EDITORIALE – Pareggio rivelatore
L'abituale editoriale del lunedì sera, doverosamente concentrato su Sampdoria-Inter, una partita che in qualche modo è il riassunto di quanto ha mostrato la squadra nerazzurra nelle prime sette uscite stagionaliNonostante il punteggio apparentemente “tranquillo” (un 1-1 che, senza aver visto la partita, non dice nulla sull’andamento della stessa), Sampdoria-Inter è stata una gara densa, a tratti convulsa, ritmicamente sostenuta, probabilmente giusta nei suoi esiti finali. Dal punto di vista nerazzurro, poi, la sfida di Marassi è una sorta di bignami della stagione che il Biscione ha vissuto sin qui, sia nei suoi pregi che nei suoi difetti, e quindi ha portato con sé parecchi spunti su cui riflettere durante questa pausa per le Nazionali che conduce alla sfida con la Juventus.
Un’Inter a lento avvio (in ambo i tempi) che ha seriamente rischiato di pagare un pegno fortissimo a una Samp che sapeva perfettamente come ai nerazzurri servisse diverso tempo per calarsi nella giusta mentalità di gara e che quindi ha saggiamente approfittato della lenta carburazione degli avversari per farsi pericolosa. Gli dèi del calcio hanno voluto che i blucerchiati trovassero il gol solo nel secondo tempo, la frazione in cui l’Inter di norma dà il meglio di sé (sei gol segnati su un totale di otto durante le riprese, cinque dei quali decisivi per il punteggio finale), per poi calare e venire letteralmente assediati dagli ospiti sia prima che dopo il gol del pareggio di Perišić; sarebbe stata tutta un’altra gara se il gol di Muriel fosse invece arrivato entro i primi 15’ dal fischio d’inizio, forse addirittura una riedizione genovese della sfida contro la Fiorentina.
Per fortuna è andata diversamente ma ciò non toglie che è ormai dai tempi di Stramaccioni che la Beneamata entra in campo troppo rilassata, tanto a inizio gara come dopo l’intervallo, e per ora nessun allenatore ha saputo trovare un modo valido di invertire la tendenza (se non episodicamente, guarda caso in quelle partite più sentite da pubblico e giocatori, dove le motivazioni arrivano spontaneamente).
A questa piaga – che verrebbe da definire endemica per come si ripresenta invariata ogni anno, apparentemente senza alcuna chance di correggerla – hanno poi fatto eco diversi sbandamenti difensivi che denunciano apertamente come la solidità delle prime giornate derivasse da un migliore filtro a centrocampo (Melo teneva la posizione in modo più scolastico e – forse – più efficace per quanto riguarda gli equilibri di retroguardia, Guarín era più “dentro” il gioco nelle prime uscite), da una buona intesa e da un’ottima complementarietà della coppia Miranda-Murillo (che, per un motivo o per l’altro, non s’è più ricomposta dopo la seconda giornata) e, in ultimo, da una non disprezzabile dose di fortuna. Gli affanni che la squadra di Zenga ha provocato al reparto arretrato nerazzurro non sono che lo smascheramento definitivo delle debolezze non ancora sanate che tutta la fase difensiva dell’Inter soffre ormai da qualche anno e che, in avvio di stagione, erano state occultate (purtroppo soltanto provvisoriamente).
Oltre all’incertezza che pare ancora spadroneggiare nelle retrovie del Biscione, ieri è stata una volta di più resa evidente la ricetta abituale di Mancini per le situazioni difficili: l’allargamento del fronte offensivo, l’inserimento di un attaccante in più, la sistematica “alzata” della linea di difesa per consentire una pressione più consistente sull’avversario schiacciandolo nella sua metà campo e il passaggio al 4-2-3-1. Una soluzione che quest’anno ha dato spesso frutto ma che non si può pensare possa funzionare sempre e comunque: un copione così schematico e leggibile rischia di diventare facile da arginare per gli avversari e ci auguriamo tutti che vangano adottate nuove strategie non appena questo tipo d’idea diventi di facile lettura (se non lo è già). Va tuttavia notato come il 4-2-3-1 consenta di far rientrare Perišić nella posizione a lui più congeniale, dove il croato riesce a fare infinitamente meglio rispetto a quando viene schiaffato a fare il trequartista (annaspando, lo ripetiamo per l’ennesima volta), ruolo che tutt’ora dimostra di non riuscire a digerire del tutto – Ljajić non sarebbe una soluzione migliore quando si sceglie di giocare col trequartista?
Qualcosa di positivo però s’è comunque visto, specialmente nell’atteggiamento mentale della squadra, capace di non perdere contatto con la partita anche quando è stata messa sotto, così come è stata in grado di rientrare in gara nonostante lo svantaggio (e non era semplice, considerando il bagno di umiltà da cui si veniva dopo i quattro schiaffoni presi dalla Fiorentina). In realtà, l’Inter non è mai sembrata “uscire dal campo” anche nei momenti peggiori, dimostrando di saper soffrire e capendo istintivamente di dover aspettare un altro (e migliore) momento per alzare i ritmi e prendersi la sua ribalta. Cosa che poi è puntualmente avvenuta.
Un altro aspetto positivo da mettere in evidenza è senz’altro la crescente condizione fisica: è molto importante che i ragazzi del Mancio riescano a concludere le partite in crescendo, significa che il lavoro estivo sta finalmente venendo alla luce e che, nonostante la forma non sia ancora quella ottimale, la condizione cresce di gara in gara. Una preparazione atletica di livello spesso incide parecchio sugli esiti di una stagione lunga e impegnativa com’è quella che sta affrontando l’Inter e tutti gli indizi raccolti finora fanno pensare che quest’estate, perlomeno a livello fisico, il lavoro svolto è stato ineccepibile.
Insomma, il cantiere – a un mese e mezzo dall’inizio ufficiale della stagione – è ancora aperto: si può senz’altro dire che le prime sette uscite dell’anno sono state piene di indicazioni e che la strada intrapresa è buona anche se ci sono ampissimi margini di miglioramento. Ora testa alla Juventus, seconda prova di maturità per un’Inter che, sicuramente, è ansiosa quanto noi di scoprire di che pasta è fatta.