PSICANALISI NERAZZURRA – Due mesi di Inter
Un esperimento, niente di più e niente di meno. Questo è stato l'obiettivo di cinque redattori fulminati che hanno provato a sviscerare problemi, sogni, fantasie, realtà, errori e meraviglie dell'attuale Inter di Mancini come se fossero al bar, solo per iscritto. Il risultato è la seduta collettiva di psicanalisi che trovate qui sotto, tra le sbronze post-sconfitta e i brindisi da vittoria1 – Come si è arrivati dal primo posto a questa crisi di risultati che ormai dura da quasi due mesi e che ha visto un’Inter sostanzialmente impotente specialmente negli scontri diretti?
Conoscendo bene me stesso ed il mio modo di intendere il mondo nerazzurro in maniera “riccardococciantistica”, è inutile nascondervi che per me è stata una lenta agonia. Forse ci siamo illusi, vero, ma tutti noi, sin dalla primissima partita, abbiamo avuto tanti dubbi su questa squadra nonostante alcuni indizi positivi, più legati al rendimento dei singoli che al gioco di squadra ma che meritano di essere sottolineati.
Parlando di gioco e della nostra idea di calcio, non vi nascondo neppure che ho provato un po’ d’imbarazzo nel tentare di autogiustificare anche solo a me stesso alcune vittorie d’inizio stagione, dando vita a una serie di risposte che forse non hanno mai retto. I primi veri campanelli d’allarme (leggi harakiri contro la Lazio, leggi la mega beffa Sassuolo, leggi Lasagna a ragù e cianuro) sono arrivati relativamente tardi, quindi rispetto ai buoni inizi di Mazzarri e Stramaccioni di qualche anno fa la delusione è stata maggiore.
L’Inter di inizio stagione era una squadra costruita su nervi e compattezza, elementi che possono garantire solidità nel breve periodo ma che storicamente non sono mai stati sinonimo di costanza se analizzati in quello lungo. Il calo atletico di fine anno è poi sciaguratamente coinciso con quello emotivo del gruppo, portando via le uniche e nemmeno così solide certezze di inizio stagione. A quel punto la squadra si è sciolta, sono venuti a mancare i pochi presupposti che hanno tenuto in vita la squadra per metà stagione e adesso vanno trovate delle soluzioni alternative (impossibile rimetterla sui nervi e sulla compattezza d’inizio campionato, le rincorse di un ambiente non sereno hanno solo portato problemi interni e punti alle dirette concorrenti) per chiudere con dignità una stagione che definirei “particolare”.
Paradossalmente gli scontri diretti d’andata mi hanno preoccupato relativamente: vittorie con Roma e Milan, pareggio con la Juve e sconfitte in due gare molto particolari con Fiorentina e Napoli, è un bilancio che per me può starci. Diverse quelle del girone di ritorno, non per le sconfitte in sé contro squadre in salute come Juventus, Milan e Fiorentina, ma per come sono arrivate. Tre marce verso il patibolo, quasi ad aspettare l’errore in grado di compromettere la partita che in tutte e tre le gare alla fine è stato commesso (tutti errori individuali e tutti da giocatori differenti, dato emblematico).
Il problema è inverso alla domanda posta, a mio modo di vedere: non possiamo interrogarci sui misteri di un crollo verticale senza prima domandarci come possa essere arrivata una scalata altrettanto vertiginosa. Il calcio è uno sport più semplice di quanto si voglia far credere e le basilari leggi che lo regolano ci sono tornate alla mente proprio ora che i risultati mancano da tempo: per tutta la manciata di mesi che abbiamo trascorso nella melassa davanti a una classifica finalmente splendente, abbiamo negato spudoratamente i principi che abbiamo appreso in anni di partite seguite, di gusto estetico acquisito e di nozioni incamerate. Abbiamo sventolato la bandiera delle statistiche mossi dal puro sentimento, chiudendo gli occhi su una squadra assolutamente imbarazzante in fase di costruzione, retta solo e soltanto da una buona difesa (che non può incassare per 38 partite rimanendo del tutto indenne) e dalle giocate individuali di giocatori che nel giro di poco tempo sono scomparsi dai radar, a testimonianza di come la ricerca del gol sia stata retta esclusivamente dal caso.
Obnubilati dall’aria d’alta quota, ci siamo scordati di come nulla arrivi per caso e di come questa squadra non abbia fondamentalmente mai giocato a pallone. Lo ha testimoniato lo scontro diretto con la Fiorentina di inizio stagione, oltre ai disastri tra gennaio e febbraio: l’Inter con le sue presunte concorrenti non si è mai imposta se non grazie a episodi.
Ciò che ha fatto crollare l’Inter è il semplice fatto che non si può basare una stagione ad alti livelli con la premessa di strappare punti senza un’idea di gioco, seppur semplice. Il carattere e la condizione della prima Inter hanno tenuto in piedi quest’illusione, ma una volta soppresso quel primo fervore, la squadra è rimasta vittima della propria nullità ideologica e della confusione organizzativa emersa drammaticamente nel mercato invernale. Navigare a vista è il sistema più sicuro per un naufragio con i fiocchi.
Come è stato giustamente già fatto notare, la componente episodica della prima parte di stagione non è da sottovalutare. Se la difesa rocciosa e le prestazioni pazzesche di Handanović (eccezion fatta per la gara in casa con la Fiorentina, quasi totalmente da lui compromessa) sono state una costante, quasi tutto il resto è sembrato frutto di lampi e giocate, di embrioni di un’Inter che tutti ci aspettavamo sbocciasse e sta invece pian piano sfiorendo prematuramente. Sebbene il primo posto fosse un piazzamento quasi esagerato, e questo l’abbiamo riconosciuto già ai tempi, non si può nemmeno credere che la corretta dimensione di questa Inter sia tra il quinto e il sesto posto.
A costare maggiormente ai nerazzurri, potrebbe essere stata la mancanza di uno zoccolo duro nella formazione e di al massimo due moduli (meglio uno, con una variante cui adattarsi) su cui insistere. Il gioco delle formazioni continuamente diverse, che ha portato Mancini in testa alla classifica, è stato bello finchè è durato. Il tecnico ha sperimentato, ha testato tutti i pregi e difetti della rosa, ma – non sappiamo per quale motivo – non si è convinto di avere giocatori imprescindibili ed altri meno. La tecnica del disporsi a specchio può funzionare, ma solo se eccezione e non regola, ancor di più in un progetto che prevede l’ingresso nell’Europa che conta. L’impressione è che i tecnici avversari abbiano avuto tempo e modo di capire la filosofia iniziale di Mancini e studiare semplici contromosse, con cui hanno sottratto punti all’Inter.
Nonostante tutto ciò, tengo a precisare che, sempre per la questione episodi, sono convinto che nel primo periodo sia girato quasi tutto bene all’Inter, mentre ora se ne stia pagando in un certo senso lo scotto. Insomma, sarebbero bastati un pareggio all’andata col Carpi e una vittoria al ritorno, e un altro paio di risultati invertiti, per non ritrovarci davanti a una stagione bifronte, ma solo ad una squadra scostante e che, dunque, senza la (forse troppa) fiducia acquisita con i primi risultati, venisse anticipato l’esame di coscienza chiesto solo ora da Javier Zanetti. Oltre ad un voto di umiltà da parte dei giocatori, sarebbe servito un Roberto Mancini capace di accorgersi della necessità di puntare con decisione su determinati uomini (Telles, Brozović, Kondogbia, Perišić, o chi a lui fosse più congegnale) per dare almeno metà volto alla sua squadra. Sarebbe stato più conveniente perdere punti in precedenza, ma arrivare a questa parte di stagione con più chiarezza e qualche certezza in più, cose che adesso sembrano mancare.
Gianluigi Valente:
Dal mio punto di vista, nel calcio come in tutto il resto, non è mai solo uno il fattore determinante per una vittoria o una sconfitta, per un momento positivo o uno negativo.
Vorrei porre l’attenzione sull’anomalia nella dinamica di questa stagione, base di partenza e di arrivo di tutto il discorso: una squadra, soprattutto se rinnovata, che alla fine arriva a ottenere un piazzamento congruo alle aspettative difficilmente parte in quarta, ma dà vita a un processo di maturazione costante nel tempo. L’Inter, in questo senso, è stata “un gigante dai piedi d’argilla” (citazione non casuale, data la presenza di numerosi slavi in rosa) e in quanto tale non si poteva pretendere che reggesse a tanti scossoni né che si potesse costruire qualcosa di importante sul nulla. Perché nel calcio moderno non avere idee è sinonimo di nulla assoluto, soprattutto se ti chiami Inter e se si ha l’obiettivo di finire nelle prime cinque del campionato.
Guardando al modo di giocare e alla filosofia sempre attendista a cui ci siamo ormai abituati non è possibile nemmeno citare il famoso “catenaccio e contropiede”, in quanto tutto sommato l’Inter raramente è stata dominata in lungo e in largo nell’attesa del momento giusto per ripartire: si è trattato solo di anticalcio, di giocare cioè il meno possibile al pallone così da rendere gli episodi, possibilmente positivi, l’unica variabile in grado di incidere sul risultato finale. Col senno di poi, alle domande che ci ponevamo mesi fa sui famosi e illusori 1-0 del primo trimestre e alle quali rispondevamo con l’auspicio che la situazione migliorasse – con la chiosa tutta italiana stile “ma intanto mettiamo punti in cascina, che va bene lo stesso” -, oggi possiamo dire che in effetti gli episodi a cui ci si affidava sono stati positivi fino a dicembre, negativi da Natale ad oggi: vedasi gli assist sciagurati di D’Ambrosio o i gol di Lasagna e Berardi allo scadere per credere. Indubbiamente gli episodi non vanno letti solo come asettici colpi di fortuna, ma possono essere anche il frutto di un lavoro fatto bene o male. Ed è in quest’ottica che dico che, giocando oggi quelle stesse partite nello stesso identico modo, il risultato sarebbe diverso per due motivi: diversi prima di tutto sarebbero l’atteggiamento e la preparazione atletica e tattica degli avversari, che, come ho scritto in apertura, ora sono fisiologicamente diventate squadre vere. In più nel girone di ritorno ci sono motivazioni e pressioni diverse rispetto a quello di andata: la necessità impellente di fare punti (e in qualsiasi modo!) e la cattiveria che di solito aumenta in maniera inversamente proporzionale alle partite che mancano alla fine vanno a elevare le compagini avversarie, diversamente dalla loro mediocrità inziale che invece aveva contribuito ad elevare i nerazzurri. Arrivati a questo punto è palese che il problema è solo in parte tecnico (legato cioè alle qualità dei giocatori a disposizione, che in valore assoluto scarsi non lo sono mai stati). Si può parlare di tante cose: di un mercato sbagliato, della lentezza del giro palla di Felipe Melo o Medel, di Kondogbia che non è ancora esploso o del famoso centrocampista in regia ma faremmo un errore a considerarle delle cause o delle scuse. Sono solo le conseguenze, alle quali si sarebbe dovuto sopperire con altro. Cattiveria, concentrazione alta, lavoro tattico specifico, corsa (qualcuno diceva che “non è importante quanto corri ma dove corri”): tutti aspetti su cui si lavora in settimana. Ed evidentemente è qui la lacuna più grande. Non basta spendere milioni su milioni per giocatori più o meno buoni se poi in sette mesi non si riesce a creare un’identità psicologica e tecnico-tattica in un gruppo di giocatori tutto sommato non trentacinquenni e dunque altamente malleabili e plasmabili.
Credo che ci sia molto poco da aggiungere a quanto da voi detto in precedenza. Partendo dal riferimento cocciantesco di Giuseppe, mi viene in mente Bella Senz’Anima perché l’Inter di inizio stagione era tutto il contrario: brutta, sporca e ruvida ma con un’anima sufficientemente grande perché si potesse pensare che costruirci sopra qualcosa di meglio, a livello di qualità del gioco, fosse possibile. Invece, contrariamente a quello che abbiamo visto fare dalla Juventus – che all’inizio della sua maxi striscia positiva vinceva “in qualche modo” e solo poi ha recuperato certezze a sufficienza per corroborare i risultati col gioco – l’Inter non ha saputo capitalizzare al meglio il fieno già messo in cascina all’inizio (i punti fatti e il morale alto) per innestarci su qualcosa di duraturo e coerente a livello d’identità di squadra.
Forse è soprattutto per questo che adesso, da tifoso, provo una delusione enorme. Il girone di andata, fino alla sconfitta con la Lazio, era stato un sogno a occhi aperti a livello di risultati e, per quanto fossi convintissimo che lo scudetto fosse irraggiungibile, avevo alzato molto l’asticella delle mie aspettative al punto che mai avrei pensato di essere in brutte condizioni a fine febbraio/inizio marzo. Questo non può che acuire il mio senso di smarrimento perché l’auto-sabotaggio calcistico è triste e terribile come poche altre cose.
Il gioco di inizio anno era essenziale fino all’osso, quasi rachitico nei suoi pochissimi assunti iniziali: corsa, sacrificio, occhi iniettati di sangue negli uno contro uno, solidità dietro e talento più o meno libero di fare quel che voleva davanti, pronto a colpire nelle poche occasioni disponibili. Stop. Come premesse di inizio stagione andavano anche bene, il problema è che non solo queste qualità non sono aumentate ma alcune sono addirittura sparite, gradualmente, per colpa della sempre minor convinzione nei propri mezzi che il latitare dei buoni risultati ha via via prodotto, com’è anche fisiologico quando una squadra si sorregge solo sui buoni risultati (e come tutti voi avete detto).
L’Inter è stata affossata dalle sue stesse lacune tecniche mai colmate e dall’incapacità di mantenere alto il livello d’attenzione, di agonismo e di cinismo che, per l’appunto, da soli non bastano per andare avanti bene lungo l’arco di un intero campionato.
Penso che, come Cocciante, quando vedevamo un’Inter brutta ma vincente, le abbiamo chiesto interiormente di spogliarsi e mostrarci di cosa fosse veramente fatta, sperando che fosse abbastanza bella per poter maturare e trovare una buona identità di gioco, oltre che di risultati, che ci concedesse di avere fede nel futuro. Adesso che l’abbiamo effettivamente vista nuda, proprio come Cocciante, non possiamo che dire: «Io non ci credo più».
Per quanto riguarda invece gli scontri diretti, credo che il concetto esposto da Gianluigi sia perfetto: in quelli disputati sin qui, nel girone di ritorno, non è emerso nient’altro che la normale disparità che c’è tra delle squadre che, poste le basi che servivano, sono nella fase in cui marciano finalmente a velocità di crociera dopo aver faticato all’inizio nel trovare la quadratura del cerchio mentre l’Inter, che sembra aver già dato tutto quel che aveva, ha perfino perso le poche convinzioni del girone di andata, finendo quindi per uscire irrimediabilmente (e giustamente) sconfitta.
2 – Come fareste giocare l’Inter adesso?
Gianluigi Valente:
Premesso che più che i sistemi di gioco specifici sono i concetti di gioco e la mentalità a fare la differenza, si può comunque pensare che ci siano degli schieramenti tattici più adatti per sviluppare un certo tipo di gioco a seconda delle risorse. Statisticamente l’Inter 2015-16, che ha sempre giocato con la difesa a 4 ad eccezione delle partite esterne con Torino e Juventus e della prima mezz’ora di quella interna con la Fiorentina, ha ottenuto più punti schierando un centrocampo che tendesse ad allargare la trama offensiva piuttosto che ad allungarla. Non è un caso che con la presenza di almeno un’ala pura di ruolo (talvolta Biabiany e più spesso Perišić) siano arrivate le soddisfazioni più importanti del campionato. Molto spesso Roberto Mancini ha adattato l’altro esterno del caso – pensiamo a Brozović come esterno dei quattro di centrocampo – in modo da poter contare sull’apporto di un mediano in più qualora scalasse in fase difensiva anche un attaccante.
A conti fatti e a scapito della spettacolarità, questo schieramento tattico, ovvero una sorta di 4-4-2 di partenza che si tramutava in 4-5-1 in fase difensiva e in 4-2-4 o 4-3-3 (a seconda dell’avversario più o meno sbilanciato) in fase offensiva, è quello che ha funzionato di più. Il motivo è rintracciabile nella tendenza a far scorrere palla orizzontalmente anche per gli avversari, così da far uscire in pressing, a turno e con esiti positivi, i vari mastini che di solito occupavano la mediana (si pensi a Medel o a Melo): controprova è il fatto che fino a prima di Natale l’Inter era col Napoli la squadra che faceva entrare di meno gli avversari in area di rigore. Inoltre questo 4-4-2 consente a giocatori con le caratteristiche di quelli nerazzurri (non veri e proprio centometristi, ma più giocatori di posizione e dalla fisicità prorompente) di essere sempre corti e ai difensori centrali di accorciare più facilmente sul centravanti quando il mediano di turno interista costringe al passaggio orizzontale l’avversario. Inoltre i due terzini più utilizzati, Telles e D’Ambrosio, hanno dimostrato più volte di andare in difficoltà quando i compagni non aiutano nel raddoppio, ragion per cui con due ali pronte a ripiegare anche loro potrebbero rendere su livelli accettabili.
Nella fase offensiva abbiamo potuto apprezzare le qualità di Perišić prevalentemente quando il croato arriva sul fondo o taglia al centro dell’area nel momento in cui il gioco si sviluppa sull’altra corsia. E con una seconda punta di movimento come Palacio anche Icardi potrebbe infilare più spesso le retroguardie avversarie. Come già detto in apertura, a mio parere tutto ciò non è ottenibile solo ed esclusivamente grazie ad un modulo di gioco: il pressing, le sovrapposizioni, i raddoppi, i tagli, scalare in fase difensiva, le verticalizzazioni o i movimenti complementari delle punte non sono concetti che dipendono strettamente da un sistema predefinito: l’Empoli di Sarri e il Napoli di Sarri hanno mostrato moduli diversi (4-3-1-2 e 4-3-3) ma tratti comuni nello sviluppo delle due fasi. I campioni, ovviamente fanno la differenza, ma, per dirla alla latina: rem tene, verba sequentur.
Ad ogni modo e per concludere, viste le qualità della rosa nerazzurra e visti i risultati della prima parte di questa stagione, a mio parere schierare un 4-4-2 potrebbe aiutare a sviluppare certi concetti imprescindibili per una squadra di successo.
Matteo Rasile:
C’è davvero qualcosa da aggiungere?
Scherzi a parte, l’analisi di Gianluigi è lucidissima e mi trova d’accordo in diversi aspetti. Un fattore importante, a mio parere, è anche la continuità, sia per quanto riguarda qualsiasi modulo verrà adottato, sia dal punto di vista degli uomini. Non dico che sia obbligatorio insistere su undici tasselli, ma almeno aggiungere altre certezze alla sola coppia Miranda-Murillo e all’inevitabile titolarità di Handanović. Mi riferisco, per esempio, all’ingresso in pianta stabile tra i titolari di Alex Telles, a mio parere l’unico terzino superiore a tutti gli altri in rosa, che ha anche dimostrato l’affidabilità in fase difensiva che gli si chiedeva. Inoltre, insisterei su Perišić, giocatore tatticamente intelligentissimo, che garantisce anche il giusto apporto difensivo e può essere perfetto per la catena di sinistra insieme al terzino brasiliano, come già diceva Gianluigi. Per poter far giocare il croato, serve dunque un modulo che sfrutti gli esterni, dunque un 4-3-3 o un classico 4-4-2. Di questi due moduli, ci sono pro e contro: il primo permetterebbe di utilizzare Brozović e Kondogbia simultaneamente (anche se, essendo corta la coperta a centrocampo, si rischierebbe di impostare un modulo e non avere poi i giocatori per utilizzarlo al meglio, con squalifiche o infortuni); il secondo, invece, permetterebbe di far giocare due tra Jovetić, Éder e Icardi.
Con il centrocampo a 4, l’esclusione di Ljajić dai titolari sembrerebbe automatica, a meno che il giocatore non decidesse di sacrificarsi in un ruolo abbastanza limitante e dispendioso. Già nel periodo di titolarità fissa, in cui giocava esterno ma arretrava a prender palla a centrocampo, arrivava spesso stanco negli ultimi venti metri. Per non escludere uno dei giocatori che hanno dato più garanzie e al contempo poter sfruttare il 4-3-3, si potrebbe provare a far giocare il serbo come mezzala, in assenza di Brozović, supportato a dovere da Kondogbia e Medel, garantendogli l’appoggio offensivo di Perišić, un attaccante (Jovetić o Icardi) e l’altro esterno. Questo tipo di soluzione andrebbe però studiato e non improvvisato, per cui il 4-4-2 sembrerebbe la soluzione più immediata e semplice, ma la bravura di un allenatore sta nel ricamare un modulo attorno ai suoi giocatori, se non può mettere in pratica quello che più gli va a genio – nel caso del Mancio, il 4-2-3-1.
A voler essere sincero, a me stuzzica particolarmente l’idea di Paulo Sousa sulla panchina dell’Inter (in caso di fallimento, esonero o dimissioni di Mancini) con il suo 3-4-2-1, ovviamente dandogli il tempo necessario e un centrocampista adatto da affiancare a Kondogbia o Brozović. In difesa, Medel tra Murillo e Miranda, con Telles e Perišić come esterni di centrocampo, Ljajić e Jovetić dietro ad Icardi. Ma questa è pura invenzione.
Giorgio Crico:
È davvero difficile provare a scrivere qualcosa che sia sensato tanto quanto gli interventi di Gian e Teo. Provo quindi a mettere la questione, più che sui moduli, sull’atteggiamento e sui postulati tattici di base. Ora come ora, ritengo che l’Inter abbia l’impellente necessità di ritrovare compattezza andando a cercare il più possibile la vicinanza tra i reparti, provando a mantenere la squadra il più possibile corta. Solo due linee ben definite di centrocampo e difesa possono dare una mano ai nerazzurri nel ritrovare la solidità smarrita, così come urge recuperare il miglior Medel, il quale deve poter avere la libertà di svariare tra le due linee in fase di non possesso per tornare a essere efficace al massimo. Allo stesso modo, una rinnovata buona coesione tra i reparti consentirebbe a ogni portatore di palla di avere più opzioni di passaggio e potrebbe consentire a Icardi di essere meno isolato e fare da sponda più facilmente. Come arma offensiva da accoppiare a una squadra corta, sceglierei poi la transizione veloce: non c’è molto tempo per fare i sofisticati e quindi conviene tornare all’antico, rispolverando il contropiede inteso come una rapida transizione dal recupero del pallone alla proiezione offensiva. In quest’ottica è evidente che almeno uno tra Biabiany e Perišić (forse meglio entrambi) debba giocare sempre, sacrificando Ljajić o Jovetić in quanto tendono ad accentrare su di sé il possesso e rallentare la manovra.
Dati questi assunti, penso che si possa ragionare su un 4-3-3 che in fase difensiva si trasformi in un 4-1-4-1 col Pitbull libero di andare a prendere tra le linee le fonti di gioco avversarie, magari supportato a turno da una delle due mezzali se i playmaker avversari sono più di uno. Chiaramente, uno schieramento di questo tipo ha due criticità principali: la prima è l’enorme sacrificio in copertura chiesto a chi giocherebbe esterno d’attacco (due tra Perišić, Biabiany e Ljajić, coi primi due avvantaggiati), il secondo è l’impiego contemporaneo di tutti e tre i centrocampisti migliori contemporaneamente (Medel, Brozović, Kondogbia) e quindi il forte rischio di dover far giocare ancora spesso Melo non appena capiti qualcosa a qualcuno di loro, un Melo che quest’anno – dopo un inizio accettabile – sta facendo di tutto per dar ragione a chi, in estate, pensava fosse un ex giocatore. Inoltre, volendo, ci sarebbe anche il problema collaterale del solo Brozović in grado di creare qualcosa, il che porterebbe a ricorrere spesso e volentieri ai lancioni della speranza dei difensori per Icardi che, come abbiamo visto, è un po’ poco per essere l’unica risorsa a disposizione.
D’altro canto, i sistemi a due punte imporrebbero di sacrificare costantemente almeno tre giocatori tra i vari Éder, Jovetić, Palacio, Biabiany, Ljajić e Perišić se vogliamo dare per scontata – come sembra – l’imprescindibilità di Icardi ma allo stesso tempo consentirebbero di respirare un po’ di più agli interni di centrocampo, che giocherebbero solo in due per volta.
In definitiva, dunque, terrei buoni il 4-4-2 (a patto che non degeneri in un 4-2-4 in fase di non possesso se non in casi estremi) e il 4-3-3 ma, prima ancora, ricomincerei a lavorare in settimana sui movimenti senza palla difensivi, sull’attenzione alle distanze tra i reparti e sul come portare il pressing, tutti fondamentali che, a mio parere, l’Inter non svolge o svolge molto male di recente.
Federico Raso:
Ritengo sia giusto imbastire il discorso partendo da una premessa: perché l’Inter possa salvare la stagione, è vitale un cambio radicale nell’atteggiamento della squadra. L’Inter di inizio anno era sterile dal punto di vista qualitativo, ma gli interpreti scendevano in campo con dosi massicce di grinta, una famelica foga nel cercare di recuperare le partite e, di conseguenza, con la fiducia per i risultati che man mano venivano raccolti. Ora il circolo virtuoso si è rotto e la squadra non ha più la sana rabbia adeguata, è calata atleticamente ed emotivamente, mentre l’unico fattore a essere intatto è la pochezza tecnica. E i risultati ne hanno risentito. Per pensare di invertire la tendenza, a prescindere dai giustissimi postulati tattici che hanno espresso Gian, Teo e Giorgio, è fondamentale recuperare lo spirito di inizio stagione.
Ma trasferiamoci in campo: il gioco non può nascere dal nulla a marzo, tanto meno se non sembra particolarmente richiesto, quindi un onesto 4-4-2 con esterni in vena di sgasare e linee strette sembra la soluzione più ragionevole per subire il meno possibile e cercare di inventare qualcosa davanti. Icardi unica garanzia davanti, impossibile rinunciare alla sua vena realizzativa; le soluzioni per accompagnarlo non mancano, da Éder a Palacio, passando per i più trascurati Ljajić e Jovetić. Personalmente, non rinuncerei mai a Rodrigo, ma proverei anche a rianimare uno Jovetić che potrebbe essere decisivo anche da fermo, magari a partita in corso.
In difesa, oltre a Murillo e Miranda, mi affiderei sempre e comunque ad Alex Telles, una spanna sopra i colleghi di fascia, e a D’Ambrosio, che nonostante i propri limiti può rendere discretamente con la mente più sgombra. A centrocampo, Brozović serve come l’aria, visto che è l’unico in grado di dare una dimensione verticale alla manovra, affiancato magari da Medel o Kondogbia. Sulle fasce, condivido quanto detto in precedenza: testa bassa e pedalare, servono Perišić e Biabiany. Questo è il mio mini-manuale di sopravvivenza.
Giuseppe Chiaramonte:
Premetto che sarò breve: i vostri interventi danno vita ad un quadro già abbondantemente completo e non mi resta che dare le ultime pennellate di colore per provare a chiudere il cerchio. Proprio come voi, ritengo il 4-4-2 il modulo più adatto a sfruttare al meglio, almeno quantitativamente, il parco di giocatori a nostra disposizione: in realtà la curiosa distribuzione dei nostri uomini in rosa non lascia molto margine di scelta, potendo contare su un numero di attaccanti quasi doppio a quello dei centrocampisti.
Inoltre, il modulo più british della storia del calcio, è per eccellenza adatto a “normalizzare” situazioni complesse (vedi l’altra sponda di Milano) nelle quali schemi eccessivamente offensivi rischiano di dar vita a continue Waterloo sportive che non possiamo più accettare. Da sfatare il mito secondo cui il modulo in questione offrirebbe un calcio poco piacevole ed eccessivamente difensivo: l’ho sempre considerato emblema di compattezza ed efficacia, pur dovendo poggiare su basi solide per esaltare le caratteristiche degli esterni offensivi, attori protagonisti ed aghi della bilancia per il rendimento dell’intera squadra. Sarebbe inoltre il modulo adatto per affiancare ad Icardi un compagno di reparto in grado di gravitare attorno al suo raggio d’azione, risparmiando all’argentino una serie di movimenti richiesti dagli schemi con un solo terminale offensivo. L’Eder di turno, con i suoi movimenti quasi ad “elastico”, aprirebbe spazi vitali anche per gli inserimenti degli esterni, che a quel punto diventerebbero decisivi anche in fase di finalizzazione, elemento non esattamente degno di particolari lodi anche quando si era in vetta alla classifica.
Un’altra variante che ritengo interessante potrebbe essere quella del rombo, che sopperirebbe almeno in parte in parte all’assenza di un uomo in grado di dettare i tempi di gioco spostando sulle spalle del trequartista il peso della manovra. 4-3-1-2 quindi, tanto intrigante quanto complesso: la solita penuria di mezze ali obbligherebbe Mancini a mandare in campo 3 dei 5 centrocampisti a disposizione contando anche il giovanissimo Gnoukouri, non esattamente una mossa lungimirante. Questo tipo di schema inoltre, taglierebbe fuori da ogni idea di gioco giocatori di fascia utilissimi alla causa specialmente a gara in corso come Biabiany e Perisic, quest’ultimo provato ad inizio stagione anche tra le linee con risultati poco convincenti. Chiudo soffermandomi sulla già citata necessità di uno schieramento stabile, la cui efficacia è valutabile soltanto dopo un rodaggio di almeno un paio di mesi: inutile cambiare schieramento ogni due o tre settimane, a prescindere da quanti siano gli esterni e quanti i centrocampisti. Meglio sbagliare costruendo un’idea di gioco stabile in grado di portare certezze future che provare a sopravvivere sulla base di alcuni punti raccolti grazie al calcio camouflage visto in questa stazione.
Giorgio Crico:
Il problema del 4-3-1-2 è anche chi schierare in trequarti, Peppe. Per tutta la prima parte di stagione Mancini l’ha cercato e non l’ha mai trovato perché, banalmente, non c’è una vera e propria mezza punta centrale in rosa. O no?
Giuseppe Chiaramonte:
Vero. La soluzione, pur non esattamente congeniale alle caratteristiche più pure del giocatore, può essere rappresentata da Ljajić: quello visto a cavallo tra novembre e gennaio ha più volte dimostrato di essere il faro della squadra mostrando una discreta tendenza all’abbassarsi anche in zona mediana per ricevere palla ed avviare la manovra. Per questo motivo, quel Ljajić mi sembra ipotizzabile tra le linee, anche più di un meno dinamico Jovetić o di un meno brillante Perišić.
3 – Quanto credete al terzo posto?
Matteo Rasile:
Premetto che, anche quando eravamo primi, io avrei firmato per il terzo posto (seppur con qualche dubbio di golosità). Per come si è messa la situazione, la scalata è ripida, non tanto per i cinque punti di distacco, quanto per la densità in quella parte di classifica. Oltre a noi, ambiscono ai preliminari di Champions anche Roma, Fiorentina e Milan, tutte in un momento migliore e con più certezze. Ciononostante, abbiamo dimostrato di poter ottenere fiducia con una serie positiva (magari iniziando da Palermo, Bologna e una bella vittoria a Roma?), per cui non ci considero fuori dai giochi. Sicuramente, sarebbe un’impresa da pazza Inter. Attualmente, non scommetterei sul nostro terzo posto.
Giorgio Crico:
Penso di non poter aggiungere altro a quanto dice Jude Law per i motivi esposti da Teo.
Gianluigi Valente:
Concordo, attualmente c’è troppo divario tra l’Inter e le dirette concorrenti. Dei nerazzurri abbiamo già parlato abbastanza: forse l’unica cosa che non abbiamo detto è che anche la forma fisica di qualche elemento (penso a Melo, Medel o a Murillo, ma senza volergliene fare una colpa) è molto rivedibile. La Fiorentina è stata la squadra più costante del campionato e a meno di eventi clamorosi continuerà a esserlo fino alla fine; la Roma pare essere tornata a correre come nella prima metà del girone d’andata (e visti i campioni che ha in avanti non mi stupirei se dovesse rientrare addirittura in corsa per i primi posti); il Milan non entusiasma ma sembra aver trovato la quadratura del cerchio e avrà un Menez in più. Sarebbe interessante poter parlare dopo le prossime due partite casalinghe dei nerazzurri, vera ultima spiaggia per il treno che porta ai preliminari di Champions: senza i sei punti sarà addio definitivo a quella ambizione.
Giuseppe Chiaramonte:
«Terzo posto? Chi? Non lo conosco» (cit.).
Non potete farmi questa domanda, ma se proprio insistete corro al piano, metto la parrucca riccia e dopo essermi “ricocciantizzato” rispondo.
Seriamente: no, non ci credo neanche un po’. Paradossalmente la stagione giusta per arrivare terzi con questo tipo di andamento era la scorsa: alla Lazio bastarono 69 punti per arrivare ai preliminari di Champions, poco più dei 53 attualmente vantati dalla Roma, attuale terza forza della Lega con ancora 11 gare da giocare. Quest’anno vedo troppe concorrenti meglio attrezzate e forti di certezze tattiche e atletiche che al momento non abbiamo, mi dispiace ma credo davvero poco all’impresa e temo ci credano poco anche i diretti interessati.
Federico Raso:
Da sobrio per niente. A parte gli scherzi, sono convinto che il terzo posto sia un obiettivo pressoché irraggiungibile per questa Inter. Non tanto per una questione di distanze in classifica, non si è ancora creato un abisso tale da impedire aritmeticamente all’Inter di arrivare in Champions, quanto più per una semplice questione di qualità e valori: la Fiorentina convince a questi livelli da inizio stagione, esprime un gioco delineato ed efficace e ha trovato un equilibrio da tempo.
La Roma di Spalletti è entrata pericolosamente in rotta di collisione con le zone calde e scende in campo con giocatori di livello superiore, totalmente rigenerati dal nuovo allenatore (seriamente, qualcuno crede sia possibile uccellare a suon di scarpate la cricca di Pjanić, El Shaarawy, Nainggolan, Salah, Džeko e compagnia cantante?). Se la Lazio non fosse sui registri di Chi l’ha visto? avremmo un’altra avversaria in grado di soverchiarci con la sola qualità, mentre oggi dobbiamo guardarci le spalle dal Milan e dal Sassuolo, quest’ultimo forse fortunatamente troppo ingenuo per ottenere un accesso alle coppe, ma allo stato attuale delle cose comunque temibile.
4 – Mancini resta anche l’anno prossimo o finirà davvero per prendersi la Nazionale? E in ogni caso, voi lo terreste fino a fine contratto oppure a giugno si potrebbero considerare sufficienti questi due anni scarsi e salutarlo senza troppi rimpianti?
Federico Raso:
Game over. Personalmente, ritengo sia giusto stringersi la mano a fine stagione e dirsi addio senza farsi ulteriormente del male.
La dirigenza ha accontentato Mancini ad oltranza, in sede di calciomercato, acquistando controversi pupilli come Melo, spendendo cifre astronomiche per Kondogbia, regalandogli un pacchetto di centrali difensivi nuovo di zecca e completando il reparto offensivo con Perišić, Ljajić e Jovetić. Una squadra completamente rinnovata, in cui le soluzioni di continuità erano date da giocatori acquistati nello scorso gennaio come lo stesso Brozović: insomma, la società ha dimostrato con i fatti un sostegno sopra la media.
La parabola ideale di un tecnico si evolve così: X viene assunto dalla società Y, prova a sviluppare un’idea di gioco, chiede dei giocatori per metterla in pratica, la società Y si adopera sul mercato e X riceve i mezzi per agire al meglio. Nella parabola tra Inter e Mancini, il tecnico ha chiesto rinforzi senza un’idea di gioco vera e propria, tanto che molti dei suoi rinforzi, fin dai tempi di Shaqiri, sono stati confinati in panchina.
Errare è umano, ma perseverare è diabolico: a gennaio, con la dose massiccia di miopia che non ci si aspetta da un tecnico tanto vincente, ha cercato di tappare il buco generato dalla mancanza di reti con un nuovo attaccante, ignorando il deficit enorme (anche numerico) del centrocampo.
Assenza totale di pianificazione, che nel calcio è il peggiore dei mali. In più, la comunicazione è stata disastrosa a partire dalle prime inflessioni dei risultati: finché l’Inter è stata in testa, Mancini ha ostentato umiltà, ma quando la squadra si è rivelata nella propria pochezza ha manifestato atteggiamenti vagamente isterici.
La minestra riscaldata è stata indigesta, ora bisogna ripartire da capo. Di nuovo.
Gianluigi Valente:
In linea di massima il mio pensiero è identico a quello di Federico. Mi preoccupano due cose: l’ingaggione di Mancini e… Il nuovo allenatore eventuale!! Quali candidati sarebbero all’altezza da un punto di vista tecnico e accessibili da quello economico? La risposta non possiamo certo darla noi, in quanto non conosciamo a fondo la situazione economica della società. In un mondo ideale cambierei l’allenatore domani, ma il mondo ideale non è quello in cui viviamo.
Giorgio Crico:
Voi tutti sapete che non sono mai stato un fan del Mancio e, anzi, quando è tornato ero uno dei pochi molto critici con la scelta e temevo seriamente che fallisse, come in effetti è sembrato che stesse avvenendo in diversi momenti, tra lo scorso anno e quello attuale.
Personalmente non credo ci siano più margini per proseguire oltre il prossimo giugno perché credo che, oltre che tecniche, Mancini abbia dato fondo a tutte le sue risorse, soprattutto emotive. In sostanza non vedo l’allenatore lucido a sufficienza per sostenere un ulteriore anno sulla panchina del Biscione: ci ha messo troppo del suo senza tuttavia riuscire a fare significativamente meglio di un Mazzarri qualunque, pur attraendo giocatori decisamente più forti.
In particolare è proprio quest’ultima cosa che, a mio parere, lo condanna definitivamente al netto della pochezza sul lato dell’identità di squadra che è stata già esposta e verrà ulteriormente sottolineata: l’aver fortemente voluto gente come Shaqiri, Kondogbia e Jovetić e non essere stato in grado non dico di farla crescere ma perlomeno di farla rendere (se non a tratti) come faceva nelle squadre precedenti pesa come un peccato mortale.
Lo scarso peso avuto da questi giocatori nell’economia interista è tale che, quasi quasi, mi viene da pensare che il Mancio li abbia voluti perché li conosceva di nome ma non aveva un’idea precisa di quali caratteristiche avessero attualmente e in che tipo di squadra potessero rendere al meglio. Che esista anche solo questo tipo di dubbio, per un tecnico del suo livello (e del suo stipendio) è semplicemente inaccettabile.
Matteo Rasile:
Per quanto la situazione sembri davvero tragica, soprattutto dopo il “rose e fiori” invernale, aspetterei a dare giudizi. Facile, sono il primo a parlare dopo l’incredibile rimonta di Coppa Italia, ma assicuro che avrei detto lo stesso anche in caso di una partita normale tra Inter e Juve. Per quanto siano innegabili gli errori di Mancini, ritengo che sia difficile trovare l’uomo adatto per un upgrade immediato, e si rischierebbe di cominciare ancora tutto da capo. In caso di fallimento dell’obiettivo, ossia la qualificazione in Champions, sarebbe lecito pensare a qualche alternativa, ma sarà importante decidere in fretta e agire con altrettanta tempestività, sia per un eventuale cambio, sia per la riconferma. Se il terzo posto verrà ottenuto, mi aspetto invece dalla società una conferma del tecnico, a cui hanno sempre dimostrato cieca fiducia.
Come dice Gian, anche io cambierei l’allenatore in un mondo ideale, ma ragionare escludendo i costi e i tempi di ambientamento di eventuali nuovi allenatori vuol dire fare i conti senza l’oste.
Giuseppe Chiaramonte:
Avete detto tutto voi, sono d’accordo. Potrebbe davvero essere finita, forse più per volontà sua che dell’Inter. Come ha ben detto Giorgio, «Mancini ha dato fondo a tutte le sue risorse, soprattutto emotive», ragion per cui lo vedo parecchio poco intrigato da un terzo anno di incognite e responsabilità. Roberto ha chiesto ed è stato accontentato su ogni fronte ed in ogni sessione di mercato, con operazioni a volte ai limiti del “capriccio”, riducendo all’osso ogni possibile attenuante data dai limiti dell’organico ed attraendo a sé ancora maggiori responsabilità. Inoltre vedo l’ipotesi Nazionale come un’offerta che non può rifiutare, in grado di dargli l’opportunità di ricaricare le pile con un progetto gratificante ma meno intenso di quello legato ad una squadra di club come l’Inter.
Personalmente, se l’ipotesi dovesse concretizzarsi, non mi strapperei le vesti, è stata una gestione piena di alti e bassi, come ampiamente prevedibile. Se da una parte è riuscito a riportare all’Inter giocatori di spessore internazionale, dall’altra non è riuscito a gestirli in maniera ottimale, ottenendo da questi appena la metà del loro reale potenziale. Un altro anno insieme sarebbe un bell’azzardo sia per la società che per il tecnico, mi sembra una forzatura che nessuna delle due parti in causa può davvero permettersi.
Se qualcosa dovesse andar male, proprio come successo nella stagione dell’arrivo del Mancio dopo i problemi della gestione Mazzarri, ci si ritroverebbe a ripartire da capo a stagione in corso e questo storicamente non è mai stato un bene. L’Inter in oltre non è nella posizione di procrastinare ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi prefissati ed un addio in corso d’opera darebbe vita al già arcinoto “Anno 0” da rimandare alla stagione successiva.
5 – Sogno time! Visto che sognare non costa nulla, chi vorreste eventualmente sulla panchina l’anno prossimo tra gli allenatori liberi o presunti tali? E con che rinforzi realistici?
Giorgio Crico:
Se bisogna sognare, preferisco farlo in grande e struggermi nel desiderare un allenatore che al 99,9% non arriverà ma che ritengo perfetto per il compito. Nel caso non si capisse dalla gif, mi riferisco a Diego Pablo Simeone.
Il Cholo conosce bene l’ambiente nerazzurro e sa perfettamente quali siano le insidie della piazza. Certo, non gli è mai capitato di doversi relazionare con una proprietà di estrazione culturale così poco latina ma non dimentichiamo che al momento l’Atlético è letteralmente in mano a Doyen e quindi, in un certo senso, Simeone ha sempre dovuto fare i conti tenendo ben presente l’oste ed è abituato a situazioni persino più strane di quelle che attualmente capitano all’Inter, specialmente in sede di calciomercato.
Non devo certo spiegare io perché sia un uomo forte e quindi molto adatto a prendersi sulle spalle un intero club (che è ciò che tutti gli allenatori che hanno avuto successo all’Inter hanno dimostrato di dover essere in grado di fare). A tutto ciò aggiungiamo che è un tecnico capace, vincente e che tiene molto in conto la tradizione delle squadre in cui arriva, dunque non pretenderà di impostare l’Inter su canoni che sono alieni dalla sua natura. Diciamocelo chiaramente: quanti non hanno pensato, vedendo le partite dell’Atlético Madrid, che lo stile di gioco imposto dal Cholo sarebbe adattissimo ai nerazzurri a livello “tradizionale”? Persino l’attuale rosa, per quanto ancora incompleta, ha tante delle caratteristiche su cui il mister argentino ama lavorare.
Simeone porterebbe organizzazione, motivazione, fame, aggressività e una capacità di strutturare il pressing che hanno pochi eguali in Europa. Inoltre apprezza lavorare coi giovani e tanti giocatori dell’Atleti sono letteralmente sbocciati ai suoi ordini: parlo di Koke, di Gabi (che ha vissuto una seconda giovinezza con lui), Filípe Luís, Saúl, Courtois, Godín, Giménez, Diego Costa e potrei continuare. Tutto questo, insomma, che è bravo sia nel fare le nozze coi fichi secchi, sia nel formare fino in fondo dei role player che magari fanno poca notizia ma che in una squadra ambiziosa servono come il pane perché non dimentichiamo che l’Atlético su cui ha iniziato a lavorare non era certo considerato una squadra piena di top player, anzi. Le acquisizioni milionarie di questo ultimissimo periodo sono diventate possibili grazie a dove l’ex mister del Catania ha saputo portare i suoi uomini, questo va tenuto bene a mente. Ammetto che sono di parte ma non vedo nel Cholo una sola caratteristica che penso possa sposarsi male con l’Inter.
Parlando invece di rinforzi plausibili penso che si possa iniziare il discorso partendo da Soriano, apparentemente già in orbita Inter a gennaio e senza dubbio tra i possibili arrivi, in quanto non credo che resterebbe in una Sampdoria così ridimensionata come quella attuale. Per completare il centrocampo, poi, andrei a cercare un giocatore tecnico che possa dare qualche geometria in più al reparto (sapete tutti che sono un maniaco/teorico/fondamentalista del regista che imposta dal basso). Quindi proverei a fare un tentativo per il mio pallino Clasie – non così titolarissimo al Southampton come si pensava in estate – e magari (per quanto difficilissimo) per Tielemans. Nel caso questi due fossero irraggiungibili, si può provare a tentare di strappare Cabaye al Crystal Palace, specialmente se la squadra di Pardew dovesse proseguire a fare risultati discutibili ma con le squadre inglesi è dura fare affari dato l’abisso pecuniario che ci separa, o bussare alla porta dell’Ajax per Gudelj.
In difesa concederei il giusto addio a Nagatomo (come credo chiunque altro) e lancerei il giovane Dimarco, che sta dimostrando in Serie B di essere tutt’altro che un cattivo giocatore, mentre aggiungerei a destra un rinforzo low cost come può essere Widmer, onesto gregario che, in un sistema organizzato e coerente, può dire la sua. In attacco la squadra mi pare già essere sufficientemente attrezzata.
Federico Raso:
“Costruire” è il verbo più seducente del vocabolario del calcio. Chi la pensa come me prenda brandisca un bicchiere di Jack Daniel’s, infili nel mangia-nastri una cassetta, possibilmente non originale, del rocker Charly García e si goda questa fantasia: Jorge Sampaoli all’Inter. Il discepolo di Bielsa, campione d’America in carica con il Cile, non ama particolarmente il calcio italiano. Lo annoia. Quale occasione migliore per stimolare la sua vena ossessiva e competitiva se non in Europa, proprio nel paese che reputa più lontano dal suo stile?
Ma come avverrebbe la colonizzazione filosofica di questo meticoloso genio del fútbol? Innanzitutto, ribaltando gli enunciati che riusciamo a trarre dal gioco di Mancini: se l’italiano è solido, l’argentino è sfrontato. Se lo jesino se la gioca con le individualità, il rosarino se la gioca con il gruppo, di cui è assoluto leader carismatico.
L’atteggiamento si ribalta, Sampaoli è un avanguardista, offensivo e integralista nella mentalità, ma flessibile nei mezzi per perseguire il suo stile. Il suo gioco è intenso ed estetico, ma non manca di pragmatismo e darebbe finalmente ciò che manca a questa squadra: la necessità di seguire un’idea.
Ma passiamo al campo. Sampaoli non si fossilizza su un modulo in particolare, ma parte da uno stile di gioco basato sul recupero immediato nel pallone mediante un esasperato gegenpressing, sulla difesa alta, sulle linee strette, sul possesso e sull’intensità degli esterni.
Come si adatterebbe tutto ciò all’Inter? Partiamo dal basso: Miranda e Murillo sono una garanzia in fatto di fase difensiva, in più il colombiano è un giocatore fisicamente esplosivo e la sua fibra muscolare sarebbe l’ideale nei recuperi in campo aperto, eventualità presente per chi alza vertiginosamente la linea difensiva. In più c’è Gary Medel, leader indiscusso della difesa cilena che già ha fatto vedere ottime cose in quel reparto con la maglia nerazzurra. Con il suo tecnico potrebbe avvenire il definitivo salto di un giocatore difensivamente molto valido, integrabile anche in una difesa a 3. Eventualmente, potrebbe anche giocare da perno basso di centrocampo e ripiegare quando si alzano i terzini. Terzini che per definizione devono spingere in continuazione e Alex Telles sembra essere il prototipo perfetto del ruolo, viste le capacità offensive e il sinistro importante. Dall’altra parte, urge un rinforzo e Šime Vrsalijko sarebbe ideale per percorrere tutta la corsia di destra. A centrocampo, fiducia a Brozović e Kondogbia, ad affiancare un perno basso in grado di dare il via all’azione e ripiegare. Se prevale la parte offensiva, nomino Leandro Paredes, se prevale quella difensiva nomino Ascues del Wolfs, duttilissimo elemento del Perù.
In attacco, la presenza di un’ala pura come Perišić, abituata ai ritmi delle ripartenze immediate, sarebbe vitale, ma manca un’ala destra affidabile. Il prototipo è Callejón del Napoli, ma le circostanze lo rendono un acquisto difficile. Da non escludere anche un rombo, con catechizzazione al sacrificio di Icardi, liberazione di Ljajić nel suo universo di seconda punta e con Banega da enganche, come Valdivia nella Roja.
Se si sogna, lo si fa in grande.
Giuseppe Chiaramonte:
Non posso che quotare Giorgio: il Cholo è un allenatore meraviglioso, forse il più bravo in questo momento a trasmettere la propria identità alla squadra allenata. Ahinoi lo vedo però ai vertici dell’élite mondiale del ruolo, pronto a migrare verso orizzonti ricchi ed in grado di competere per la Coppa dalle grandi orecchie. Nulla da obiettare neppure sul Sampaoli del buon Federico, candidatura decisamente intrigante, manifesto di un calcio moderno e sicuramente nuovo rispetto a quanto visto dalle nostre parti negli ultimi anni.
Giunto il mio turno, parto subito a razzo con un nome probabilmente dal minor peso specifico rispetto a quello dei due mostri sacri già citati ma sicuramente più accessibile e vicino alla nostra realtà nazionale: Eusebio Di Francesco. Spero di non esagerare nel dire che, tenendo conto del valore degli uomini a disposizione e del calcio offerto, l’attuale tecnico del Sassuolo è al momento il miglior maestro di calcio della nostra Lega. È sicuramente un allenatore da progetto a medio-lungo termine, puntando gran parte delle proprie fiches sulla valorizzazione di giocatori giovani e talentuosi in grado di assimilare, proprio durante la loro maturazione, una serie di movimenti in grado di diventare naturali con il passare del tempo. Il calcio di Di Francesco è un calcio tanto piacevole quanto efficace: la stagione in corso conferma la filosofia già mostrata dai neroverdi nella passata annata e l’attuale settimo posto è l’indiretta conferma di meccanismi funzionanti e consolidati. Ai neroverdi inoltre, ruberei ben due giocatori: il croato Vrsaljko (bravo Federico, bravo) e l’interista Berardi. Il primo è al momento uno dei migliori interpreti del ruolo di terzino destro dell’intera Serie A: un giocatore completo e tanto dotato atleticamente quanto tecnicamente, rasenta davvero i limiti della perfezione per quanto riguarda i miei canoni del ruolo.
Berardi invece, è forse il più grande testimone vivente dell’idea di calcio di Eusebio Di Francesco. Realisticamente risulta molto più difficile da acquistare del compagno ex Genoa, ma un tentativo andrebbe fatto. Terza ed ultima priorità sarebbe un regista, da pescare verosimilmente all’estero: non mi cimento in nomi, ma il Tielemans proposto da Giorgio penso intrighi un po’ tutti e sarebbe il giocatore perfetto, nonostante lo sforzo economico richiesto, per rilanciare le sorti di un reparto arrugginito sotto il profilo tecnico. Il resto dipende dalle uscite, ma vedo la nostra rosa abbastanza completa per non andare incontro a rivoluzioni.
Matteo Rasile:
Riposterei direttamente la GIF di Giorgio: stravedo per il Cholo Simeone e per il suo Atlético. Basta vederne una gara per non restare impassibili e notare l’incredibile lavoro del tecnico. Compattezza, coesione, coralità. Simeone è un maestro della squadra, dell’insieme, del tutt’uno che i giocatori in campo devono rappresentare, e sono convinto che calzerebbe a pennello. Ritengo anche io che, purtroppo, l’argentino sia inarrivabile, per cui passiamo ai nomi un po’ meno fantasiosi. Di Francesco stuzzica molto anche me, per quanto io veda difficile un suo inserimento senza la possibilità e il tempo di sbagliare. L’adattamento nel salto da una squadra media a una big può rappresentare uno scoglio, che io accetterei di superare ma che, nel calcio di oggi, pare troppo proibitivo per le società che pretendono il tutto e subito.
Anche per questo motivo, credo che un ottimo compromesso sarebbe quel Paulo Sousa che ha reso la Fiorentina una delle migliori compagini della Serie A per gioco espresso. Il suo 3-4-2-1 avrebbe bisogno di tempo per essere praticato, specie in un’estate in cui mezza squadra si troverebbe a giocare Europei e Copa América, ma non ho dubbi sull’eventuale miglioramento dei singoli e del gioco in caso di ingaggio del portoghese. Come già anticipato, credo che Mancini potrebbe comunque restare: sicuramente, in caso di rimonta e qualificazione ai preliminari di Champions League, si proseguirebbe il matrimonio, a meno di decisioni del tecnico stesso o imprevisti. In caso di mezzi fallimenti, si potrebbe comunque scegliere la via della continuità, forti degli errori del passato e del costo dell’inserimento a libro paga di un altro tecnico.
Gianluigi Valente:
Premesso che avete detto quasi tutto voi e che secondo me sarà proprio Mancini il tecnico dell’Inter nella prossima stagione (troppo alto il suo ingaggio per poterne sostenere un altro e troppi gli investimenti voluti da lui per rimettere tutto in discussione così presto), ammetto che, oltre a Sarri, l’allenatore che più mi ha sorpreso negli ultimi anni è Eusebio Di Francesco. Le vicende calcistiche della mia città mi costringono a seguire il campionato di Lega Pro da anni, così il primo ricordo che ho di lui è proprio risalente a quando allenava in terza serie il Pescara, poi promosso in B a fine anno.
Ricordo anche i tre mesi molto brutti a Lecce, con una squadra abbastanza scarsa a dire vero (infatti retrocesse). Ma il miracolo Sassuolo, che ha portato i neroverdi a ridosso dell’Europa League in soli tre anni di Serie A, fa parte di quelle favole rarissime e bellissime, perché ottenuto con giocatori buoni ma soprattutto valorizzati passo passo e non dal passato eccellente. Temo però che il suo passaggio in una qualsiasi squadra di prima fascia sarà costellato da risultati altalenanti, allo stesso modo di come il passaggio su una panchina di Serie A fu traumatico. Per questo ritengo che Thohir, qualora dovesse cambiare, lo farà per profili già affermati e riconosciuti a livello internazionale. Personalmente un altro allenatore che prima o poi vorrei vedere sulla panchina di una grande squadra è Donadoni (anche se ammetto che è più uno sfizio, una curiosità che un reale desiderio). Dopo quanto fatto a Livorno, Parma e Bologna, l’ex ala del Milan meriterebbe il grande salto: le sue squadre mi hanno sempre colpito perché capaci di andare spesso oltre le aspettative e i propri limiti.
Ovviamente non nomino nemmeno i grandi tecnici più o meno abbordabili del momento, da Simeone a Bielsa, passando per Sampaoli, sicuro che non arriveranno mai. Dico però che in un mondo ideale mi piacerebbe vedere un altro italiano sulla panchina nerazzurra, questo sì.
Per quanto riguarda i rinforzi, secondo me l’Inter necessita assolutamente di:
– un buon terzino destro: il profilo di Vrsaljko è abbastanza accattivante e rientra in quella categoria di sfizi e curiosità a cui alludevo prima. Un terzino che mo ha impressionato parecchio è Bruno Peres del Torino. Nello scorso campionato l’ho tenuto d’occhio tutto l’anno e ci sono state delle fasi della stagione in cui ha vinto partite da solo pur essendo un terzino. L’incognita è rappresentata dal fatto che ha giocato sempre come esterno di un 3-5-2.
– di un altro centrale di riserva: Juan Jesus è ok, ma non basta. Tre competizioni, tra squalifiche, infortuni e fatica, non sono affrontabili con soli tre centrali. Assodato che Miranda, Murillo e Juan Jesus rimarranno in nerazzurro, opterei per una di quelle “rivelazioni” italiane che si accontenterebbero di fare panchina o di giocare in Coppa Italia in una grande squadra (penso a Tonelli per esempio).
– di un terzino sinistro: a seconda di quanto sia buono il terzino destro, sceglierei eventualmente di riscattare o non riscattare Telles, che mi è sembrato il miglior terzino nerazzurro in questa stagione.
– un centrocampista di costruzione: abbiamo visto ieri nella partita tra Chelsea e PSG quanto sia fondamentale avere un regista che detta i tempi soprattutto quando c’è da mantenere il pallone. Le ultime gare dell’Inter ci hanno fatto capire che in un modo o nell’altro, scarpari o non scarpari, i nostri mediani riescono a imbeccare le tre mezze punte. Il problema nasce nel momento in cui c’è da gestire e far girare palla. Se ci riesce ancora brillantemente Thiago Motta in un ottavo di finale di Champions, potrebbe riuscirci anche Banega, che non avrà la raffinatezza del brasiliano (per restare in tema) ma è più dinamico. Un regista di cui sono sempre stato innamorato è Lucas Biglia. L’ho visto per la prima volta in un preliminare di Champions ai tempi dell’Anderlecht e con lui in campo sembra tutto più facile.
6 – Spesso e volentieri, anche in questo pezzo, si parla di progettualità, piani pluriennali, progetti. Secondo voi, queste cose sono compatibili davvero con l’ambiente Inter o col calcio italiano? Avere risultati mediocri nel breve per essere competitivi a lungo termine sembra qualcosa di inconciliabile con come si vive il pallone dalle nostre parti, specialmente se si parla di Inter.
Matteo Rasile:
Purtroppo, come già dicevo parlando di Di Francesco, il famoso errore da cui si impara non sembra voler essere concesso. Con questo modo di ragionare, è possibile azzeccare una stagione che dà la svolta, ma si rischia anche di trovarsi nella situazione attuale dell’Inter, per esempio, e non avere più possibilità di fallire, cercando dunque il salto di qualità immediato. Per dire, un progetto serio e definito, se iniziato anche solo due stagioni fa, avrebbe cambiato le carte in tavola. È anche la mentalità italiana a imporre ciò: basta dare un occhio agli umori dei tifosi, capaci di lamentarsi già alla perdita del primo posto di qualche mese fa. Personalmente, credo esistano enormi differenze tra un quinto posto mazzarriano e uno ottenuto con una scommessa su giocatori e/o allenatori promettenti, da cui ottenere qualche certezza per il prosieguo. Il problema, restando in ambito Inter, è la necessità di regolare i bilanci e la scelta di puntare abbastanza sui premi Champions vincola abbastanza i risultati ad una risalita più rapida.
Giuseppe Chiaramonte:
Partiamo dal presupposto che l’ambiente Inter fa un po’ storia a sé. L’idea del “tutto e subito” ha segnato gran parte della nostra storia recente e nonostante il cambio di proprietà ragionare su progetti a lungo termine risulta ancora particolarmente complesso se non utopico. Sul calcio italiano non ne sarei così sicuro, nella Juventus ad esempio vedo tanta programmazione: partendo dallo stadio di proprietà e gestendo praticamente la metà dei cartellini dei migliori giovani del panorama nazionale sono arrivati successi importanti ed introiti lontani anni luce dai nostri. Riguardo la nostra situazione, penso sia ora di svoltare: ormai, e tutti noi sappiamo quanto a malincuore, sono anni che conosciamo l’amaro gusto di quella fascia di classifica che ovviamente non appaga ma che allo stesso tempo illude in vista della stagione successiva. Le annate deludenti lasciano sempre il segno, ma penso che, nonostante tutto, qualcosa di buono sia stato fatto e che è da questi punti portanti che bisogna ripartire. Alcuni progetti esteri (su tutti quello del Borussia Dortmund), ci insegnano che, una volta individuati pochi ma certi punti forti sui quali far leva, la programmazione porta sempre i suoi frutti. Impariamo ad aspettare, a mettere fieno in cascina anno dopo anno, coscienti del fatto che l’unico modo per tornare a competere è crescere gradualmente intraprendendo un cammino lungo e costante. Ragioniamo già sulla prossima stagione, a prescindere dai risultati di quella in corso: è possibile comprare 4-5 top player in grado di darci la possibilità di vincere subito? No, e sappiamo benissimo perché. L’unica alternativa è maturare per gradi, puntando su giocatori importanti ma futuribili, in grado di innestare meccanismi tali da darci una stabilità economica che, questa volta sì, può portare a successi nazionali, alle gare da brividi in Champions e anche ai top player.
Gianluigi Valente:
In valore assoluto, tutti metteremmo una firma se ci assicurassero che, dopo un paio di anni senza troppe soddisfazioni ma con una crescita graduale un progetto triennale, al terzo anno saremmo in grado di vincere lo scudetto. Il problema è che si è rimasti in un limbo nel post-Triplete (ma ci credo, provateci voi a vendere Milito, Maicon e Sneijder dopo Madrid) e c’è stato un fallimento decisivo nella prima gestione pseudo-seria del post-Triplete, ovvero quella di Mazzarri. L’anno zero sarebbe dovuto iniziare a luglio del 2013, e da luglio 2013 sono passati quasi tre anni. È slittato tutto di due anni, con uno sperpero di denaro. Tralasciando le questioni relative a un eventuale stadio di proprietà, le uniche vie per un progetto a lungo termine sono:
– 1. Investimenti progressivamente crescenti: ma bisogna avere una base economica solida da cui partire e bisogna azzeccare anche alcuni colpi in entrata (vedi Zamparini, che tra Amauri, Cavani, Dybala e, prossimamente, Vázquez avrà racimolato un utile incredibile);
– 2. Valorizzazione del vivaio: siamo carenti, perché abbiamo alcune fra le migliore strutture e alcuni fra i migliori selezionatori, ma poi a 18 anni mandiamo i migliori giovani fuori.
Diciamo che in questo momento per l’Inter la società ha scelto la prima via e gli investimenti di questa estate sono stati coraggiosi. Ormai però il tempo stringe e non è più possibile pensare nuovamente ad un anno zero, anche perché mi sembra che le basi siano state ampiamente poste. In altre parole: dato che a questo punto diventa importante lavorare bene sul campo, penso che chi non riuscirà a cavare qualcosa di buono da queste basi debba avere la dignità di non sedersi mai più su una panchina.
Giorgio Crico:
Quoto Giuseppe, quando dice che l’Inter fa storia a sé da sempre e devo dire che vent’anni di gestione Moratti non hanno aiutato molto i tifosi, poco abituati a vedere progetti pluriennali è una continuità tecnica di rilievo ma sempre desiderosi di vincere tutto e subito nonché puntualmente testimoni di campagne di calciomercato tendenzialmente enormi.
Io penso che quest’anno la crescita di risultati ci sia evidentemente stata, non solo rispetto allo scorso anno (facile) ma anche ripensando al quinto posto di Mazzarri. Le avversarie si sono rinforzate parecchio nell’ultimo paio d’anni e sia il Napoli di Sarri, sia la Roma di Spalletti, sia la Fiorentina di Sousa sembrano avere bei margini di miglioramento garantiti dall’inizio molto recente delle loro avventure e, ciò nonostante, un’identità di gioco molto più solida della nostra. Il problema è stato l’andamento (molto) ondivago dell’Inter, con un girone d’andata sopra le righe e un crollo verticale di due mesi, che ha portato all’immalinconirsi dei tifosi – noi per primi – e a denudare tutti i limiti della gestione tecnica attuale.
Quoto stavolta Gian sull’idea di progetto nel 2013: anche a me è parso palese che assumere Mazzarri sia stata la mossa per dare una svolta e finire del tutto la transizione post Triplete-nuova era, solo che la gestione del tecnico toscano è finita come è finita e il periodo sotto la sua egida è risultato essere un interregno mediocre, rimandando tutto di altro tempo. Io penso che ormai tutte le grandi società del calcio italiano cerchino di programmare e crescere gradualmente, solo che non tutte hanno saputo fare le giuste scelte nei momenti opportuni.
A oggi vedo la progettualità dell’Inter, più che nel profilo del tecnico scelto, nell’acquisizione dei giocatori: a parte un paio di operazioni discutibili, sono stati scelti in gran parte elementi giovani o nel pieno della loro carriera, andando a migliorare decisamente una rosa che era molto deficitaria in parecchi settori. Del resto mi pare anche giusto: se un allenatore non funziona ma la qualità a sua disposizione c’è, magari un altro saprà trarne miglior frutto qualora si decida di cambiarlo (penso alla Roma e a come è resuscitata con l’arrivo di Spalletti ma anche alla prima Juventus di Conte, non così diversa negli effettivi da quella terrificante vista l’anno precedente). Il cortocircuito che però mi pare esserci è presto detto e ve lo giro come provocazione: se si vuol puntare sul miglioramento progressivo del livello medio dei giocatori senza però potersi permettere i campioni, perché tenere un allenatore come Mancini che non è un didatta ma un discreto gestore di grosse personalità? Perché si parla spesso del Mancio come del «motivo per cui i giocatori blasonati scelgono l’Inter» ma se poi non li si sa far crescere si può anche prendere Tielemans senza cavare un ragno dal buco – e tengo a ricordare che sono arrivati calciatori di livello medio alto o con grande potenziale, non fenomeni già affermati. Siamo sicuri che non sarebbero mai venuti senza il mister? È una provocazione, chiaramente, ma penso sia palese che se anche Mancini fosse davvero una calamita irresistibile per i giocatori resta comunque un tecnico non proprio abilissimo a migliorare le risorse giovani a disposizione. Tratto che peraltro condivide con Mazzarri, bravo a spremere sangue dalle “rape esperte” ma allo stesso tempo capace di lanciare solo giovani con un potenziale tale da far pensare che sarebbero esplosi comunque, tipo Cavani e Hamšík. Ecco, io vedo qui la criticità più preoccupante dell’attuale Inter.
Gianluigi Valente:
Mi permetto di aggiungere all’opinione di Giorgio, con cui concordo, che se la società fosse coerente con la scelta di aver puntato su un gestore di grosse personalità dovrebbe ora continuare a condurre un mercato all’insegna di giocatori già affermati e che non abbiano bisogno di dimostrare chissà cosa a chissà chi. A conferma del fatto, poi, che Mancini non sia un didatta c’è l’opinione condivisa da molti che le sue squadre potrebbero giocare esattamente nello stesso modo anche senza un allenatore: facile (e manco tanto) tentare di ammazzare fisicamente gli avversari o allargare il gioco e passare il pallone in orizzontale a chi è meno pressato o lanciare Perišić per consentirgli l’uno contro uno. A me può andare tutto benissimo fino a che si vince, ma poi nel momento negativo non bisogna sorprendersi delle critiche e di chi sostiene che, guardando all’aspetto esclusivamente tecnico (il modo di giocare), le squadre che ha allenato Mancini avrebbero vinto i campionati e le coppe che hanno vinto anche senza allenatore.
Federico Raso:
La mia opinione è più che delineata a riguardo: senza progetti a medio-lungo termine non si può pensare di invertire una tendenza negativa, né tanto meno di creare un ciclo vincente. Chi si pone il problema del fattore ambientale, ricordando che una tifoseria tanto blasonata vive con il mortifero capriccio del “tutto e subito”, non ha tutti i torti, ma deve considerare anche l’altra prospettiva dei fatti: è così intollerabile per la tifoseria trascorrere una o più stagioni realmente propedeutiche ai fini di un progetto tecnico, se la l’alternativa è quella di bazzicare la zona Europa League in un tripudio di disorganizzazione, di obiettivi disattesi e di sistematici reset a fine stagione? Io credo di no. Certo, bisogna avere l’acume di affidare lo scettro di questo nuovo regno a un tecnico adatto, che non sarebbe Mancini, viste le caratteristiche dello jesino, abituato a lavorare fin fa subito con buone individualità senza insegnare qualcosa di proprio. Ed è proprio questo l’unico scoglio che separa l’Inter da un ritorno ai vertici, a mio avviso, proprio ciò che ha inizio stagione ha dato l’illusione di potervi tornare: il tecnico,
La dirigenza si è mostrata più che disponibile ad aprire il portafoglio e contribuire al miglioramento concreto della squadra, Piero Ausilio ha saputo compiere dei veri capolavori (Miranda, Murillo e Brozović non sono costati trenta milioni in tre), facendo sì che la materia prima sia ottima, ma l’assenza di un’idea concreta e delineata di calcio da perseguire ha fatto sì che un così grande dispiego di forze venisse sprecato. Risultato? L’illusione di inizio anno, basata sull’agonismo e l’individualità di ottimi giocatori, ai quali mancava solo un’idea di calcio.
La pianificazione porta sempre a benefici, qualsiasi sia il livello a cui viene applicata: che si tratti della riforma del settore giovanile del Barça, che si tratti del Crotone di Jurić. La mancanza di pianificazione è il male del calcio e la navigazione a vista la sua manifestazione più irrispettosa. Questo è il messaggio in cui credo, a costo di essere ripetitivo.
7 – È giunta l’ora di chiudere questa psicanalisi di gruppo iniziata dopo una sconfitta desolante contro la Juventus e arrivata a coprire tutte le ultime partite, fino alla vittoria col Napoli. Per quale motivo – a parte la corsa (?) al terzo posto – vale la pena seguire l’Inter fino in fondo questa stagione e non lasciarsi tentare dai weekend fuori porta? Voi perché seguirete l’Inter fino in fondo, senza retorica?
Giuseppe Chiaramonte:
Rincorsa a parte, queste ultime gare possono rivelare importanti indizi in ottica futura: consolidare determinate certezze in vista della prossima stagione sarebbe fondamentale per evitare di naufragare tra le turbolente acque del mercato. Se da una parte infatti l’Inter ha già individuato profili affidabili dai quali ripartire (comunque vada), dall’altra troppi giocatori sembrano ancora stanziare in un limbo qualitativo in grado di rivelare poco sulle loro reali capacità: sono o non sono utili alla causa nerazzurra? Il rush finale quindi può servire da setaccio: da una parte le certezze, dall’altra le incognite riguardo le quali va trovata una soluzione. Poi beh, la sofferenza intrisa dentro l’interismo ci ha messo di fronte anche a finali di stagione peggiori e nonostante tutto ce l’abbiamo sempre fatta, con la stessa immutata e maniacale passione. Vivere l’Inter quotidianamente non è semplice, essere interisti non è per tutti, ma forse è più bello esserlo proprio per questo.
Federico Raso:
La stagione sembra ormai gettata definitivamente alle ortiche ma gli spunti interessanti per questi ultimi sprazzi di Serie A non mancano: sarà interessante vedere se i meccanismi di un sistema di gioco ormai definito si rafforzeranno ulteriormente e se Mancini(nel caso in cui venisse riconfermato) potrà ripartire da un buon punto.
Sarà interessante vedere anche le prestazioni dei giocatori in bilico, chi per eventuali cessioni, chi per per dubbi sul riscatto, perché potrebbero essere fondamentali sulle scelte della dirigenza. Per quel che riguarda i difetti della squadra, non è saranno certo le ultime uscite a cambiare la percezione che si ha di una formazione molto incostante e incompleta.
Questi sono i motivi ragionati per continuare a seguire il finale di stagione, tutti marginali rispetto all’unica vera ragione che ci porta allo stadio o ci tiene davanti alla tv: siamo innamorati.
Giorgio Crico:
Concordo, tutti noi siamo sostanzialmente perdutamente innamorati e questo è già di per sé un motivo sufficiente. Ma al di là del cuore, parlando solo in ottica sportiva, credo che seguirò l’Inter fino a fine stagione per capire fino in fondo cosa di quest’annata può essere portato nella prossima (non molto, in realtà). Dei miglioramenti concreti e a lungo termine sul piano del gioco mi sembrano ovviamente utopici mentre – come già diceva Peppe – sarà interessante vedere come si comporteranno i giocatori ancora incerti della conferma, se sapranno dimostrare di essere una risorsa da confermare o se avranno un rendimento sub-par, in modo da defenestrarli (metaforicamente) senza troppi dubbi.
In realtà sono anche curioso di vedere come gestirà il finale di stagione Mancini, del quale non ho mai capito fino in fondo quanto avesse il polso tanto della rosa, quanto del contesto in cui la sua nuova Inter è immersa. Voglio anche comprendere quanto il Mancio sarà in grado di tenere alto il livello di tensione senza un obiettivo concreto, se non quel quarto posto che è vitale (preliminari di Europa League anche no, grazie).
Una cosa è certa: mi auguro di non vedere più una partita agghiacciante come quella giocata in casa del Frosinone, senz’altro uno dei punti più bassi della stagione sotto il profilo del gioco.
Gianluigi Valente:
Jovetić: il finale di stagione sarà utile a capire che ne sarà dal montenegrino. Oggetto misterioso del girone di ritorno (non ha giocato quasi per infortuni vari), Jovetić pare subire il dualismo tattico con Icardi. Senza l’argentino e con l’ex City in campo, l’Inter ha giocato offerto le migliori prestazioni. Ma Icardi è troppo imprescindibile in fase realizzativa se si tiene conto del rapporto con le reti totali della squadra. La sensazione è che Jovetić, su cui pende un obbligo di riscatto difficile da dribblare, giocherà la prossima stagione con la maglia nerazzurra, ma anche che potrà diventare un elemento imprescindibile solo in caso di una clamorosa cessione di Icardi. Nel frattempo rimangono 6 partite per guadagnarsi ulteriore fiducia.
Terzini: Nagatomo, Telles, D’Ambrosio, Santon, l’ormai ex Montoya. Al netto di rinnovi e cessioni durante l’anno, cinque giocatori non sono stati sufficiente per coprire in maniera degna e con costanza due ruoli nevralgici del gioco con la difesa a 4. Il sottoscritto non ha la pretesa di capire nelle ultime 6 partite quali saranno i titolari dell’anno prossimo: a mio modo di vedere nessuna combinazione con i precedenti nomi può formare una coppia degna. Ma sicuramente qualche buona riserva o qualche titolare non fisso (ricordiamoci che l’anno prossimo le competizioni saranno tre) si può trovare. Urge capire chi non fa proprio al caso.
Kondogbia: prima dello stop era sembrato in netta crescita. Speriamo di ritrovarlo bene anche nelle prossima gare.
Questi sono i motivi principali, oltre a quelli già detti da voi, per cui seguirò l’Inter di qui a fine anno.
Matteo Rasile:
Concordo con tutto ciò che avete detto e, rispondendo io dopo la convincente vittoria contro il Napoli, sono già emersi alcuni punti da voi sottolineati. Kondogbia è tornato in campo dopo i fastidi muscolari e ha confermato un trend positivo che permette di annoverarlo senza dubbio tra i componenti l’ossatura futura di questa Inter. Lo stesso Jovetić si è reso protagonista di una bella prestazione e sarà forse l’uomo più atteso per questo finale, in cui potrebbe strappare una riconferma, o almeno provarci, evitando di essere riscattato e ceduto, come fatto con Shaqiri.
Per il resto, abbiamo guardato preliminari di Europa League a metà agosto, partite di Coppa Italia contro squadre di Serie B e molto altro: può essere un terzo posto difficile da raggiungere a fermarci? Per quanto mi riguarda, se non l’ho fatto con l’Inter degli scorsi due o tre anni, credo proprio che non potrò mai rinunciare a una partita dei nerazzurri senza un valido impedimento.