FOCUS – Mr. 40 milioni di fandonie
Essere l’investimento più importante di un’intera campagna acquisti è un’investitura destinata a pesare negli anni quasi fosse un marchio sulla fronte, qualcosa di talmente identificativo da vivere in simbiosi con il nome del giocatore in questione a prescindere dal rendimento e dal momento della squadra. Geoffrey Kondogbia è diventato mister 40 milioni: poco importa ne […]Essere l’investimento più importante di un’intera campagna acquisti è un’investitura destinata a pesare negli anni quasi fosse un marchio sulla fronte, qualcosa di talmente identificativo da vivere in simbiosi con il nome del giocatore in questione a prescindere dal rendimento e dal momento della squadra. Geoffrey Kondogbia è diventato mister 40 milioni: poco importa ne sia costato una decina in meno, funziona così, si arrotonda più che in eccesso, come la classica storia di guerra ingigantita dagli anziani dinanzi al candido stupore dei nipoti. “Mister 40 milioni” non ha il diritto di essere giovane e di sbagliare, il suo cartellino pieno di zeri continua a pendere dagli scarpini ad ogni singolo tocco di palla, buono o cattivo che sia, nemmeno fosse la sfera di piombo attaccata ai cattivi dei cartoni animati rappresentati come prigionieri con tanto di divisa a righe orizzontali e numero identificativo sul petto. In un certo senso, il povero Kondogbia, un po’ un prigioniero lo è: Geoffrey è schiavo di una trattativa lunga, di un triangolo economico a rialzo con protagoniste due società rivali ed un Monaco che come un croupier su tavolo verde distribuisce le carte sapendo che una delle due contendenti dovrà pagare (e pure tanto). Lo svolgimento della tanto intricata quanto ricorrente trama era ormai chiara da tempo: ogni errore del francese sarebbe stato pesante il doppio, mentre ogni buona giocata sarebbe risultata dovuta e specchio dei sempre gonfiati milioni, mai analizzati alla luce di un mercato contraddistinto da cifre esorbitanti lontane dalla nostra lega da almeno dieci anni. A pesare ulteriormente sulle spalle del numero 7 nerazzurro è soprattutto la non immediata resa nelle prime giornate di campionato, classico arco temporale nel quale vengono piazzate le tipiche etichette da discount nel quale vengono subito abbozzate per sommi capi le caratteristiche emerse in poco più di duecento minuti accanto al prezzo sempre più cerchiato di rosso. Kondogbia è stato definito lento, lezioso, poco incline al gioco di squadra e falloso, praticamente l’antitesi del centrocampista moderno che in realtà può diventare e che a tratti ha dimostrato di essere tra le fila del Siviglia e del Monaco. Proprio nella squadra del Principato ha messo in mostra il meglio del proprio repertorio: accanto ad un centrocampista tecnico come il portoghese Moutinho è riuscito a garantire, seppur a tratti, corsa e palleggio, caratteristiche pienamente facenti parte del bagagliaio tecnico del giocatore nonostante la notevole stazza. Altra frottola clamorosa creatasi attorno al giocatore originario dell’Ile de France è il continuo ed ingiustificato paragone con Yaya Touré: vero che il francese ha occupato lo slot predisposto a bilancio per l’ivoriano, falso che siano lo stesso tipo di giocatori, per più ed evidenti motivi. Yaya è un tuttocampista di livello mondiale che ha raggiunto l’apice della propria carriera a trent’anni, sette in più di quelli attuali di Geoffrey, diventando probabilmente il miglior interprete del ruolo dell’intero contesto mondiale. Il giocatore del Manchester City, inoltre, non ricopre il ruolo di Kondogbia da almeno tre stagioni, avendo avanzato il proprio raggio di azione per sfruttare al meglio il proprio potenziale offensivo e rinunciando a quella corsa che fisiologicamente non può essere la stessa di dieci anni fa, quando esordiva con la maglia biancorossa dell’Olimpiakos prima di passare al Monaco, probabilmente unico punto comune in grado di unire le carriere del numero 42 del Manchester City e del neo acquisto nerazzurro. Giocatori diversi in contesti differenti, il paragone non regge e mai reggerà, inutile continuare a girare intorno all’effimero tentativo di raffronto tattico e tecnico tra due giocatori lontani anni luce, così come lontano anni luce è il definitivo inquadramento tattico affibbiato al giocatore dopo poco più di ottocento minuti nella nostra lega. L’Inter ha cambiato tanto, passando da un centrocampo a tre più un trequartista ad uno a due con altrettanti esterni di ruolo che in fase di non possesso vanno a stringersi al duo gravitante nella zona nevralgica del campo. Cambia il modo di giocare ed ancora cambierà, non avendo ancora Mancini trovato l’abito definitivo ad una squadra che pur variando tanto inizia ad avere un’idea di gioco migliore rispetto a quella vista nelle primissime giornate del torneo. Cambia anche l’impatto tattico offerto da una lega totalmente opposta a quelle conosciute in carriera, decisamente più tattica e difensiva, per tanti “la più difficile al mondo nella quale militare”, piena di insidie e di squadre sempre più attrezzate per un calcio fisico in grado di trasformare (quantomeno sotto l’aspetto atletico) ogni sfida apparentemente semplice in una battaglia d’alti tempi. Un calcio diverso per un giocatore particolare, probabilmente non ancora plasmato per essere decisivo in un contesto in piena evoluzione come quello nerazzurro, troppe volte reo di aver classificato prematuramente giocatori risultati poi decisivi in altri contesti neppure troppo lontani da quello di riferimento. Kondogbia va aspettato e giudicato con lucidità e trasparenza, provando a spazzar via il velo di delusione dato da un inizio al di sotto delle aspettative, lontane dal rendimento attuale ma probabilmente proiettate verso un hype creatosi più per via mediatica che per quello fatto vedere fino ad oggi dal francese. Mr 40 milioni non esiste, o forse per essere quel che tutti noi speriamo possa diventare ha bisogno si scrollarsi dalle lunghe leve quel cartellino pieno di numeri e giudizi, attaccatogli in fretta e furia e sbattuto in prima pagina come il più triste dei volantini promozionali di un discount della zona.
Il panorama nazionale, terra di economisti ed allenatori, continuerà ancora a lungo a marchiarlo come “L’uomo da 40 milioni“, un misto tra una creatura mitologica ed il personaggio di un Freak Show, che in base alla prima palla persa rischiano addirittura di lievitare ulteriormente grazie a paragoni improbabili e continue ed ipotetiche pseudo operazioni di mercato da piattaforma calcio manageriale. Geoffrey invece deve continuare a correre: prima o poi quell’etichetta cadrà via, calpestata ed annerita, pronta ad essere rilucidata e ripiazzata sulle gambe di un altro sciagurato Mr. X milioni, ennesima vittima di un calcio sempre più intriso d’odori di gomma e grafite da studio di contabilità e sempre meno profumato d’erba e cuoio.