Simone Inzaghi ce l’ha fatta, Simone Inzaghi è Campione d’Italia per la prima volta nella sua carriera ed è l’allenatore della storica seconda stella nerazzurra. Al terzo tentativo, il tecnico piacentino è riuscito a vincere il tricolore che mancava nella sua bacheca, dopo aver fatto incetta di coppe nazionali e sfiorato addirittura una Champions League.
La prima cosa che ci viene da dire, quasi d’impulso, ma poi l’impulso quando si parla di tifo è spesso figlio della più acuta razionalità, è che nessun allenatore più di Inzaghi meritava di vincere uno scudetto così iconico nella storia dell’Inter. Non perché sia più simpatico degli altri, ma perché Inzaghi e l’Inter hanno instaurato un legame profondo, un affetto reciproco, di quelli che nascono quando ti trovi a condividere tutto: profonde delusioni, serate fantastiche, traguardi impensabili come Istanbul e gioie che ricorderemo per sempre, come quella che stiamo vivendo.
L’allenatore piacentino ha avuto il merito di imporsi in maniera brillante nell’universo nerazzurro, nonostante sia arrivato in uno dei momenti più complicati. Può sembrare strano dirlo, perché in fondo Inzaghi ha trovato la squadra campione d’Italia in carica, ma anche un ambiente scosso dall’addio di Conte, accostato ripetutamente alla parola “smantellamento“, soprattutto dopo i pesanti addii di Hakimi e Lukaku. Inzaghi ha vissuto la particolarità di essere additato come responsabile dello scudetto perso nonostante – all’inizio del suo primo anno – per l’Inter venisse pronosticato un quarto posto stentato.
La verità, come sempre, non tocca nessuno dei due estremi: i nerazzurri avevano i mezzi per lottare per lo scudetto, ma non erano obbligati a vincerlo. L’obbligo è scattato nel momento in cui tutti hanno cominciato ad apprezzare lo stile di gioco e le innovazioni apportate al sistema che fu di Conte. Modulo identico, diversa interpretazione: è un filo conduttore che non è mai cambiato nella storia di Inzaghi all’Inter, destinata a continuare. I nerazzurri hanno perso quello scudetto nella volata contro il Milan ed è una ferita che solo oggi è stata lenita, Inzaghi ha subito gli sfottò dei rivali e pure le critiche dei tifosi nerazzurri, macchiandosi di una sorta di “peccato originale” e realizzando forse solo in quel momento cosa significhi passare dalla Lazio all’Inter.
Già alla prima stagione, però, Inzaghi ha impresso il suo marchio sulla squadra, abituandola a vincere con costanza nonostante il bersaglio grosso sia stato fallito. Supercoppa Italiana e Coppa Italia, entrambe impreziosite da successi al cardiopalma contro la Juventus in finale, restano due grandi soddisfazioni che il tecnico ha rimarcato nei mesi successivi, subendo però accuse di “provincialismo”, perché – ancora – “qui non siamo alla Lazio!“. Fra le altre cose, Inzaghi ha avuto il merito di distruggere il complesso d’inferiorità europeo che affliggeva l’Inter, restituendole gli ottavi di finale di Champions League e centrando un obiettivo mancato da Spalletti e due volte da Conte.
La seconda stagione dell’Inter è ripartita con il tangibile trauma dello scudetto perso. E teniamo bene a mente questo passaggio, perché ci tornerà utile più tardi per spiegare la maturazione definitiva di Inzaghi e dei suoi ragazzi. in ogni caso, i nerazzurri sono partiti malissimo, con quattro sconfitte nelle prime otto giornate e non lottando mai per il tricolore. Quella 2022-23 è stata l’annata contraddistinta dai momenti più difficili per l’Inzaghi interista. In forte discussione in autunno e poi di nuovo in primavera, si è spesso parlato di esonero e il tecnico ha subito attacchi ripetuti. Solo una volta ha reagito verbalmente, con la famosa frase “Dove alleno io aumentano i ricavi, si dimezzano le perdite e arrivano i trofei“.
Trofei che sono arrivati ancora, gli stessi due della stagione precedente. Ma il vero cambiamento è rappresentato dai mesi finali, quelli da aprile a giugno: quella fase è stata l’incubatrice dell’Inter campione d’Italia 2023-24. Inzaghi ha cominciato a ruotare tutti gli uomini a sua disposizione – vedendo nascere l’affettuoso appellativo “demone” coniato dagli interisti per descrivere le sue mosse – rimontando in campionato e centrando una qualificazione in Champions League che era stata addirittura in pericolo, ma soprattutto arrivando alla finale di Istanbul e consumando la storica rivincita in semifinale contro il Milan, a 20 anni esatti dagli euroderby 2003. Un altro “complesso” disintegrato. L’Inter, ormai si è detto e scritto più volte, ha giocato il 10 giugno 2023 una grandissima finale contro il favoritissimo Manchester City, sfiorando la rete dei supplementari fino all’ultimo secondo.
Spesso il calcio si alimenta di frasi trite e ritrite che diventano luoghi comuni, ma questa è l’eccezione che conferma la regola: l’Inter della seconda stella è davvero nata a Istanbul e dal percorso che a Istanbul l’ha condotta. A fine stagione, mentre veniva elogiato per il percorso europeo, a Inzaghi veniva però affibbiata definitivamente l’etichetta di “allenatore da coppe”: bravo nelle partite secche, meno nelle maratone e quindi in campionato. E riecco il peccato originale spuntare fuori. Era arrivato il momento di spazzare via pure quello.
L’Inter ha cominciato a farlo d’estate, quando Marotta è stato chiaro già nel giorno di presentazione del nuovo anno: “L’obiettivo è la seconda stella, nessun altro“. Detto, fatto. Perché tutte le scelte di Inzaghi sono andate in quella direzione, compreso il turnover e la gestione delle energie privilegiate in Champions League e in Coppa Italia, piuttosto che in campionato. Non è un caso che l’Inter sia uscita agli ottavi in entrambe le competizioni, anche se Inzaghi non ha perso il vizio e ne ha approfittato per diventare il primo allenatore a vincere cinque Supercoppe nella storia del calcio italiano, battendo il Napoli in finale. Il capolavoro, però, è stato senza dubbio realizzato in un campionato condotto alla grande, caratterizzato da un ruolino di marcia impressionante che solo la Juventus ha retto fino a inizio febbraio, prima di arrendersi allo strapotere nerazzurro. Ed eccolo qui, il cerchio che si chiude: l’Inter stravince lo scudetto, peccato originale che vola via, Demone in trionfo.
Siamo sicuri, però, che Inzaghi sia già proiettato verso la prossima sfida. Quale? Essere competitivi e provare ad andare in fondo in tutte le competizioni, senza “sacrificare” nulla. Per farlo, però, avrà bisogno di una rosa all’altezza che glielo consenta. Adesso, però, è giusto godersi il trionfo e la gloria. Quella di essere entrato per sempre nel pantheon della storia nerazzurra.
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