Acción Romantica – L’importanza di essere Rafinha
La rubrica di Stefano Mazzi: "Perché gli interisti sono gli ultimi dei romantici"Essere interista è una prova di forza. Una specie di girone dell’inferno dantesco che in rari giorni regala balconi affacciati sul Paradiso. Essere interisti è difficile. A volte impossibile. Ti comprime il petto, ti fa smettere di respirare. Sul serio, e non come solo sugli striscioni. Specialmente se interista non sei nato ma lo diventi. A 25 anni, per lo più. Dopo estati e primavere passate al sole, felici e spensierate, a giocare nel Barcellona prima di un infortunio maledetto che non ti ha comunque tolto il sorriso. Senza troppi problemi, senza pensieri. Dove gli unici ostacoli erano rappresentati dall’afa e dalle zanzare catalane.
Diventare interisti è forse più difficile addirittura di nascerci. Si perché un conto è ritrovarcisi. Essere scelti senza possibilità di replica, per colpa oppure merito di un’eredità familiare dalla quale è impossible sottrarsi. Un’altra cosa è scegliere di soffrire nonostante quello che hai visto. Quello che hai sentito. Nonostante sai che te ne pentirai ben presto, finendo per perderti in un vortice infinito di “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Eppure Rafael Alcântara do Nascimento, universalmente conosciuto come Rafinha, non ha avuto dubbi. Mai. Neanche uno. Neanche per sbaglio. Nonostante Champions, campionati e una vagonata di Coppa del Rey. Rafael ha scelto subito. Senza esitazione. Come un bauscia di vecchia data, un milanese di famiglia secolare. Come un Peppino Prisco qualunque. Come un bambino a due giorni da Natale quando gli chiedono cosa desidera sotto l’albero. Rafael ha scelto di vestire l’Inter. Tatuarsela nel cuore. Per sempre.
Sei mesi che sono sembrati dieci anni. Dieci anni che sono sembrati sei mesi. Un’emozione continua. Un qualcosa che va al di là dei trofei. Ecco perché Rafael è diverso. Sembrava Cambiasso per l’attaccamento che ha dimostrato. Ci ha spiazzati. Lusingati. Corteggiati e poi rapiti. Rafa ha vinto. Ha già vinto in questo calcio di mercenari e capitani di ventura che passano da una sponda all’altra di una religione come al ristorante si cambia sedia. Come se niente fosse. Ecco perché un popolo intero ha deciso di buttare via la propria estate pregando per lui. Per il suo ritorno. Ogni sera. A differenza che per altri, passati senza lasciare niente. Altri che hanno deciso di sposare altre cause, e che a fine carriera avranno in tasca qualche scudettino senza assolutamente alcun valore in più, ma nessun sentimento nell’anima. Il cuore vuoto. Saranno solo numeri di una storia.
Non saranno mai la storia. Solo militi ignoti che nessuno ricorderà. Mentre Rafael no. Rafael era troppo impegnato a impersonificare in maniera perfetta la propria passione della sua gente. Della sua squadra. Che ha sempre tifato anche quando ancora non la tifava. Anche quando non lo sapeva. A chilometri di distanza. Lui aveva già scelto noi. Doveva solo aspettare il momento. Ecco chi è Rafael Alcantara. Ecco l’importanza di esser Rafinha in un momento così, in un calcio sempre più arido. Sempre più povero anche se incredibilmente ricco. Ma ricco poi di cosa? Ecco perché noi tutti moriamo per un suo ritorno. Perché nessuno, da almeno 10 anni, è stato come lui. E questo vale già molto di più di una trentina di scudetti. Vale più di tutto. Perché l’Inter, e chi ha saputo onorarla, resteranno per sempre. Grazie Rafael, comunque vada. Grazie!
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