La legge giudica gli uomini, non le squadre
Sono giornate calde emotivamente parlando quelle di un novembre che con le sue piogge sta scombussolando il nostro bel paese. Troppe immagini di morte, di crisi, di disperazione, di poteri acquisiti o assegnati.
PARTIRE DA ZERO: Lo stop del campionato per le nazionali è stato anticipato in casa Inter dalla tragedia di Genova, una giornata di sport spazzata via da fango e morte. Per quanto i paragoni siano improponibili, e non è questa la mia volontà, all’enormità della devastazione che una simile alluvione ha portato, fa eco, nella sua quasi insignificante somiglianza, la tempesta che ha spazzato via in un attimo i bei ricordi del passato. Una pausa per riflettere, ragionare sugli errori commessi e ripartire. Le immagini di Genova e non solo ci ricordano che le tragedie sono ben altre, ma nel piccolo, anche a questa crisi necessita porre la parola fine. Bisogna spegnere televisioni e usare i giornali solo per comporre simpatici origami nel tempo libero, dedicarsi al lavoro, mentale e fisico, guardarsi in faccia e sul logo che si porta sul petto, tirare un bel respiro profondo e reagire.
LA PARTITA GIURIDICA – Quante vane parole sono state dette negli ultimi anni da quell’estate del 2006 quando, mentre Cannavaro mostrava al mondo la coppa di un mondiale vinto col cuore, in patria il cuore dello sport sanguinava dopo la ferita più profonda degli ultimi anni. Scoppia il caso Moggi, con intercettazioni che lo vedono a capo di una “cupola” in grado di dirigere i campionati a favore della propria squadra. Supposizioni o realtà, progetti fantasiosi o tremende aghiaccianti verità, grandi titoli di giornali, sentenze stilate ancor prima dell’inizio del processo e un nome che manca sempre all’appello: l’Inter. Servivano segnali forti, si cercava di aggrapparsi in qualche modo al primo appiglio possibile per salvare se non la faccia, almeno una parvenza di credibilità. Così è stato deciso di premiare l’onestà dell’Inter con uno scudetto, guadagnato non sul campo, o almeno non legittimato da esso. Tifosi feriti, giudizia sportiva in pieno caos e colori di maglie che si tatuano addosso a persone, i cui errori o scarsi valori etici strisciano in modo viscido sulla nomea della squadra, infangandone lo stemma. I processi vanno avanti, nessuno ci sta a subire il ruolo di caprio espiatorio e così nel corso del tempo Moggi, a nome di tutti gli altri imputati, ha cercato di mutare il suo abito, da accusato a vittima, sfruttando accuse a imputati incapaci di rispondere: quel Giacinto Facchetti mancato il 4 di settembre, che come colpa aveva solo quella di denunciare una serie di torti subiti, certificati dalla legge stessa.
SUPPLEMENTARI E CALCI DI RIGORE- Appelli, ricorsi, sentenze, approfondimenti, nuove intercettazioni “bomba”, che avrebbero ribaltato il tutto, e ancora quei nomi che comparivano invano: la Juve, l’Inter, il Milan. Ma non si è mai visto comparire in tribunale un diavolo, un biscione o una vecchia signora, ma solo uomini, quegli uomini chiamati a giudizio in quanto tali e non perchè facenti parte di squadre. Quanti insulti, infamanti, vergognosi, generalizzati a intere tifoserie, a persone accusate di sapere o di essere i veri mandanti del tutto. Ma oggi è arrivata la sentenza, la risposta della legge, chiamata, per sua stessa definizione, ad essere ogettivamente disinteressata da persone e nomi coinvolti. Moggi e altri 16 imputati sono risultati colpevoli, potranno fare ricorso, ma a oggi questo è un dato di fatto: sono colpevoli.
LA GARA VERA – Tutto questo ha abusato eccessivamente del termine “sportivo” e “calcio”, perchè lo sport, quello vero, ha bisogno di ritrovare la serenità che questo stop permette. Dunque il mio vuole essere un appello ai tifosi di tutte le fedi, lasciamo che le gare in tribunale riguardino gli uomini, lasciamo fuori i nostri amati colori, sia che questi, accanto al nero, siano azzurri, rossi o bianchi. Torniamo a guardare gli sportivi, quelli veri, quelli che sudano sul campo per vincere. E cari interisti, guardiamo la nostra squadra, aiutiamola ora più che mai e zittiamo vincendo chi preferisce parlare di noi in faccende che non ci riguardano!