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Baresi: “Mourinho? Numero uno nella gestione delle persone. Regina è appassionata di calcio. E sul lavoro da scout…”

CARRIERA

Queste le sue parole sugli inizi della sua carriera e la passione, da sempre, per l’Inter: “Milanista come m io fratello? A quei tempi tutti eravamo ammaliati da Rivera. Poi il sangue è cambiato velocemente. Primi calci ad un pallone? Sull’aia. Vivevamo in una tipica cascina lombarda con un cortile interno, duro. Ho cominciato a inseguire un pallone lì, spesso a piedi nudi perché non c’erano molte scarpe da rovinare a quei tempi. C’erano sei famiglie, quelle di mio padre e dei suoi tre fratelli, due in affitto. Aspettavamo che tagliassero l’erba per il fieno, così avevamo due giorni in cui potevamo giocare sui prati. Poi l’erba ricresceva“.

CALCIATORE O AGRICOLTORE?  – “Stesso percorso di Franco? Eh sì, aia, prati, oratorio, Inter. All’oratorio giocavo centrocampista, Venturi all’Inter mi mutò in terzino sinistro. Sono partito con un anno d’anticipo su mio fratello destinazione il convitto di Famagosta. Lì legai con Bini, che era più grande di me e con Pancheri che era del mio paese. Fare l’agricoltore? Ci ho pensato fino a quando non ho capito che il calciatore era diventato un mestiere. A me è sempre piaciuta la campagna, fin da piccolo aiutavo. Alla fine la campagna l’abbiamo dovuta lasciare, mio papà è stato male. Se avessi guadagnato prima, avrei comprato i terreni. Mi piaceva, anche se l’agricoltore è un lavoro faticoso. Ricordo che mio padre si alzava alle cinque e non sapeva quando finiva. Meglio il giocatore“.

INIZI A MILANO –  “Si figuri per me che abitavo in campagna e il mio mondo erano cinquanta persone. Mi sono chiesto: vado o non vado? Mi convinsero. Avevo un carattere chiuso, ero taciturno, poco propenso ad aprirmi. Esordio? In campionato a Vicenza, 18 settembre 1977. Mi ricordo una grande emozione, però non sono mai stato apprensivo. La verità? Non avrei mai immaginato questa carriera, sono partito da casa senza pensare a diventare professionista, ma ho sfruttato l’occasione. Bersellini? Una grande persona. Lo chiamavano “il sergente di ferro”. Pretendeva molto e stabiliva regole, chiedeva attenzione e impegno. È stato uno dei primi a cambiare metodo di allenamento, arrivò con il preparatore, figura non ancora così diffusa“.

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Martina Napolano

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