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ESCLUSIVA – Severgnini: “Lautaro? Vi rivelo cosa dissi a Zhang. Con l’autoironia superammo il 5 maggio: mica come i milanisti con Istanbul…”

Per molti di coloro che hanno vissuto una data sportivamente traumatica come quella del 5 maggio 2002, Beppe Severgnini è diventato un amico, un fratello maggiore, che li ha accompagnati nel percorso di ‘riabilitazione’, grazie alla proverbiale ironia e lucidità con cui ha analizzato il momento e risvegliato l’orgoglio di essere tifosi nerazzurri. Percorso culminato con il ritorno ai successi del periodo 2006-2010.

“Invece di farci prendere in giro, lo abbiamo fatto da noi” – racconta il Vicedirettore del Corriere della Sera in esclusiva nell’intervista rilasciata a Passioneinter.com“, e questo è stato psicologicamente molto utile, per me e molti tifosi. Li ho aiutati a metabolizzare”.

Nel 2001 la Regina d’Inghilterra gli ha conferito il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, mentre Giorgio Napolitano nel 2011 lo ha onorato di quello di Commendatore della Repubblica Italiana: parlare “soltanto” di Inter con Severgnini, è forse riduttivo. Ci abbiamo provato, partendo dal farci raccontare come è nata in lui l’attrazione per il nerazzurro, per finire a commentare le voci di mercato e l’attualità della Beneamata.

Quand’è che Beppe Severgnini ha scelto l’Inter? 

“E’ l’Inter che ha scelto me. I bambini tifano per i vincitori. Quando io avevo 6-7 anni c’era la Grande Inter di Herrera che vinceva campionati, Coppe dei Campioni. Mio padre poi era interista, ma tiepidamente. Pensa poi ai miei coetanei del mestiere: Mentana interista, Michele Serri interista, Gad Lerner interista… vado avanti? Non è un caso. Poi ci sono quelli che avevano 6-7 anni negli anni del Milan ed allora è arrivata tutta una generazione di milanisti e via così”.

Nel 2010 eri a Madrid ed hai raccontato: “Vedendo i tedeschi passare con la Coppa di cartone, l’ansia se n’è andata”. Come è stata possibile questa sensazione, raccontata da molti interisti quel giorno?

“Beh, va detto che l’ansia era grandissima. Io nel 2010 avevo 53 anni e quella coppa l’avevo vista l’ultima volta quando ne avevo 6! E poi c’era il fatto del Triplete, i primi in Italia a poterlo fare. La mente umana secondo me ha dei meccanismi per disinnescare l’ansia. Io ho usato la coppa di cartone dei tedeschi, altri avranno usato qualcos’altro. L’ansia è stata disinnescata con una sorta di trucco mentale. Nei primi 5-10 minuti è subentrata la sensazione che l’Inter fosse sul pezzo. Quando l’Inter non c’è con la testa si capisce subito, più che con altre squadre. Non aveva nessuna paura. Erano gli altri ad essere intimoriti, nessuno sbagliava nulla”.

“L’Inter è una forma di allenamento alla vita”: lo hai detto spesso. Che armi ha in più l’interista, nella vita?

“Questo concetto è alla base del mio progetto letterario sull’Inter, durato 8 anni dal 2002, con ‘Interismi’, al 2010, con ‘Eurointerismi’. Poi li ho raccolti tutti in ‘Infiniti Interismi’, è una raccolta che ho fatto l’estate scorsa, un’antologia da 800 pagine. L’interista ha l’autoironia. L’idea che ho avuto – non so se fosse un colpo di genio o di incoscienza – era di trasformare la disfatta del 5 maggio in una forma di autoironia, un po’ amara forse”.

In che modo?

“Invece di farci prendere in giro, lo abbiamo fatto da noi. E questo è stato psicologicamente molto utile. A me, ma anche a tanti interisti: li ho aiutati a metabolizzare. Il 25 maggio 2005 i milanisti hanno perso una finale di Champions in modo incredibile, una catastrofe calcistica, altro che 5 maggio! Eppure loro l’hanno rimossa, non ne parlano. Ancora oggi cambiano discorso, se qualcuno nomina quella partita. Noi abbiamo avuto il coraggio di mettere tutto alla luce del sole. Io in questo credo di aver dato il mio contributo. Zanetti in persona sostiene che io lo abbia dato, eccome”.

Che titolo daresti all’ultimo decennio nerazzurro?

“Infiniti Interismi, penso che sia azzeccato, il nome dell’ultimo volume che ti dicevo”.

L’ultima opera nerazzurra di Beppe Severgnini: un manuale che raccoglie i precedenti 4 volumi di “Interismi”, con una nuova parte iniziale.

Della tua esperienza di tifoso, quale partita ricordi con più piacere?

“Ce ne sono parecchie. Ne ricordo molte anche di secondarie. La rimonta con la Sampdoria (nel 2005, n.d.r.), la vittoria a Monaco contro il Bayern nel 2011. Ma anche il derby di quest’anno è stato incredibile, veramente memorabile. Alcune partite poi, sempre secondarie, sono legate al fatto che andavo a vederle in trasferta con mio figlio, come una vittoria in trasferta a Piacenza con gol di Bobo Vieri, o una a Genova con gol di Ibrahimovic”.

Il giocatore che hai amato di più?

“Ce ne sono stati diversi. Domenghini mi è sempre piaciuto. Così come Boninsegna, che tra l’altro conosco personalmente, è stato veramente un grande, un interista dentro. Una sorta di precursore di Lautaro, per alcuni aspetti. A proposito di Lautaro: ne parlavo con il presidente Zhang, anni fa, non era da molto all’Inter. Parlavamo della Cina, dell’America, l’università dove lui ha studiato. E tra i discorsi mi aveva chiesto quale fosse il giocatore al quale non avrei mai voluto rinunciare: io risposi Lautaro. Al tempo sembrava una risposta strana. E’ un giocatore che mi ha colpito dal primo momento. Vieri, ma mi ha un po’ deluso dal punto di vista umano. Ma ha fatto tantissimo, avendo dall’Inter meno di quanto meritasse, perché si era caricato la squadra sulle spalle. E poi Ronaldo, chiaro. Aggiungo Emre, fra i meno prevedibili, mi piaceva molto”.

E’ venuto a mancare Gigi Simoni: che ricordo porterai di lui?

“Di una persona perbene, molto appassionato dell’Inter, ma anche della Cremonese, come me che sono di Crema. Andai nel ’93 a vedere la finale del torneo anglo-italiano a Wembley. Simoni era uno di quegli allenatori che non ti dicevano una balla. E se te la dicevano, ti segnalavano con gli occhi che te la stavano dicendo. Una caratteristica che ho ritrovato anche in Ranieri ed Ancelotti”.

Con Marotta siamo in buone mani. Ma se dovessi sostituirlo come ds, come gestiresti Lautaro?

“Io non ho in mano i conti. Trovo che però che abbiamo assistito in passato a cessioni dolorose, di giocatori che andati via abbiano lasciato il segno da altre parti. Coutinho, poi non parliamo di Pirlo, lo stesso Seedorf. Lautaro è destinato a diventare un grandissimo centravanti. Una squadra con le ambizioni dell’Inter non dovrebbe privarsene. Credo che avverrà, sono  convinto che l’offerta  sarà di tale portata che, sommata a quella che arriverà per Icardi, permetteranno di fare una squadra super. Però mi dispiace, credo che sia un peccato”.

Un sogno per il prossimo mercato, al di là della possibile partenza di Lautaro?

“Non ne ho uno in particolare. A me piace quel tipo di centravanti, come anche il Kun Aguero, mi piaceva Suarez, anche se è impossibile di carattere. Mi piace questa sorta di seconda punta, giocatori bravi con i piedi, di testa, che sappia fare il centravanti. E’ quel giocatore che fa davvero la differenza. Di centravanti grandi e grossi ce ne sono in giro un po’. Anche di ali veloci ce ne sono, sia a sinistra che a destra. Ci sono trequartisti bravi, anche se non è un ruolo molto frequentato ultimamente. Ecco un giocatore su questa linea è Calvert-Lewin, che ho visto giocare quando sono andato a vedere l’Everton. Lui per esempio lo vedrei bene all’Inter”.

E’ ormai passato il concetto che Eriksen all’Inter stia facendo fatica: sei d’accordo con questo?

“Io faccio il commentatore, editorialista, corsivista: se il Corriere abolisse i commenti, gli editoriali, i corsivi… beh diventerebbe dura per me! Certo, ho imparato a fare altre cose del mio mestiere, però non c’è dubbio che mi porterebbe via il ruolo. Lui non è un esterno, né una seconda punta. Non è una mezzala, perché in quel ruolo devi correre come Barella, c’è poco da fare. Lui è un trequartista. Compri il trequartista e poi elimini il ruolo di trequartista: c’è una logica che mi sfugge”.

Zhang dice spesso e senza indugio: “Porterò l’Inter in cima al mondo”. Gli credi?

“Io credo che lui lo voglia fare. Oltre alla soddisfazione personale, diventa anche un business. In Cina il calcio è anche prestigio, chiedilo a Lippi e Cannavaro. Quindi sì, io gli credo. Credo che lo voglia fare. Poi un conto è volerlo, un conto è riuscirci”.

Conte: come si è calato nell’Universo Inter? Non parlo solo dei risultati sul campo, ma anche a livello empatico.

“Gli allenatori, come i calciatori, sono dei professionisti. Non posso sentire chi comincia con i soliti ‘ah, ma è stato del Milan, della Juve…”. Queste sono cose infantili. Loro vengono e fanno il loro lavoro. Gli infantili siamo noi tifosi. Tra le cose che deve fare un professionista c’è l’essere fedele e portare impegno assoluto per la sua società che lo stipendia: mi sembra che lui questo lo stia facendo. Credo anche che sia uno di quei comandanti che tira fuori il massimo dalle squadre, ma le spreme tantissimo. Anche psicologicamente: questo me lo hanno detto tutti quelli che lo conoscono. Lui richiede tantissimo. Se vedi il suo ciclo è di un paio d’anni: non è Arsene Wenger. Si gioca tutto fra quest’anno ed il prossimo: se non vince uno scudetto o una coppa, non credo che poi sarà facile farlo fra 5 anni”.

La redazione di Passioneinter.com ringrazia Beppe Severgnini per la cortesia e disponibilità.

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Daniele Najjar

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