Bergomi: “Un capitano deve sempre dare l’esempio. Oggi viviamo in un mondo fatto d’arroganza”
L'ex capitano nerazzurro ha raccontato alcuni momenti significativi della sua carriera e della sua vitaIntervistato da Famiglia Cristiana, l’ex capitano dell’Inter, Beppe Bergomi, ha ripercorso alcuni momenti della sua carriera con la maglia nerazzurra e con la Nazionale.
ORATORIO – “L’oratorio è stato la mia scuola di calcio e di vita: lì ho appreso il rispetto, l’amicizia e l’impegno, valori che ancora oggi considero fondamentali“.
INFANZIA – “Vengo da una famiglia “normale”. Avevamo un distributore di benzina, mio papà faceva autonoleggio e mia mamma cuciva a macchina, anche per le esigenze della parrocchia: lo fa perfino adesso che ha 87 anni“.
FEDE – “È qualcosa che ho sempre avuto dentro. Nella carriera calcistica, come nella vita privata, ho trovato sostegno nella preghiera. Conoscere i valori cristiani e avere alcune persone di riferimento mi ha tanto aiutato, ad esempio quando ho perso la Nazionale, nel 1991, e mi sono trovato addosso tante critiche. All’inizio la fede era solo sotto forma di richiesta: ricordo che facevo il segno della croce prima di entrare in campo per invocare la benedizione del Signore. Poi ho imparato a ringraziare Dio: spesso chiediamo aiuto per ciò che ci aspetta, ma è importante saper guardare con gratitudine anche al passato. Di recente ho sentito don Giovanni, il “mio” prete di Settala, e mi ha detto “Beppe, stai vicino a Gesù”. Le sue parole mi hanno toccato nel cuore: oggi prego il Signore di starmi vicino“.
LO “ZIO” – “È stato Giampiero Marini ad affibbiarmi il soprannome. A essere sincero, però, non ero così sicuro di me stesso: mascheravo dietro i baffi e l’aria seria, ma anche io, come tutti i ragazzi a quell’età, avevo le mie paure e le mie incertezze“.
UMILTÀ – “Sono andato avanti con serietà. Per fare il calciatore bisogna mettere in conto tanta fatica ed è importante saper dare il proprio contributo al gruppo. Alcuni miei compagni di squadra mi hanno anche fornito un grande sostegno nella vita. Oggi i ragazzi cercano eroi nel calcio, ma non credo ci sia bisogno di idoli quanto di testimoni. La vita non è semplice nemmeno per i calciatori. Come atleti bisogna sempre mettersi in discussione, la carriera non è lunghissima e si passa velocemente da momenti di gloria ad altri in cui tutto e tutti ti danno addosso“.
LEADER – “A dire la verità sono una persona timida e introversa. Però ho sempre pensato che per essere capitano bisognasse dare l’esempio: arrivare per primi e andare via per ultimi, essere in testa al gruppo durante ogni allenamento, prendersi la responsabilità di parlare con il mister e la dirigenza per portare avanti la tutela di tutti. Ho cercato di comportarmi sempre così“.
CARRIERA – “Sono stato un buon difensore. A gennaio sono stato scelto per la Hall of fame del calcio italiano. Se penso che sono partito dall’oratorio di Settala e non avevo nemmeno doti tecniche importanti… Ce l’ho fatta perché ho “giocato di testa” anche nei momenti di difficoltà“.
FRANCIA ’98 – “Non posso dimenticare il Mondiale in Francia nel 1998. Convocato a 35 anni, dopo esser stato lontano dalla Nazionale per sette anni, è stato un grande riscatto“.
GIOVANI – “Quando si allenano i piccoli bisogna mettere da parte l’orgoglio personale e pensare alla crescita e al bene dei ragazzi. Come Mister ho cercato di trasmettere ai miei giocatori quanto appreso sul campo e ai corsi per allenatore. Dicevo loro di divertirsi e tirare fuori il meglio di sé. In serie A o con i dilettanti, bisogna sempre avere voglia di crescere e migliorarsi, tenendo stretti i propri sogni. Puntavo molto anche sul rispetto: viviamo in un tempo in cui c’è tanta arroganza e violenza nel linguaggio, soprattutto sui social network, ma nessuno merita di essere insultato“.