La flessione dell’Inter nelle ultime settimane ha aperto di fatto una caccia all’uomo. Chi dà la colpa agli attaccanti, chi solo a Lautaro e chi alle incertezze perpetue di Handanovic. Tutte queste affermazioni possono essere vere, ma il punto sembra essere un altro.
Dopo le prime giornate, la squadra di Inzaghi ha spiccato il volo giocando, come detto da molti, da vera squadra europea. In soldoni, undici giocatori tutti coinvolti nella manovra.
La vittoria per 3-0 sul campo della Roma resta la partita-simbolo dell’Inter di Inzaghi.
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E quest’azione – sul 2-0 di Dzeko – ne è l’emblema.
Un tipo di gioco del genere, però, ha bisogno di un significativo dispendio psico-fisico da parte dell’intero gruppo squadra. La grande differenza con l’Inter di Conte è che quella di Inzaghi non si affida ai duelli uno contro uno: necessita, al contrario, del coinvolgimento di tutti e undici i giocatori in campo per poter creare qualcosa di pericoloso. É stato il punto di forza dei nerazzurri nella prima parte di stagione, ora sembra essere diventato un nemico, come un boomerang che torna indietro.
É visibile a occhio nudo quanto, questo tipo di manovra (basata su scambio di posizioni, fluidità e baricentro alto), l’Inter non riesca più a farla. Dal Derby perso in campionato in poi, i nerazzurri hanno prodotto in media 1,32 npxG a partita (il dato di Statsbomb relativo agli Excepcted Goals, ma senza rigori): una diminuzione di 0,55 npxG a partita rispetto ai precedenti 28 match.
Se da una parte sta mancando del cinismo – contro il Sassuolo l’Inter ha registrato 3,2 xG, il dato più alto della stagione, ma non è stato segnato nessun gol – dall’altra c’è stato un calo della produzione offensiva dell’intera squadra di Inzaghi.
É possibile attribuire questo calo ad alcuni singoli (Lautaro e Barella su tutti) ma l’Inter di Inzaghi – definita più volte come un’orchestra – richiede che tutti gli strumenti suonino e seguano il direttore.
Di fronte a questa palese difficoltà (da ricondurre alla condizione fisica? Può essere, ma non solo), l’Inter ha deciso di disunirsi negli ultimi match, cioè di essere ciò che non è: i risultati si sono visti.
La manovra impossibile da replicare ai livelli di qualche mese fa ha portato l’Inter a provare il lancio lungo, decidendo di affidare a Dzeko e Lautaro duelli individuali contro i centrali avversari. Il problema è che gli attaccanti nerazzurri non sono in grado di farlo (non c’è più Lukaku). L’Inter, d’altronde, è la diciottesima squadra in Serie A per dribbling completati per match.
Piuttosto, l’Inter è riuscita a essere pericolosa dalle parti del Milan, soltanto quando ha fatto ciò che sa fare: avvolgere l’avversario, attaccando con tutti.
Un’altra azione, potenzialmente interessante per l’Inter, è nata da un inserimento di Skriniar che ha dialogato con centrocampo e attacco (andata in fumo per un appoggio sbagliato di Dzeko).
L’orribile prestazione di ieri sera, inserita in un contesto di partita già rivedibile, ha mostrato a tutti che l’Inter non può essere quella vista contro il Milan. Non è la sua natura, non sa essere pungente nei duelli come l’Inter di Conte. La soluzione? Inzaghi può pensare ad alcuni accorgimenti tattici, certo, ma per tornare come prima bisogna continuare a fare quello che si è sempre fatto, cioè non bisogna disunirsi.
Se la condizione psico-fisica non lo permette al momento, ci sarà allora da stringere i denti e soffrire.
Come Antonio Capuano ne “É stata la mano di Dio” di Sorrentino, anche noi ripetiamo all’Inter: “Non ti disunire”.
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