EDITORIALE – Meglio un presidente tifoso oggi, o un tifoso presidente domani?
Tifosi che fanno i presidenti. Presidenti che sono i primi tifosi della propria squadra. Una squadra che ha un'identità in campo ma dovrebbe averla anche fuori. Quando nemmeno una vittoria può salvare una panchinaSoffri interista soffri, perché questo ti è dato. Non gioire neppure il giorno dopo una vittoria, perché c’è già altro di cui discutere. Esulta come se non avessi detto l’altro ieri che quello non è il tuo capitano. Gioisci nel nome dell’Inter perché farlo apertamene nel nome di Icardi ti renderebbe ancor più ridicolo di chi sputa sulla propria stessa squadra. Quanto è indecifrabile l’universo nerazzurro. In una settimana De Boer è passato da male a anima del gioco. Eppure questo non basta. Ha sete la penna di chi scrive la parola esonero. Ha fiato la voce di chi urla Amala ma vorrebbe l’ennesimo cambio di allenatore. Ha fame di vittorie chi pensa di ottenerle subito dopo tre cambi dirigenziali e un rullino di allenatori che nemmeno il Moratti dei tempi d’oro. Parla da tifoso l’ex presidente e lo fa bene. Riassume il lento procedere verso l’oggi che non conosce il domani di chi da sempre “sostiene” questi colori.
IL MORATTI TIFOSO – A chi gli ha chiesto se lui confermerebbe l’allenatore olandese, l’ultimo presidente della beneamata italiano ha risposto in modo chiaro, <un tifoso non è obbligato a prendere decisioni, segue quello che succede e si fa un’idea>. Ma Moratti non potrà mai essere un semplice tifoso. Lui è stato l’Inter per troppo tempo per potersene lavare le mani. E per questo quel suo conclusivo <speriamo non mi chiedano consigli> aumenta il terrore, l’ardore, la speranza, la delusione. Non è pazzia, neppure indecisione. Queste sono tutte emozioni e sentimenti dei tifosi nerazzurri in base al loro pensiero o, come dice Moratti, alla loro idea.
#IOSTOCONDEBOER – In questi giorni è nato l’# per difendere l’allenatore dell’Inter. Difenderlo dagli attacchi interni, da quelli esterni, dal fuoco copioso che piove sulla nostra squadra nel silenzio di una società impegnata in una settimana cruciale per il suo futuro. Lo difendono tutti… quelli delle altre squadre. Lo protegge chi capisce di calcio, si difende anche lui, non potrebbe essere altrimenti, ma non è neppure scontato. È stanco di parlare di esonero, lo dice chiaramente nella solitudine della sua conferenza pre Torino. Un dettaglio che non è sfuggito all’occhio attento dei tifosi informati. Quelli che vogliono andare oltre il titolo di un giornale e studiano il contesto. Nel suo italiano ancora non madrelingua de Boer ha sottolineato, senza timori di ripercussioni, che la responsabilità è della società. Di quell’Inter che in queste settimane non ha raggiunto grandi risultati, ma non ne ha visti di migliori neppure negli ultimi quattro anni. Basterebbe questo per capire che cacciare de Boer significherebbe cacciare uno dei pochi dotati di palle non griffate Nike all’interno dello spogliatoio.
LO SPETTRO DI LEO – Ma c’è un brasiliano che, da luglio, ha un contratto in mano che aspetta di essere depositato. Il suo nome circola ogni volta che c’è un cambio in vista. È l’ultimo che ha vinto qualcosa con questa maglia, l’ultimo, prima di de Boer, ad aver portato un’identità di gioco. Nel nome della gioia, della freschezza e dell’anarchia tattica Leonardo si presenta come un traghettatore in ottica dirigenziale che ben si adatterebbe al momento di pazzia di questa squadra. Una scelta suggestiva, ma che senso avrebbe? Anche il più grande innamorato dell’ex Milan sa che un altro cambio di panchina, con l’ottica di un ulteriore staffetta a giugno porterebbe con sé il ritorno del gergo più ripetitivo dell’Inter post triplete: l’anno 0.
Sarebbe come dire: cari tifosi avete ragione. Siamo a novembre e già un’altra stagione è finita, sarà per la prossima. Poco importa che c’è una rimonta da fare in Europa, ci arrendiamo. Poco importa non aver ancora giocato in Coppa Italia, magari, forse, arriveremo pronti. Poco importa se il Milan, considerato l’anti Juventus, è a soli 5 punti con un campionato da giocare, ormai questa stagione è un fallimento. Perché un tifoso non è chiamato a prendere decisioni. Un tifoso osserva e si fa un’idea. Le sue parole non hanno un peso. Peccato che l’interista voglia il presidente tifoso e il presidente cerca di fare il tifoso nella peggiore delle sue interpretazioni. Quella della banderuola che cambia idea dopo un gol. Thohir, gruppo Suning o anche tu caro Zanetti. Guardate bene cosa è accaduto dopo quel bolide sotto l’incrocio dei pali di Icardi al minuto 86 di un Inter Torino che potrebbe non aver comunque salvato la panchina di de Boer. Quelli erano i tifosi che avevano messo una pietra su Icardi. Quelli sono quelli pronti a fischiare se dopo 4’ fosse finita in pareggio. “I bonus sono finiti” avevano detto prima del fischio di inizio.
Ecco, questo sì potreste prenderlo, magari però non ditelo a de Boer, ditelo a chi va in campo e quei bonus, sul contratto, vorrebbe metterli. Ditegli che sono finiti, e che da ora, c’è da correre.