Spesso gli è stato rimproverato di essere unicamente specialista di coppe nazionali, ma di non riuscire a centrare il bersaglio grosso, andandoci soltanto vicino. E in effetti gli era capitato con lo scudetto, nel 2022, e poi con la Champions League, nel 2023. Traguardi solo sfiorati ma tristemente sfumati. Questa volta no, questa volta Simone Inzaghi si è messo in testa dall’inizio, insieme alla dirigenza e all’intero ambiente, che l’obiettivo fosse uno, uno e uno solo. Si è preso lo scudetto, insieme a una squadra con cui è cresciuto passando da gioie e dolori, in maniera sfavillante e con uno strapotere che quasi intimorisce.
Il tricolore è arrivato con un gioco e un’identità riconoscibile, ancor più che nelle due stagioni precedenti, attraverso un’interpretazione del 3-5-2 moderna e inedita: scambi di posizione continui, triangolazioni, supporto costante fra un compagno e l’altro. Ha protetto la difesa dominando il gioco, governato le partite sfruttando i terzi come ali e un centrocampo che è il migliore d’Italia per distacco, finalizzando con una coppia d’attacco rivelatasi sin da subito fatta per convivere e far gioire gli interisti.
Con lo scudetto della seconda stella, Inzaghi è entrato nell’Olimpo della storia interista. Adesso gli manca un ultimo step, che sarebbe ingiusto derubricare come “quello europeo”, visto che l’ex Lazio in finale ci è già arrivato e l’ha pure preparata benissimo. Lo step che attende Inzaghi è piuttosto quello di rimanere competitivi sino alla fine tanto in Italia quanto in Europa. Certo, per farlo avrà bisogno di una rosa rinforzata e allargata. E se quella Champions League dovesse un giorno arrivare, Simone Inzaghi lascerebbe l’Olimpo per entrare di diritto nella leggenda dell’Inter.
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