EDITORIALE – Gli alibi di Mancini
“Si è ritrovato una squadra non sua”. “Non può vincere senza giocatori in grado di adattarsi al suo gioco”. “Un grande allenatore non alza coppe con calciatori mediocri”. Fermi tutti. Perché la seconda vita a Milano di Mancini è iniziata alle 23 del 31 agosto 2015. In quella fredda giornata di metà novembre, trasformatasi improvvisamente […]“Si è ritrovato una squadra non sua”. “Non può vincere senza giocatori in grado di adattarsi al suo gioco”. “Un grande allenatore non alza coppe con calciatori mediocri”. Fermi tutti. Perché la seconda vita a Milano di Mancini è iniziata alle 23 del 31 agosto 2015. In quella fredda giornata di metà novembre, trasformatasi improvvisamente in una gioiosa festa di gran parte del tifo nerazzurro in seguito all’esonero di Mazzarri, sulla panchina dell’Inter era subentrato un alter-ego del tecnico jesino, una sorta di sagoma di cartone posizionata davanti ai cancelli di Appiano Gentile in attesa della comparsa del vero Mancio. Ne ha avute tante di attenuanti l’ex allenatore del City, costantemente giustificato dalla stampa e dai tifosi, che non avrebbero mai perdonato gli stessi errori al tanto odiato Walter. Come dargli torto, del resto: da una parte uno che ha vinto due Coppe Italia, due Supercoppe Italiane e tre scudetti con il Biscione, dall’altra uno che ha raggiunto l’apice della sua avventura interista pareggiando 1-1 in casa contro la Juventus. La gratitudine, però, ha un limite che è stato raggiunto per l’appunto alle ore 23 di pochi giorni fa.
Mancini è stato accontentato in lungo e in largo dalla dirigenza nerazzurra. Ausilio ha svolto un lavoro ammirevole, gestendo un mercato autofinanziato con un’intelligenza e un’abilità che pochissimi d.s. possono vantare. Inevitabile la cessione di Kovacic, talento cristallino ma ancora inespresso: ha tutto per scalare e raggiungere la cima dell’Olimpo del calcio, ma non si poteva dire di no ai 35 milioni delle merengues. Poco male, insomma, perché è anche grazie a questi soldi che la rosa dell’Inter può vantare giocatori come Jovetic, Perisic, Ljajic e gli altri nuovi arrivati, tutti fortemente voluti dall’allenatore. L’attacco si è notevolmente rafforzato, con gli innesti dei calciatori sopra citati e con la permanenza di due garanzie come Icardi e Palacio. Da attribuire al tecnico di Jesi anche la scelta di rinunciare alla fantasia a centrocampo, reparto in cui domina incontrastata la fisicità. Discorso simile anche in difesa, dove gli acquisti di Miranda e Murillo sembrano aver dato maggiore solidità alla squadra. Inutile commentare l’arrivo di Telles, che deve ancora fare il suo esordio in Serie A, ma è bene ricordare che anche lui è arrivato sotto specifica richiesta di Mancini, che lo aveva già allenato ai tempi del Galatasaray.
Insomma, gli alibi sono finiti, sepolti sotto i botti di questo pirotecnico calciomercato. L’allenatore dell’Inter ha a disposizione una squadra costruita in perfetta sintonia con la dirigenza. Per questa rosa, almeno sulla carta, il terzo posto è un obiettivo concreto e raggiungibile. Lo jesino ha sulle spalle un carico di responsabilità che trova pochi precedenti nella sua illustre carriera. Adesso, più che in quella fredda giornata di novembre, è il caso di dire “Welcome back, Mancio!”.