Baresi: “Finale di Madrid? Mourinho era sicuro di vincere. La prima volta che lo incontrai ad Appiano mi fece uno scherzo”
L'ex difensore interista ricorda l'esperienza da vice allenatore dello Special OneProtagonista su Instagram della diretta insieme alla figlia Regina, l’ex difensore dell’Inter e storico vice allenatore di José Mourinho, Beppe Baresi, ha raccontato numerosi ricordi risalenti al biennio al fianco dello Special One. Dal primo incontro ad Appiano Gentile in cui il portoghese lo prese in giro, all’incredibile notte di Madrid vissuta insieme alla squadra in panchina al Santiago Bernabeu. L’ex vice, infine, ha raccontato che dopo il triplice fischio la squadra non era ancora a conoscenza che Mourinho sarebbe andato via da Milano, anche se nell’ambiente si era già intuito qualcosa.
MOURINHO – “Ero uscito dal campo, dopo aver finito di giocare facevo l’allenatore nel settore giovanile. Poi son passato a dirigente e responsabile del settore giovanile. L’amministratore delegato un giorno mi disse che avrebbero proposto il mio nome a Mourinho. Lui un giorno mi chiamò e disse di avermi accettato come secondo allenatore, lui di solito se lo portavo dietro. Invece quella volta accettò la mia candidatura, ero felice di tornare in campo al fianco di un allenatore con grande personalità e sicurezza, c’era molto da imparare. Sono arrivato a 52 anni a fare il vice di Mourinho con voglia ed entusiasmo”.
ANNO DEL TRIPLETE – “Venivamo da una base importante, sapevamo di essere una squadra forte con grandi campioni. Quell’estate lì Mourinho voleva rafforzare la squadra con innesti importanti, calciatori con personalità. La squadra era consapevole di vincere, perché singolarmente aveva grandi calciatori, tanta personalità. Non avevano bisogno di altri stimoli, li avevano dentro. Non si poteva non vincere. Poi la mentalità era la forza della squadra, partita per partita siamo riusciti ad arrivare ai massimi risultati in tutte e tre le competizioni”.
MOURINHO MOTIVATORE – “Lui era bravo a motivare ma fino a un certo punto, la squadra era già motivata. Io da secondo allenatore avevo l’incombenza di arbitrare le partitelle in allenamento. C’era il rischio di prendere botte e insulti, perché era un gruppo di calciatori che non voleva mai perdere in allenamento. Si allenava ad un punto che se sbagliavo una virgola, tutti protestavano perché volevano vincere. Ma tutti i giocatori, perché di solito c’è chi è meno forte o più timido. Lì tutti erano determinati a vincere. L’allenatore non aveva bisogno più di tanto di motivarli. Tutti i giocatori top di un certo livello, le motivazioni le hanno dentro, per questo dico che Mourinho era un grandissimo gestore, interveniva quando serviva”.
ETO’O – “Qui si parla di gestione dei campioni, lui veniva dal Barcellona in cui aveva vinto tutto. Si sentiva quindi di essere il più bravo, al centro dell’attenzione. Qua Mourinho è stato bravo a fargli fare cose cui non era predisposto a fare. Lui è un grandissimo campione, veniva in allenamento per migliorarsi sempre e star bene mentalmente per la partita. Io non dimenticherei di quella squadra un calciatore che ho avuto nel settore giovanile che è Pandev. Un calciatore che tanti non lo hanno valorizzato come lui meriterebbe. Lui giocava titolare nell’Inter del Triplete, un ragazzo bravissimo, fortissimo tecnicamente e tatticamente. Fra i tanti campioni, vorrei menzionare Pandev che è un altro grande campione e che tanti non lo ritengono tale. Ai giovani dico di seguire i giusti esempi, Mourinho diceva sempre che non si poteva che imparare ad allenarsi con Zanetti e Cambiasso. Come diceva Mourinho: ‘Vincente non è chi vince, ma chi non ha vuole smettere di vincere'”.
ANEDDOTI – “Mourinho era uno molto simpatico fuori dal campo e faceva degli scherzi, ma non posso raccontarli perché a volte andava anche oltre. La prima volta che l’ho incontrato ad Appiano Gentile mi dice: ‘Ti ho preso, ma il tuo curriculum non era all’altezza e mi sono adattato alle scelte della società’. Poi invece si è messo a ridere facendo capire di essere contento”.
NOTTE DI MADRID – “Quella la ricordo bene. La vigilia è stata bella, avevamo vinto campionato e coppa Italia, eravamo carichi e sereni, ma la squadra era in tensione per questa finale. Tutti nell’ambiente volevano venire a Madrid. La squadra si era allenata bene come sempre, senza stravolgere il programma. Poi si è andato a curare qualsiasi dettaglio in tutte le varie programmazioni, sia fuori che dentro il campo, ma senza stravolgere più di tanto. Io non son mai stato uno che sentiva le partite, ho provato solo un po’ di tensione, ma emozione no. Sapevo che l’obiettivo era importante, sia per noi che per la società e per i tifosi. Mourinho era abbastanza sicuro di vincere la partita, era il primo ad essere sereno per quello che aveva preparato. Anche quelli rimasti in panchina quella partita erano grandissimi campioni, tutti facevano il tifo per i compagni. Al fischio finale tutti ad abbracciarsi, non ci rendevamo conto di cosa avevamo fatto. Tornare alle 5 del mattino a Milano e trovare 40mila persone allo stadio ad applaudirci è stato un gran segno di riconoscenza nei nostri confronti”.
ADDIO MOURINHO – “Al 100% non lo sapevamo, c’era qualche voce, ma non aveva comunicato nulla. Poi ha spiegato tutto alla squadra, siamo riusciti a salutarci tutti nel modo giusto. Ma tornati negli spogliatoi non eravano sicuri al 100%”.
IL FRATELLO ROSSONERO – “Come vivevamo i derby io e Franco? Noi per due anni abbiamo vissuto insieme, quindi vivevamo insieme la vigilia. Ma eravamo tranquilli, si parlava di quello che ci aspettava il giorno dopo, ma mai di tattica. C’è sempre stato un buon rapporto, ma in campo eravamo avversari”.
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