Brozovic: come diventare fondamentale in due partite. Ecco perché l’Inter dipende già dal croato
A Napoli in Coppa Italia e domenica contro il Palermo: in due partite (due e mezzo, se vogliamo infilarci anche lo spezzone di gara contro il Sassuolo), Marcelo Brozovic sembra essersi già preso le chiavi del centrocampo dell’Inter. Arrivato questo gennaio dalla Dinamo Zagabria dopo che per il centrocampo nerazzurro si erano fatti nomi ben diversi, ha fatto da subito sfregare gli occhi a tutti i tifosi ed addetti ai lavori della Beneamata, scansando prepotentemente un talento ancora incompreso come il connazionale Mateo Kovacic. Il Corriere dello Sport di oggi fa un focus intorno al ruolo che Brozovic sta avendo in questa nuova Inter, dopo che il centrocampo di Mancini ha avuto tanti interpreti ma pochi veri padroni in fin troppe partite: “Il croato è innanzitutto un centrocampista intelligente, quindi privilegia la giocata semplice e utile, piuttosto che il ricamo o l’arzigogolo. Non significa, però, che sia un giocatore scontato e prevedibile. Saper fare sempre o quasi la scelta giusta è un merito. In più, l’ex Dinamo Zagabria ci mette pulizia e tecnica: quindi, errori ridotti al minimo – Mancini abitualmente molto severo con i suoi, non l’ha mai rimproverato – e massima efficacia. E pensare che quando è arrivato aveva cominciato da poco la preparazione in vista della ripresa del campionato croato. La condizione, dunque, era perlomeno di rifinire. Ebbene, in soli 10 giorni il suo motore ha alzato notevolmente i giri. Permettendogli, peraltro, di muoversi senza palla e di inserirsi, doti che in pochi hanno nella mediana interista“. Ancora il CorSport, parlando degli altri obiettivi prima di lui per il centrocampo nerazzurro: “Tra l’altro, l’acquisto di Brozovic è stato quasi una sorpresa. L’Inter, infatti, sembrava puntasse tutto su Lucas Leiva o Mario Suarez, con Diarra in aggiunta. Poi è rispuntato il croato, già in orbita nerazzurra la scorsa estate, e poi oggetto dei desideri di Milan e Arsenal. A quel punto, c’è voluto poco per capire che investire soldi veri (3 milioni per il prestito e 5 per il riscatto obbligatorio nel 2016) su un talento di soli 22 anni, in piena rampa di lancio, a differenza del brasiliano e dello spagnolo elementi già consolidati e affermati, era la scelta migliore“.