L’Inter ha ancora il mal d’Europa: perché vola in Italia e fa cilecca in Champions?
Ottovolante in Serie A e poi spenti in coppaIl terzo pareggio consecutivo nell’arco di un anno per 0 a 0 contro lo Shakhtar Donetsk, squadra non certo rinomata per le qualità del pacchetto arretrato, iniziano a far riflettere. Non tanto sulla caratura tecnica dell‘Inter, quando più sull’aspetto mentale. La sconfitta immeritata con il Real Madrid sembrava aver allontanato gli spettri europei delle ultime stagioni: anche senza fare punti i nerazzurri avevano fornito una prova di spessore, anche dal punto di vista del carattere. Il blando pareggio con gli ucraini però, oltre a complicare enormemente il discorso qualificazione, sembra aver riportato tutti sulla terra.
La squadra sembra avere un blocco che parte con la “musichetta” della Champions, un complesso che non riesce a scrollarsi di dosso. Se nelle ultime 18 apparizioni in Champions, l’Inter ha vinto solo 3 partite qualcosa vorrà pur dire. Le differenze tra Serie A e coppa dei campioni sono evidenti, specie in attacco. Se la difesa, a prescindere dalla porta inviolata o meno, fornisce sempre prove di spessore, lo stesso non si può dire del tandem offensivo, qualunque esso sia.
Lo stesso attacco che in Italia fa la voce grossa infatti, con 20 reti in 6 partite, in Europa è ancora a 0 dopo 2 partite. Azioni che nel nostro campionato sarebbero valse sicuramente almeno un goal, in Champions rimangono strozzate a metà, e non solo per la bravura degli avversari. La squadra in generale ieri è parsa contratta, intimorita: non ha giocato male per eccessiva sicurezza nei propri mezzi, come a volte accade alle big, bensì per troppa paura, specie nel secondo tempo. In Champions League se si vuole vincere bisogna essere avidi, non avari: la sindrome del “braccino corto” non può far andare lontano.
E non è nemmeno un qualcosa di imputabile ad Inzaghi: il blocco sembra essere a livello di mentalità per gran parte dei giocatori. Stanchezza e condizione atletica non sono una giustificazione quando tra le squadre c’è un innegabile abisso tecnico complessivo. I meriti dello Shakhtar infatti ci sono, ma sono di gran lunga inferiori ai demeriti dell’Inter, esattamente come nella passata stagione. Con questo atteggiamento, specie dopo la clamorosa vittoria dello Sheriff al Bernabeu contro il Real Madrid, il passaggio del turno rischia di rimanere un miraggio.
Certo, è presto per fare previsioni azzardate e estremamente pessimistiche, ma lo Sheriff, avversario delle prossime due partite, è passato incredibilmente da possibile squadra materasso a capolista. E il motivo è semplice: abbonda di quella cosa che, per ora, l’Inter deficita, il coraggio di osare. La mancanza di paura, la certezza di non avere nulla da perdere, ha messo le ali a quella che ormai è a tutti gli effetti la mina vagante del girone. Sono 3 anni che l’approccio alla competizione continentale è sbagliato, 3 anni in cui sul finale del girone l’Inter si ritrova con il fiatone e spalle al muro. E sappiamo tutti poi com’è finita. Servono 9 punti nelle prossime 3 gare per arrivare relativamente tranquilli, si spera, alla partita finale con il Real Madrid. E, a seconda degli incastri delle avversarie, potrebbe addirittura non basta per dormire sonni tranquilli.
Giocarsi tutto, ancora una volta, all’ultimo round contro un Real, magari anch’esso in bilico, sarebbe l’ingrediente migliore per cucinare un’altra delusione. Serve un’inversione di tendenza. Non basta più cercare l’equilibrio tra accontentare ed accontentarsi: nella coppa dei dettagli, bisogna cercare di far saltare il banco. Altrimenti tanto vale partecipare.