Accadde Oggi – 14 novembre 2010, Inter-Milan 0-1: Ibra decide il primo derby del post-Triplete. Nove anni dopo, tutti ancora lo vogliono
Lo svedese era appena giunto a Milanello dopo un anno al BarcellonaIeri la Gazzetta titolava qualcosa come “Milan, è l’uomo per te!”, e questo lo ricordiamo solo come espediente per sottolineare che Zlatan Ibrahimovic – ossia l’oggetto dell’apertura del suddetto quotidiano – sia ancora uomo da prima pagina, nonostante i 38 anni suonati e l’esilio statunitense concluso ieri con un tweet dei suoi: “Sono venuto, ho visto, ho conquistato. Grazie LA Galaxy per avermi fatto sentire di nuovo vivo. Ai fan del Galaxy: volevate Zlatan, vi ho dato Zlatan. Prego. La storia continua… ora tornate a guardare il baseball”. Badate bene. Abbiamo detto esilio, non letargo: perché, che la sua esperienza americana non fosse un sonno, lo dimostrano i 53 gol in 58 partite disputate con i Los Angeles Galaxy, cifre in netta controtendenza con i numeri di quei giocatori che una volta trasferitisi dall’Europa all’America o alla Cina abbiano praticamente smesso di giocare, e in completa assonanza con il resto della carriera di un giocatore che, di momenti di letargo, non ne ha avuti mai. O quasi.
Di sicuro non è stato in letargo nel periodo che va dal 2010 al 2012: nel periodo, cioè, di militanza tra le fila del Milan, squadra con cui vinse lo Scudetto al primo anno e il titolo di capocannoniere al secondo. Certo, l’avvio della sua avventura rossonera non fu il massimo (esordì perdendo 2-0 a Cesena e sbagliando persino un rigore), ma ci sarebbero stati altri momenti topici, e decisamente più professionalmente appaganti, nell’epoca rossonera: il rigore trasformato nella serata della linguaccia di Julio Cesar (era il 2012) o il derby del 14 novembre 2010, deciso da una rete al quinto minuto proprio dello svedese. Una stracittadina cui Ibrahimovic si presentò con l’aura di essere uno che ne aveva già viste tante: aveva appena finito un triennio all’Inter (dal 2006 al 2009), facendo imbestialire Mourinho quando questo scoprì che Moratti l’aveva ceduto al Barcellona (club da cui assistette, Zlatan, al Triplete realizzato poi dalla squadra nerazzurra). E poi aveva già giocato, Ibrahimovic, anche alla Juventus, e insomma il giro delle tre grandi l’aveva concluso e le cose che dovesse ancora dimostrare erano in verità poche.
Tuttavia, in quel derby – il primo con la maglia rossonera – Ibrahimovic si comportò sino in fondo da Ibrahimovic: a cominciare dai primi minuti della gara: quattro giri di lancette, Materazzi stende lo svedese in area e l’arbitro (Tagliavento) fischia il rigore, che lo stesso Ibrahimovic trasformerà battendo Castellazzi. Nota da ricordare: nel corso della gara, poi, Ibrahimovic avrà l’occasione per vendicarsi del difensore italiano suo ex compagno all’Inter – non bastasse la realizzazione del rigore – costringendolo ad uscire dal campo per una gomitata in testa intorno al 65esimo minuto. Fu, beninteso, una gomitata fortuita, anche perché l’Ibrahimovic versione derby non è solo gol, rigori segnati, calci e pugni: è un giocatore acceso, illuminato, che disegnerà calcio per ampi tratti della gara. Guadagna il rigore e lo segna, e abbiamo detto. Poi accende Flamini, poi Robinho. Poi riprova a segnare lui stesso, ma manca il bersaglio. Poi attiva altre due volte Robinho – di cui una in fuorigioco – e che dire: è anche – e forse soprattutto – merito suo se l’Inter deve aspettare 36 minuti prima di mettere a referto la prima, nonché innocua, occasione da gol.
E’ un primo tempo tutto a tinte rossonere quello di quel 14 novembre, caratterizzato da un Ibra-show a tutto tondo: anche se – bisogna dire – i rossoneri vengono anche graziati. da Tagliavento, sugli episodi: al 39esimo ci sarebbero gli estremi per un’espulsione ai danni di Gattuso – era già ammonito – per un fallo ai danni di Sneijder. Gattuso non verrà espulso, nemmeno tramite doppia ammonizione. Il Milan resta dunque in undici, ma ancora per poco: basterà aspettare la prima metà del secondo tempo per assistere all’espulsione di Abate – anch’egli già ammonito, ergo doppia ammonizione – dopo un accenno di rissa con Goran Pandev, trequartista dell’Inter che pure, nel medesimo episodio, finirà sul taccuino dell’arbitro con un’ammonizione. In campo, intanto, c’è più equilibrio, sin dall’inizio del secondo tempo- Anche senza l’espulsione di Abate. Sarà infatti la ripresa a vedere il risveglio definitivo di uomini come Wesley Sneijder, con Benitez inizia ad intravedere finalmente le possibilità di rimonta.
Rimonta che, però, non arriverà: a San Siro, strapieno, Inter-Milan termina 0-1 e proietta i rossoneri in testa alla classifica – poi vinceranno il campionato – con 26 punti. Finisce insomma così, con la zampata iniziale di Ibrahimovic che si rivelerà essere anche quella finale, con lo svedese che uscirà dal campo consapevole di aver condotto un monologo e che tutti i quotidiani e le televisioni – il giorno dopo – avrebbero celebrato il derby vinto nel segno dello svedese. Ciò di cui, allora, non poteva essere consapevole (né poteva immaginare) è che nove anni dopo, direttamente dall’America, sarebbe tornato sulle prime pagine dei quotidiani perché invocato, cercato o semplicemente sognato da una società in difficoltà (il Milan, appunto), che non riesca ad avvicinare elementi più lungimiranti di quello che comunque è e resta un 38enne. Di talento, ma sempre un 38enne. Dal Milan al (possibile ritorno al) Milan. Dieci anni dopo, è cambiato tutto. Anzi, non è cambiato niente.
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