L’INTERTINENTE – Debolezze e limiti di un’Inter a tratti sontuosa: analisi logica dell’ennesimo (e stavolta fuorviante) sfogo di Conte
Una rubrica per rafforzare un concetto: l'impertinenza di essere nerazzurriEvadendo tutte le polemiche conseguite al fischio finale, un aspetto non può essere tralasciato: il campionato giunto al termine ieri sera non può e non deve essere ribattezzato come quello dei rimpianti, bensì come l’iniziazione di un nuovo corso che riporti la Serie A ad equilibri sconosciuti nei tempi recenti – specificamente, da oltre 10 anni.
Malgrado il distacco pressoché nullo – appena 1 punto fra la Juventus campione e l’Inter – induca a credere che si sia trattato di un’occasione mancata per trionfare, non è esattamente così; infatti, la contesa che verrà archiviata stasera sarà ricordata come una scarica di adrenalina all’intero sistema calcistico italiano, che ha visto ben 3 inseguitrici della Vecchia Signora – le tre in frangenti differenti, ma che comunque hanno tenuto in apprensione i bianconeri di Sarri – porlesi a ridosso, trasmettendo fiducia che la competitività del torneo stia aumentando esponenzialmente e che questa annata possa fungere da viatico per avvincenti manifestazioni a venire.
Nella fattispecie, la squadra di Antonio Conte è stata quella a chiudere proprio di poco sotto la Juve, e i cui miglioramenti tengono alta la considerazione di cui sopra: oltre alla seconda posizione, ai punti conseguiti, alla migliore difesa, al secondo miglior attacco, alla riduzione vertiginosa del divario – in termine numerici, ovviamente non qualitativi – dalla Juventus, e al maggiore numero di vittorie in trasferta, va aggiunto – dato passato inosservato – che i nerazzurri siano stati i meno battuti d’Italia, e che la somma delle loro sconfitte sia quasi la metà di quella delle sbandate dei ragazzi di Sarri.
Menzionando poi che l’Europa League, al netto di qualsiasi variabile, potrebbe essere alla portata, non c’è maniera – non c’è! – che alcuno possa ritenersi insoddisfatto della stagione, o che peggio ancora la etichetti come fallimentare. Proprio a fronte di ciò, risuonano stridenti e pure un po’ fuorvianti le esternazioni di Conte nel dopo gara di ieri, che hanno spiazzato tifosi e cronisti, benché il salentino non sia nuovo a certe invettive. Che il malcontento serpeggiasse già da alcune settimane era chiaro, così come è palese che l’aziendalismo non sia una caratteristica del tecnico leccese – e questo non è necessariamente un elemento a suo sfavore.
Non si capisce, però, perché abbia voluto calcare così tanto la mano quando gli obiettivi recentemente prefissatisi sono stati raggiunti ed in modo dirompente, come testimonia l’espugnazione dell’Atleti Azzurri d’Italia (nelle 10 precedenti stagioni l’Inter è riuscita a portare a casa i tre punti da Bergamo soltanto una volta, nel febbraio 2015, sotto la guida di Roberto Mancini). Tenendo anche fede alle lodi tessute da Marotta nei suoi riguardi prima e dopo la partita, qual è il motivo dell’ennesima insubordinazione?
È una sfuriata per rimarcare l’assenza di un supporto societario da parte dell’area amministrativa, o di quella sportiva? Supponendo che appunto Marotta – il quale non ha mai lesinato commenti lusinghieri nei riguardi dell’operato stagionale di Conte – ed Antonello siano esenti dalle critiche lanciate dall’allenatore, l’indiziato principale risponderebbe al nome di un profilo che non è stato mai direttamente citato da giornalisti ed auditori, per timore di inesattezze, o perché distrattamente nessuno ci ha riflettuto: Piero Ausilio sembrava venisse velatamente tirato in ballo già nelle dichiarazioni al vetriolo di Dortmund, successive al ribaltone in Champions League contro il Borussia, e le ultime non paiono esimerlo.
A chiunque fosse indirizzata, comunque, la filippica di Conte lede principalmente l’immagine dell’ottima stagione che – inutile nasconderlo – è stata garantita proprio da lui. Pur con innesti di elevatissimo spessore, l’Inter già disponeva di un attaccante che si assestasse sulle 25 reti, e ieri sera ha chiuso con Gagliardini e Borja Valero, che nel post-lockdown hanno avuto un minutaggio superiore a quello dei nuovi arrivi. Che nessuno si permetta di fraintendere o di mistificare, però: Lukaku ha mostrato in meno di un anno di essere ciò che Icardi non è stato in più di un lustro e che mai sarà, ovvero trascinatore e perno in campo e negli spogliatoi, oltre ad essere – il belga, chiaramente – un centravanti fenomenale ed attualmente tra i primi al mondo – per conferme, chiedere lumi a Koulibaly e alla retroguardia dell’Atalanta -, così come Sensi e Barella incarnano il futuro, sebbene alcune tegole fisiche ne abbiano limitato disponibilità e rendimento.
Ergo, gli 82 punti, la seconda piazza e le positive statistiche, sono frutto dell’impegno minuzioso, alacre, ed intenso, che Conte ha profuso, e dei cui risultati è unico artefice, con buona pace di disfattisti e denigratori. Che poi l’Inter non sia la Juventus, non lo si scopre oggi, e probabilmente è questo il passaggio che sfugge a Conte: mentre la Juventus è un’espressione dinastica di oligopolio imprenditoriale, finanziario, mediatico e politico, l’Internazionale è – come dal sottoscritto già esposto a più prese su questa testata – un valore generazionale che ha acquisito nel tempo una rilevanza cultura-popolare, che esplode nell’affezione più tormentata e tormentante, perennemente pendente fra un’isteria incontrollabile ed un’euforia strabordante. L’Inter è precarietà cronica, che si accende quando tutto sembra spento. Per dirla con il gergo della nuova proprietà: that’s Inter! Not for everyone.
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