muore a Venezia Helenio Herrera: controstoria dell’allenatore che cambiò l’Inter e il calcio
Le donne, i gialli su doping, figli, data di nascita. E tanti, tanti successiDi Helenio Herrera è già stato detto e scritto di tutto, e il nostro articolo non è altro che il milionesimo prodotto dato in pasto a dei lettori da quando il compianto tecnico – calcisticamente – esiste: e cioè dagli anni Sessanta, quando esplose la Grande Inter che fece di Herrera anzitutto un personaggio ancor prima che un tecnico. Trovatela voi, dunque, una cosa che qualcuno non abbia già detto sul conto del cosiddetto Mago di Buenos Aires – soprannome che lui detestava – che non sia, possibilmente, un’intervista inventata di sana pianta come quella pubblicata ieri dal sito di un quotidiano sportivo italiano: un modo quantomeno singolare di ricordare lo storico allenatore dell’Inter (e non solo dell’Inter) a 22 anni dalla sua morte, ricorrenza che esattamente oggi. La notizia sarebbe questa, l’anniversario: ma va aggiunto altro, possibilmente di interessante e non le solite manfrine.
SEX SYMBOL HERRERA – Trovato: le donne. A voler tracciare una controstoria di quello che Helenio Herrera fu in vita – e persino dopo la morte – non si può non dare spazio alle donne dell’ex allenatore: tante donne, tante mogli (forse tre, o forse di più, di cui l’ultima, Fiora, la più famosa) e pure tante spasimanti. Che Herrera fosse un stimolatore erotico del desiderio di una miriade di signore e signorine degli anni Sessanta che gli sbavassero dietro a getto continuo (specialmente, guardacaso, suo nel periodo di maggior fama e maggior splendore personale e professionale, quello della Grande Inter) è un fatto. E forse fu proprio per questo che – una volta smaltita la sbornia di successi in nerazzurro – solo quando si accasò alla Roma riuscì a trovare un matrimonio durevole, con la sopra citata Fiora, che di Herrera ebbe a dire: “Era un uomo onesto, spiritoso e ahimè gran seduttore. Ma io lo perdonavo sempre. Un furbetto mica da ridere, aveva un sacco di amanti, e io non me ne accorgevo. Ci provava con tutte, lo faceva con discrezione, ma non se ne lasciava scappare una”. Ma che non se ne accorgesse è vero sino ad un certo punto: perché è un fatto abbastanza chiacchierato che la signora Herrera fosse solita leggere al marito tutte le lettere che le sue spasimanti gli scrivevano, a mo’ di pre-allarme: occhio a quello che fai, so tutto delle tue ammiratrici.
I GIALLI DOPO LA MORTE – Donne che non finirono di ronzare attorno a Herrera nemmeno dopo che questo se ne fosse andato: basta andarsi a ripescare qualche cronaca del 2010, quando scoppiò una guerra legale tra la moglie Fiora e la figlia – o presunta tale – di lui, una certa Maria Susana. Una delle tante: perché sì, non è ben chiaro nemmeno quanti figli avesse Herrera: c’è chi dice tre, chi quattro e chi di più. Fatto sta che nel 2010 – proprio mentre Mourinho, l’erede spirituale del Mago, si apprestava a vincere il Triplete – deflagrò appunto questo inenarrabile canaio, a colpi di carte bollate, tra le due: in ballo, ovviamente, l’eredità. “Maria Susana non è figlia di Helenio, ha vissuto semplicemente per anni in casa nostra, era una bimba molto povera, quella che allora era la maestra di mio figlio ci ha chiesto un piacere. Cosa che abbiamo fatto”: questa la versione di Fiora, cui Maria Susana ebbe a controbattere: “Negli Stati Uniti sono una cantante, e dire certe cose di papà è un danno d’immagine per la mia carriera”. E ancora Fiora: “Cantante? Americana? Macché, vive a Venezia”. Successivamente vennero fuori anche delle incongruenze sulla data di nascita di Herrera, perché – mentre la data naturale risultava essere il 1910 – sui documenti appariva che fosse nato nel 1916. “La data di nascita se l’è cambiata quand’era in Spagna, un piccolo vezzo”, commentò la moglie, e immaginatevi la reazione dell’altra.
LE ACCUSE DI DOPING – Con la faccenda della disputa legale tra le signore di Herrera si potrebbe andare avanti sino a notte, ma l’impressione è che sia affare di scarso interesse: e probabilmente – se solo avesse potuto assistervi – avrebbe fregato poco persino allo stesso Herrera. Lui, che sino al punto di morte era rimasto sempre lui: “Non me fido qui, le infermiere hanno il culo molle, chi ha il culo molle non capisce”, confidò alla moglie in ospedale a Venezia, nelle ultimissime ore della sua vita. E lei giù a leggergli altre lettere di altre spasimanti, le ultime. Nel frattempo, dopo il decesso, ci pensarono altri personaggi a far rivoltare l’allenatore nella tomba: nel 2004, per dire, Ferruccio Mazzola, ex giocatore dell’Inter, accusò Herrera di somministrare sostanze dopanti ai propri giocatori. Accuse che finirono nel niente, visto che l’unico ad unirsi alle parole di Mazzola fu Franco Zaglio, e visto che il dottore che esaminò il caffè di un altro Mazzola, il fratello Sandro, che avrebbe dovuto contenere il famoso doping, “si mise a ridere, perché secondo le analisi non c’era nulla di strano”.
MOTIVATORE RIVOLUZIONARIO – Insomma, ci sia concesso dire – e qui arriviamo alla parte che tutti conoscono e di cui tutti scrivono – che il doping di Herrera fosse anzitutto mentale: era noto, il tecnico, per le sue doti da motivatore, messe in luce sia verbalmente che attraverso i famosi cartelli con cui negli anni tappezzò la Pinetina (“Classe + Preparazione atletica + Intelligenza = Scudetto”, “Difesa: non più di trenta goals! Attacco: più di 100 goals!”, “Chi non dà tutto non dà niente”, “Tacalabala”, eccetera). Joaquin Peirò, riserva dell’Inter ai tempi di Herrera, disse di lui: “Non mi faceva giocare, lo detestavo. Non ci parlavamo, non mi rivolgeva la parola. Ma quando succedeva che aveva bisogno di me, per infortunio dei titolari 0 per altre ragioni, era diabolico. Si trasformava. Dal lunedì fino alla domenica mi prendeva da parte come se ci legasse un rapporto affettivo, mi diceva che ero il migliore. E io ci cascavo: gli credevo, andavo in campo motivatissimo, galvanizzato”. Magia.
LA MALATTIA E LA MORTE – Helenio Herrera, in definitiva, fu un riformista e – al tempo stesso – un rivoluzionario: fu in grado di tracciare un solco non solo nella storia dell’Inter (che con lui passò da grande a grandissimo club), ma anche nel modo di intendere la figura dell’allenatore: il quale diventò uno psicologo, un tecnico, un tattico: Herrera fu il primo a capire che i calciatori andassero allenati non come atleti ma come calciatori di calcio, e tutti gli allenamenti dovevano essere funzionali a sviluppare calciatori e non atleti. Una filosofia, questa, che Herrera mantenne intatta per tutta la sua carriera: una carriera caratterizzata, negli anni finali, da un precario stato di salute che ne condizionò l’attività. Dopo l’Inter, allenò Italia e Roma, per poi tornare all’Inter: panchina che dovette mollare per via di una crisi cardiaca. Seguirono una parentesi a Rimini e un biennio al Barcellona: il tempo di vincere qualche altra coppetta prima di ritirarsi, sino al decesso – in mezzo a culi molli e all’affetto di milioni di tifosi – nel 1997, a 87 anni. O forse 81.
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