Prima fuori dal progetto, poi il gol nel derby. Ora un titolare: così Eriksen si è (ri)preso l’Inter
La prestazione di ieri sera contro la Lazio la definitiva consacrazione?REGISTA, MEZZALA ED IL GOL NEL DERBY: IL CAMBIAMENTO
Era il 13 gennaio e l’Inter faceva visita alla Fiorentina per gli ottavi di finale di Coppa Italia in gara secca. Una partita importante, da non sottovalutare ma dopo quattro giorni a San Siro sarebbe arrivata la Juventus in campionato e dunque Antonio Conte decise per un turnover leggero, piazzando Christian Eriksen al posto di Marcelo Brozovic nel ruolo di regista. Al suo fianco Roberto Gagliardini ed Arturo Vidal. I nerazzurri passano il turno ed il danese inizia a far intravedere sprazzi di qualità e quantità, telecomandato dal mister. La svolta definitiva – però – avviene due settimane dopo quando, sempre in Coppa Italia, di fronte c’è il Milan capolista. E’ il minuto 97 e Lautaro Martinez si guadagna una punizione da posizione favorevolissima per il piede più che educato di Eriksen: gol e qualificazione. Tutti i compagni corrono ad abbracciarlo, felici come se avessero segnato loro la rete della vittoria.
In quell’abbraccio ci siamo racchiusi un po’ tutti. Aspettavamo da tempo una prodezza del genere e vederla in un match così importante e delicato come un derby è stata una gioia difficile da descrivere. Da lì in avanti il suo percorso è stato tutto in discesa. La conferma da registra contro il Benevento, il cambiamento in mezzala contro la Juventus e contro la Lazio. Ieri sera il danese ha disegnato calcio, mettendo d’accordo tutti i giudizi, dando respiro a Marcelo Brozovic nella manovra ed imbucando alla perfezione per i due attaccanti. Da un suo passaggio – infatti – nasce l’azione del rigore dell’1-0. Le parole di Conte a fine partita forse sono il segnale migliore: finalmente Eriksen c’è e si vede. Il suo processo di ambientamento sembra ad essere a buon punto ed anche quando è stato intervistato ai microfoni di Sky Sport all’intervallo lo abbiamo potuto notare. Certo, la strada è lunga e l’italiano è una lingua complessa, ma già la volontà di provarci a differenza di suoi colleghi che sono in Italia da più anni (e non facciamo nomi) fa molto.