Clamoroso Moratti: “Ibra al Milan? Mi chiamò e disse che avrebbe scelto noi. Ho sognato Iniesta, ecco perché ho mollato Messi”
L'ex presidente dell'Inter ha rilasciato una lunghissima intervista al Corriere della Sera raccontando clamorosi retroscena di mercatoMassimo Moratti, ex numero uno nerazzurro e presidente di quell’Inter entrata nella leggenda nel 2010 con il suo Triplete, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera.
Si parte dagli acquisti mancati degli anni ’60: “Papà aveva trattative avanzate con Puskas e il connazionale Kocsis. Con la rivoluzione ungherese, i due andarono a Vienna, divennero apolidi, e in Italia arrivarono enormi pressioni politiche per non complicare i rapporti diplomatici… Quella di John Charles è una vicenda diversa. Caso vuole, anche se fu per causa delle sigarette, che mio padre venne colpito da una mezza ischemia. Papà ricevette la telefonata dell’avvocato Agnelli il quale gli ricordò che per Charles la Juve avrebbe offerto sempre una lira in più, e papà non era nelle migliori condizioni per duellare…”.
Angelillo sbarcò però a Milano: “Uno dei più forti calciatori al mondo. Un grande amico, un vero signore. Però venne venduto. Herrera preferiva Suarez, e i risultati gli diedero ragione. La grande Inter… Assi stranieri e talenti delle giovanili. Come Corso. Lo vidi piccolissimo all’Arena, un mercoledì, il giorno del campionato riserve. Giocava sulla fascia e mandò in tilt il suo marcatore spedendolo fuori dal campo. In senso letterale. Era la squadra di capitan Picchi. Partita nell’ex Jugoslavia. Invasione di campo, con gli invasati che correvano addosso ai nostri, i quali volevano scappare. Uno solo rimase in mezzo al campo, fermo. Picchi. Ripeteva ai compagni: “Oh, ma abbiamo paura di questi?”.
L’acquisto di Javier Zanetti: “Il mio primo vero acquisto da presidente si chiama Javier Zanetti. Zanetti non arrivò come seconda scelta insieme a Rambert. Mi avevano mandato delle videocassette del campionato argentino. Mi ero soffermato su Ortega ma avevo notato un giovane terzino destro. Lui, Zanetti. Mandai Suarez e altri collaboratori. Una notte mi chiamarono: ‘Noi procediamo, ma lei è sicuro?’ . Risposi di attendere cinque minuti. Svegliai uno dei miei figli e gli dissi di mettere su al volo una videocassetta. Presi il telefono e ordinai di acquistare Zanetti. Se avessi dovuto affidarmi alle videocassette, forse Zamorano non sarebbe arrivato. Nei filmati si smarcava e concludeva con frequenza in porta, ma il pallone non entrava mai. Chiesi se per caso mi avessero fatto uno scherzo. Un altro interista dentro, Ivan. La tensione lo portava a vomitare prima di entrare in campo“.
Il mancato arrivo di Cantona: “Con Ince mi mossi in persona. Andai a casa sua. Ero appassionato di Manchester United. Con Cantona, le nostre vite si incrociarono nella giornata sbagliata. Quand’era in programma Manchester-Crystal Palace, la partita del calcio di Cantona al tifoso… Ero coi miei figli in tribuna… Ince lo seguivo già, e proprio in quell’incontro mi fece ulteriormente impazzire, per l’ardore con il quale si scagliò contro chiunque incontrasse… Ci vidi uno slancio, una generosità, un coraggio… Per carità, anche da parte di Ince ci fu un atteggiamento censurabile, con lui che menava le mani… massima condanna… ma io ci vedevo non la ricerca della violenza per far male quanto la voglia di difendere in ogni modo e a ogni costo lo stesso Cantona finito sotto assedio… Andai a casa di Ince per dirgli che doveva venire all’Inter. Accettò. Speravo che, finita la squalifica, avrebbe accettato anche Cantona. Ma era sfiduciato, senza energia, provato. Rimpianto? Nella vita siamo tutti in prestito, figurarsi le cose di calcio… E poi, esistono strade già tracciate… Con Pirlo, quando dal Milan andò alla Juventus, ci fu più di uno spiraglio per un ritorno all’Inter. Ma non se ne fece nulla. Ibrahimovic, quando passò dal Barcellona al Milan, mi chiamò. Confessò l’inizio della trattativa e, con un gesto che ho molto apprezzato, mi disse che se avessi avanzato una controfferta, avrebbe scelto noi. Una controfferta pure al ribasso, si premurò di sottolineare. Ma, come ho detto, le strade erano tracciate e non aveva senso forzare gli eventi”.
Il ritratto di Ibra e lo scontro con Cambiasso: “È tante cose insieme. Ci un periodo che chiedeva con frequenza di venire in sede a parlare… Partiva prendendo il discorso alla larga, ma era evidente che avesse qualcosa di impellente da comunicarmi. E io: “Forza, dimmi”. Al che lui diceva che, tutto sommato, la squadra avrebbe anche potuto fare a meno di Cambiasso… Io strabuzzavo gli occhi: “Cambiasso?”. Passava qualche giorno, e anche lo stesso Cambiasso arrivava in sede… Pure Esteban partiva da lontano… I minuti trascorrevano… E io: “Forza, dimmi”. Cambiasso si premurava di farmi sapere che, tutto sommato, la squadra avrebbe anche potuto fare a meno di Ibrahimovic…». Che infatti venne ceduto. «No, no, un conto era quel dualismo, del quale parlo con un simpatico ricordo e che è uno dei tanti che giocoforza nascono negli spogliatoi, quando si incontrano calciatori di enorme personalità. Fu Ibra a desiderare ardentemente il Barcellona, nella certezza che avrebbe avuto maggiori possibilità di vincere la Champions”.
Il sogno di sempre: “In un certo senso Iniesta. Ma fu subito chiusura totale. Non da parte del giocatore, a lui nemmeno arrivammo. Incontrai i vertici del Barcellona, avevamo forza economica e persuasiva.. Parlai di parecchi giocatori. Ma quando pronunciai il nome di Iniesta, l’atteggiamento mutò radicalmente. Avrei potuto fare qualsiasi offerta e sarebbe stato inutile. Non lo avrebbero mai venduto. Messi? Iniziammo a visionarlo ai mondiali under 18. Partimmo alla carica. Missione in Spagna. I miei tornarono e raccontarono delle difficoltà di salute e dell’impegno del Barcellona, della dedizione per risolvere quei problemi. Dissi di lasciar perdere. Giuro. Si stavano prendendo cura di Messi come un padre col figlio”.
Il colpo Ronaldo: “Venne a trovarmi a Milano. Lo accompagnavano una giovane fidanzata e un disegnino, che esibiva tutto contento e che mi lasciò in regalo. Ronaldo giocava nel Psv ma stava firmando per il Barcellona. Era qui per strategia del procuratore… Ovvio che l’avrei preso su due piedi, ma la trattativa con il Barcellona era al passo finale. Sarebbe stata per la volta successiva, giurai. Un anno dopo, mi confidarono che con gli spagnoli s’era aperta una crepa. Diedi ordine di lavorare per prenderlo. A ogni costo. Io e Ronaldo, in quella fase, ci sentimmo spesso al telefono. Gli piaceva il corteggiamento ma, da buon brasiliano, diceva e non diceva… Quando divenne conclamata la spaccatura con il Barcellona, forzai i tempi. Prima della presentazione in piazza Duse, Ronaldo venne a pranzo a casa mia. C’erano mia moglie, i miei figli. Sembrava un ragazzino, rideva e si divertiva. Invece è dotato di uno straordinario spirito di osservazione, registra ed elabora tutto. Dopo quel pranzo, durante il quale aveva finto di guardare distrattamente questo e quello, mi diede in pochi minuti un quadro dettagliato del carattere di tutti i presenti”.
L’arrivo di Eto’o e Sneijder: “Samuel… Il professionista per antonomasia: nel senso che “vengo, vinco e me ne vado”. Quanto sgobbava, in campo… E i gol… Il gol in casa del Chelsea, fondamentale, su lancio di Sneijder, in Champions. A Forte dei Marmi mi fermò un barista: Presidente, ci manca un unico giocatore. Quello che darà le accelerate decisive in mezzo al campo. Sneijder’. Parlò con tale forza persuasiva che io, per non commettere errori, chiamai Branca chiedendogli di sentire Mourinho. Branca richiamò e disse che Mou aveva esclamato: “Magari”. Partimmo con la trattativa, che si sbloccò anche perché al Real, Sneijder non trovava spazio. Quel barman non l’ho più rivisto. Lo volevo ringraziare”.
L’accordo con Figo: “Ci incontrammo vicino al mare. Trovammo subito l’intesa economica. Ci stringemmo la mano ed ero pronto a congedarlo, senonché Luis, per il pieno rispetto della forma, si disse disposto a recarsi dove serviva per le firme ufficiali. Era estate piena, non c’era nessuno nell’immediatezza disponibile, sicché dissi a Figo che l’accordo era stato raggiunto, eravamo due galantuomini e non ci sarebbero state brutte sorprese…Niente, insisteva… Presi un tovagliolo, uno di quelli colorati, e lo invitai a scriverci sopra… “Io sottoscritto mi impegno a… durata del contratto… ingaggio… firma… eccetera eccetera”.
La storia d’amore con Mourinho: “Mou mi aveva incantato in un’intervista quando allenava il Benfica. Lì mi dissi che prima o poi l’avrei portato a Milano. Ci vedemmo la prima volta a Parigi. Sono state fatte parecchie speculazioni, riguardo all’ipotesi che l’avessi chiamato prima, quando Mancini era il nostro allenatore. Non è vero. Vero è che avviammo le trattative con Mou e lo invitai in Francia, nella casa parigina. Per due volte. La seconda volta si presentò con un quadernone, fitto fitto di appunti e schede: era uno suo studio sull’Inter di allora, con le caratteristiche dei giocatori in rosa e i nomi di altri calciatori che sarebbero stati funzionali… Quel quadernone sembrava una tesi di laurea, un lavoro pazzesco, di sicuro costato giorni e notti di lavoro. La prima volta Mou arrivò sotto casa mia in incognito, pareva un film di spionaggio… Camminava radente i muri… Quando aprì la porta, finalmente convinto d’aver superato ogni rischio e di essere al sicuro, la colf si mise a urlare: ”Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!!”. Credo che l’eco risuonò per metà Parigi… Quella donna era portoghese, e mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti uno dei beniamini nazionali. Lui era imbarazzato, continuava a fissarmi. Io ridevo, divertito come non mai”.
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