Chivu: “La Roma voleva mandarmi al Real Madrid, ma con l’Inter ho coronato il sogno scudetto”
Uno degli eroi del Triplete ripercorre la sua carriera con cui ha vestito anche le maglie giallorossa e nerazzurra, squadre che si sfideranno domenica seraIn vista del big match di domenica sera tra Inter e Roma Cristian Chivu ha ripercorso le sue tappe da calciatore parlando naturalmente di nerazzurri e giallorossi.
Di seguito la prima parte dell’intervista concessa ai microfoni del Corriere dello Sport:
Come ha cominciato a giocare a calcio Cristian Chivu?
“Ho avuto un padre giocatore di serie A che mi ha trasmesso questo amore. Nella nostra piccola città rumena lui era un nome e per me era difficile riuscire a eguagliarlo. Il mio desiderio era questo: fare meglio di mio padre nella storia del calcio rumeno”.
In Italia i bambini in quel tempo cominciavano a giocare negli oratori. In Romania dove?
“Sulla strada. Lì un bambino è libero di decidere, di imparare, di comprendere la dinamica del gioco del calcio. Diciamo che fino ad una certa età il bambino deve essere libero di scoprire la bellezza e la libertà del calcio. La strada è perfetta, per questo”.
Come era la Romania di quegli anni? Lei era piccolo quando è caduto Ceausescu, ricorda qualcosa?
“Era l’autunno dell’89 e ricordo benissimo che andavamo due volte a settimana a giocare organizzati con gli altri bambini. Per il resto del tempo giocavamo per la strada. In quel fine dicembre mio padre mi impedì di andare a fare gli allenamenti perché c’era un caos generale, sulla strada c’era gente, si sparava e quindi rimasi chiuso in casa fino ai primi di gennaio del ’90. Però ero sicuro che giocare era quello che volevo, e ce l’avrei fatta. Trovarsi con un pallone era tutto, non avevamo la televisione in quel periodo, non avevamo altri modi per divertirci. Quindi i nostri giochi, la nostra crescita erano fuori con gli altri bambini”.
Lei andò in Olanda, ricorda il giorno in cui ha lasciato la Romania?
“L’anno prima di andare in Olanda militavo ancora nella squadra della mia città,in serie A. Mio padre morì il primo aprile del 1997 e quell’estate mi trasferii in un’altra città. Avevo tante squadre che mi volevano, le migliori della Romania. Ma mio padre era nato a Craiova, aveva fatto lì il settore giovanile, e così ho scelto di andare a giocare nell’Universitatea Craiova. Ero un grande tifoso di quella squadra e poi si trovava molto vicina alla mia città, dove mia madre era rimasta da sola. Giocai lì un anno poi l’Ajax mi volle acquistare. Chiamai mia madre e le dissi “Andrò a giocare nell’Ajax”. La prima domanda che mi fece fu : “Ma è una squadra forte?”. L’Ajax due anni prima aveva vinto la Champions.Non conoscevo tanto il campionato olandese però l’Ajax era un nome importante in Europa e per me era un orgoglio avere la possibilità di giocare lì”.
L’hanno fatta capitano nel 2001 , a ventuno anni…
“Dopo due anni il nuovo allenatore, Koeman, mi ha fatto diventare capitano della squadra. Una grossa responsabilità, che ero pronto ad affrontare . E’ stato un momento di felicità, ho scoperto cosa vuole dire essere orgogliosi di se stessi e la mia autostima è cresciuta in maniera pazzesca. Siamo riusciti addirittura a vincere il campionato, la Coppa e la Supercoppa. Potevamo fare di più, ma eravamo una squadra giovane, inesperta”.
Parliamo adesso dell’esperienza a Roma. Lei è stato quattro anni in giallorosso. Come li ricorda?
“Dopo quattro anni in Olanda sentivo che, per seguire la mia crescita come giocatore e come uomo, mi serviva un’altra esperienza. Quell’estate arrivò l’interessamento della Roma con Franco Baldini che era venuto ad Amsterdam a parlare con la società e con me. Fabio Capello mi disse chiaramente la sua volontà di avermi nella squadra. Quindi decisi di andare via. In una grande squadra come la Roma potevamo fare di più, potevamo vincere lo scudetto… Ma sono orgoglioso della scelta che ho fatto. Ho passato quattro anni meravigliosi, là”.
Che coppia costituiva con Samuel?
“Siamo diventati amici in poco tempo. A Roma abbiamo giocato insieme un anno, poi lui andò al Real Madrid. Dicevamo: ‘Le nostre carriere le finiremo insieme nel Boca Juniors’. Non fu così. Poi lo ritrovai nell’Inter a Milano. Lui era molto bravo, un difensore puro, vero, molto bravo a leggere le situazioni e nel duello con l’attaccante. Ci completavamo, perché quando serviva la sua irruenza, la sua forza fisica lui era presente, quando serviva leggere e anticipare le azioni altrui ero presente io”.
Poi passa all’Inter…
“Pur avendo vinto con la Roma una Coppa Italia, nella mia testa ho sempre pensato ‘Prima di andarmene via da un Paese, non solo da una squadra, devo vincere il campionato’. Quell’estate fu molto dura: la Roma aveva rimandato per un anno l’incontro per rinnovare il contratto. Incontro che non arrivò mai, non so per quale motivo. Ma era chiaro che la società non mi voleva più. Comunicai, dopo la finale di coppa, che c’era un interessamento dell’Inter. Durante l’estate la Roma mi disse di andare al Real Madrid e ci fu il casino che ho dovuto sopportare, per due settimane. Alla fine ci fu l’accordo tra l’Inter e la Roma e passai all’Inter. Sereno non lo ero, ma dopo pochi giorni a Milano capii che era tutto passato. Furono anni belli, perché il primo riuscimmo a vincere il campionato, all’ultima giornata. Proprio la Roma ci era stata molto vicina. Il mio sogno si era avverato. Ero riuscito a vincere il campionato in Italia”.
Ha mai capito perché la Roma non le rinnovò il contratto?
“No. Ho qualche idea. Diciamo che non ho mai avuto la fama di avere un fisico molto importante. Ho avuto molti problemi, durante la mia carriera, dovuti non so a cosa. Ma la mia forza era che riuscivo sempre a rialzarmi, pur avendo subito degli infortuni importanti. Penso che la Roma non si fidasse di quello che io potevo dare, avevo già ventisette anni”.
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