Questo è lo scudetto di Giuseppe Marotta e Piero Ausilio. E di Dario Baccin, perché è giusto non sottovalutare la sua figura da braccio destro del direttore sportivo, scopritore di talenti in giro per il mondo e uomo importante nelle trattative di mercato. Quello del 2024 è il tricolore della dirigenza dell’Inter e lo è di più rispetto al 2021. Il motivo? È presto detto.
All’epoca, infatti, l’area tecnica nerazzurra aveva potuto contare su ingenti investimenti economici da parte della società. Il gruppo Suning aveva vissuto anni di costante espansione e gli acquisti furono una conseguenza: 80 milioni per Lukaku, 45 per Barella, 40 per Hakimi, 25 per Eriksen a sei mesi dalla scadenza e così via. Fu una squadra costruita con le idee, anche quella, ma pure con i soldi. E operare con buone disponibilità finanziarie è ovvviamente più facile.
Dal 2021 in poi, per l’Inter è iniziata una nuova era da quel punto di vista. E lo si è capito praticamente il giorno dopo aver vinto lo scudetto numero 19, quando Antonio Conte scelse di non proseguire la sua avventura in nerazzurro. Furono momenti frenetici, con la ricerca del nuovo allenatore che diventò a tratti affannosa: il tentativo per Allegri che poi scelse (per fortuna) di ritornare alla Juventus, le ipotesi Fonseca o Mihajlovic, la suggestione Sarri. Poi, però, si virò su Simone Inzaghi, convincendolo a lasciare quella che per lui era casa, la Lazio. Oggi su quella panchina il piacentino festeggia la seconda stella e il primo tricolore della sua carriera, oltre che il sesto trofeo a Milano: giusto riconoscere i meriti a chi decise di puntare su di lui.
Le sessioni di mercato degli ultimi anni sono state molto difficili da affrontare, per un dirigente. Marotta e Ausilio ne sono usciti più forti, quasi stimolati dalle complicate contingenze. L’attivo record dell’estate 2021, la vicenda Skriniar nel 2022 e poi il saldo zero nell’estate scorsa, quando sono stati cambiati 12 giocatori in rosa. Ebbene, in questo lasso di tempo l’amministratore delegato, il direttore sportivo e il suo vice hanno commesso alcuni errori, certo (vedi Arnautovic o Correa), ma i capolavori pesano molto di più sulla bilancia. A partire da Calhanoglu e Mkhitaryan, colonne del centrocampo prese a zero; e poi Acerbi che alla Lazio è stato defenestrato, fino ad arrivare al blitz per Thuram soffiato al Milan grazie anche ai contatti e ai rapporti instaurati con il francese e il suo entourage a tempo debito.
La dirigenza ha affrontato situazioni difficili: di Conte e Skriniar abbiamo detto, ma non si può non citare il voltafaccia di Lukaku, profilo sul quale era stato impostato l’ultimo calciomercato estivo. La mossa vincente è stata quella di investire la parte più corposa del budget non su una punta – lasciando quindi a Thuram tempo e spazio per emergere – bensì su un difensore esperto e vincente quale Pavard.
Marotta e Ausilio si sono affermati come autentici strateghi e straordinari professionisti. Per il primo sarà il nono scudetto in carriera, anche se in realtà gli apparterebbe pure il decimo: perché è vero che a fine 2018-19, anno dell’ultimo scudetto juventino con Allegri, il varesino era già all’Inter, ma quella squadra contribuì a costruirla. Vogliamo quindi immaginarci Marotta festeggiare la sua personale stella, mentre i nerazzurri celebrano la seconda. E cosa dire di Ausilio, all’Inter da una vita: con la Beneamata ne ha passate di tutti i colori, arrivando fino al successo odierno, senz’altro il più significativo della sua carriera.
A entrambi manca una Champions League. Ma in fondo ci sono tre stagioni di tempo fino al 2027, anno in cui Marotta si ritirerà. E allora mai dire mai. Al momento, però, è giusto godersi un trionfo memorabile. Prima di un’altra estate, di un nuovo parametro zero e degli ennesimi colpi da maestri.
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