La domanda è importante, la risposta ancora di più. Il dubbio ormai è diventato amletico e attanaglia dirigenza e tifosi interisti. Nella margherita del “M’ama non m’ama“, il popolo nerazzurro un giorno strappa il petalo della riconferma e il giorno dopo quello dell’esonero. Dopo quasi due anni, tre trofei conquistati e un finale di stagione – in bilico tra gloria e fallimento – ancora tutto da scrivere, l’interrogativo che ci poniamo è: Simone Inzaghi deve essere l’allenatore dell’Inter anche nel 2023/2024?
Partiamo dai fatti: è il tecnico più vincente dal post-Mourinho. Anzi, è l’unico – oltre ad Antonio Conte – ad aver alzato almeno un trofeo. Per la precisione, ben tre: Coppa Italia 2022 e le ultime due Supercoppe. E l’annata non è ancora finita: potrebbe arrivare il bis nella coppa nazionale e c’è sempre quella Champions che fa sognare ad occhi aperti. Già, perché Simone è stato anche in grado di riportare l’Inter prima agli ottavi dopo dieci anni d’assenza e poi ha compiuto l’impresa di farla tornare tra le migliori quattro d’Europa. Un traguardo impensabile anche solo qualche settimana fa. E che potrebbe diventare pure qualcosa di più: il raggiungimento della finale di Istanbul o chissà. Il derby con il Milan, per quanto “spaventoso” in caso di eventuale eliminazione, è totalmente alla portata: anzi, almeno sulla carta, i nerazzurri sono probabilmente più forti. Se arrivasse all’atto conclusivo della coppa più prestigiosa, sarebbe un ulteriore traguardo da aggiungere al suo percorso e un’altra valida argomentazione per la sua riconferma. Il tutto, poi, perdendo alla prima stagione giocatori fondamentali come Lukaku, Eriksen e Hakimi e dovendo convivere con mercati a costo zero e pochi desideri d’acquisto esauditi dalla società. E non va dimenticato il suo lato aziendalista, che permette non ci siano quei “rumori” interni fin troppo assordanti durante la gestione Conte: Simone si fa andar bene quello che ha o, al massimo, i panni sporchi li lava in famiglia. Non davanti ai microfoni. Per chiudere, c’è un aspetto importante da non tralasciare: quanto accaduto con gli “ex”. Pioli nella passata stagione e Spalletti (ormai manca solo la matematica) in questa si sono laureati campioni d’Italia con Milan e Napoli dopo gli esoneri – da alcuni ritenuti prematuri – avvenuti nel periodo nerazzurro. Forse, almeno questa volta, per evitare che Inzaghi diventi il terzo della lista, conviene aspettare ancora un po’ prima di prendere decisioni affrettate. E di cui c’è il rischio di pentirsi amaramente.
Ma nella luna Inzaghiana esiste anche una metà oscura. Che comincia dai fallimenti in campionato: l’anno scorso, con la rosa migliore (se non in assoluto, quantomeno rispetto al Milan), ha letteralmente buttato uno scudetto che sembrava già vinto. A febbraio, al minuto 74 del derby di ritorno, l’Inter è virtualmente a +10 sui cugini, secondi in classifica. Ma il suicidio prima all’interno della partita e poi della stagione permettono alla banda di Pioli di completare una rimonta che non sembrava possibile, soprattutto confrontando i giocatori e i periodi vissuti in precedenza dalle due squadre. E non è finita qui: quest’anno, Inzaghi è riuscito pure a fare peggio. Anzi, decisamente peggio. A sette giornate dalla fine, l’Inter – pure in questo caso probabilmente con la miglior rosa della Serie A – si trova al sesto posto, attualmente fuori dalla prossima Champions League e a -24 dal Napoli capolista. Un abisso inaccettabile. A cui vanno aggiunte le undici sconfitte solo in campionato: un’enormità, anche questa inammissibile. E pure negli aspetti extra-campo si rilevano due difetti non da poco. Il primo: spesso non sembra in grado di motivare i calciatori e di trasmettergli una mentalità vincente, qualità che invece rappresenta uno dei punti di forza del predecessore (oltre che di uno dei possibili sostituti) Antonio Conte. Il secondo: scuse, scuse, scuse. Sono quelle a cui si aggrappa praticamente dopo ogni sconfitta: attaccanti che non segnano, portieri avversari che parano, buone prestazioni solo fino a un certo punto. Banalità che non possono spiegare i disastri certificati da alcuni risultati. A volta servirebbe un’analisi critica e fare un po’ di mea culpa.
Non è facile stabilire da quale delle due parti penda la bilancia. Re delle Coppe da una lato, mister delusione in campionato dall’altro. La stagione non è ancora finita: si possono toccare sia le vette della gloria che il fondo del fallimento. Ma, a prescindere dai risultati e tenendo conto di quanto accaduto nel passato, forse Simone merita almeno un altro anno sulla panchina dell’Inter: le notti europee da sogno e l’incubo di un Pioli-Spalletti tris (campione d’Italia con un’altra squadra) sono impressi nelle menti del popolo interista. Che, in caso di riconferma, potrà poi dare un giudizio veramente definitivo sull’avventura nerazzurra di Inzaghi.
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