Tutti quelli che sono nati negli anni ’80 e ’90 ed erano ragazzi nel 2000, hanno avuto la fortuna di assistere al massimo splendore del calcio italiano. Non solo per l’enorme tasso tecnico della Serie A, a tutti gli effetti il campionato più bello e competitivo del mondo, ma anche per il quadro d’insieme d’un calcio che non sarà più. Facciamocene una ragione: siamo orfani di qualcosa che ora esiste solo nei nostri sogni.
Le cifre astronomiche giravano già, certo, così come le cessioni clamorose, ma i presidenti erano padri di famiglia, una grande famiglia che altro non era che la squadra, la tifoseria. Erano i primi fan del club, i più grandi sostenitori, al punto addirittura da rischiare di compromettere le proprie aziende per mandare avanti il giocattolo del calcio. In campo c’erano le bandiere, campioni umanamente e sportivamente, e ogni grande club ne aveva almeno uno. Certo, non tutti si legavano a vita ad un club, ma esistevano alcuni valori che ormai sono stati soffocati dal vil denaro. L’attaccamento alla maglia, l’etica del lavoro, l’amore per la nazionale, il rispetto dell’avversario e dei tifosi. Il mantenimento della parola data. Tutto ormai morto e sepolto.
Il mondo e il calcio vanno troppo veloce per fermarsi a riflettere, per far prevalere il cuore sulla ragione. I soldi in ballo sono diventati troppi, montati come una marea infernale, e hanno soffocato tutto quello che di bello c’era in quello che, fondamentalmente, è un gioco. Ora il cuore dei tifosi è diventato uno zerbino al servizio di società, procuratori e calciatori avidi. Tutto e tutti hanno un prezzo e le promesse sono parole al vento date in pasta alla stampa per calmare le acque.
E non è un’accusa al tal presidente o al tal giocatore: è una semplice constatazione su ciò che è diventato lo sport più seguito e amato del mondo, sull’incubo che ha rapidamente preso forma senza che nessun organo competente cercasse di mettere freno alla catastrofe. Una constatazione su ciò che è stato fatto al cuore di coloro che il calcio lo tengono, o meglio tenevano, in piedi: i tifosi.
Il calcio non è più uno sport, ma solo lo specchio di una società che vuole tutto e subito, in cui chi si ferma a godersi il panorama è perduto e dannato. Siamo figli di un calcio violentato e smembrato, in cui non serve essere creativi, leali o astuti: basta avere il portafoglio più grande e gli amici giusti ai piani alti. Figli di un calcio morto: orfani di un mondo che sembra ormai solo una favola lontana. Una favola che racconteremo, magari con una lacrima a rigare il viso, ai nostri figli, increduli di stare assistendo allo stesso sport di cui gli racconteremo.
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Basterebbe un po\' di coscienza generale e non assistere più al calcio in nessun modo, ne direttamente ne davanti a uno schermo, per tagliare le gambe a quello che è diventato soltanto un mondo di avidità e vergogna, e non certo uno sport.
Purtroppo si tratta soltanto di pura utopia!!
Oggi il denaro conta più di valori e sentimenti. Che tristezza!!!
Posso solo consolarmi dal fatto che avendo 65 anni, ho assistito nella vita anche a pagine ben più decorose e entusiasmanti di quello che era un bellissimo sport, indipendentemente dalla squadra per cui tenevi!!