Cordoba: “Balotelli non sarà mai un campione. Icardi? Se pensi più al campo, la squadra va meglio. Sul 5 maggio…”
L'ex calciatore nerazzurro si è raccontato ai giornalisti presenti all'Overtime FestivalIvan Ramiro Cordoba, in forza all’Inter tra il 2000 e il 2012 e Campione d’Europa con la squadra di Mourinho nel 2010 e poi team manager nerazzurro dal 2012 al 2014, ha risposto alle domande dei giornalisti presenti all’Overtime Festival, in programma a Macerata dal 4 all’8 ottobre. Passioneinter.com, presente con il suo inviato, ha raccolto le dichiarazioni del colombiano:
L’INTER ADESSO – “Penso che adesso si riesca a capire un po’ meglio la struttura di una società che vuole essere forte, che vuole portare l’Inter a quella che deve essere l’abitudine, ovvero lottare per cose importanti. C’è una parte societaria che dà forza e c’è un allenatore che conosce molto bene il calcio italiano e sta applicando tutto quello di cui c’è bisogno affinché i calciatori capiscano cosa serve per fare risultati in continuità, perché quando vuoi vincere devi essere costante, soprattutto con squadre più piccole come Benevento, Crotone, perché con quelle più importanti è facile con tutta la carica che c’è attorno. Le altre partite sono quelle in cui devi giocare come un professionista e lì stanno arrivando ad avere una regolarità che serve per vincere. Ora ti fa capire che c’è una base importante e che qualcosa di importante sta per arrivare”.
DIFFERENZE COL TRIPLETE – “Sicuramente tante cose che non si possono cambiare da un giorno all’altro. Noi arrivavamo da un percorso lungo, poi dopo sette anni che non vincevamo avevamo una carica così forte per cercare di vincere che ci ha portato a far capire anche a ogni calciatore nuovo che arrivava cosa si aspettava la gente. Dopo Mancini la squadra per me era già pronta per vincere quello che abbiamo vinto. Ma non da un giorno all’altro. Ci vuole tanta esperienza e anche una società che ti faccia capire quanto è importante lottare e vincere anche per la gente, perché sappiamo che sforzi devono fare per seguirci, per me è troppo fondamentale che un giocatore sappia in che società è arrivato e secondo me su questo si sta lavorando”.
Il lato segreto di Wanda Nara
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BALOTELLI – “Gli abbiamo dovuto far capire come ci si comporta con le buone e con le cattive (ride, ndr). Mario è un buono. Quando lui è faccia a faccia, è un bambino, un ragazzo per bene, come un amico, ma è nell’ambiente che diventa una star. Non voglio giudicarlo, ma Mario ha avuto tantissime possibilità, magari le avessero avute altri, ma Mario è così e non sarà mai il grandissimo calciatore che si pensava. Non diventerà un grandissimo campione. Però è simpatico, faceva un sacco di scherzi e ha delle doti che se avesse voluto sarebbe potuto diventare come Ibrahimovic”.
MORATTI – “Un padre per noi. Anzi ho detto che è come una mamma perché a volte il padre non sa tutto quello che succede in casa, è la madre che informa. Il presidente era questo perché sapeva tutto, non è come tanti pensano. Lui sapeva davvero tutto, però era capace di riprenderti anche duramente, io personalmente ho avuto una tirata di orecchie bella grossa. Ogni volta ce lo ricordiamo e ridiamo perché lui si scusa, ma è normale in quel momento, dopo l’eliminazione in Champions con lo United. Questo è Moratti, così sensibile, con una passione enorme per il calcio, nessuno può capirlo senza averlo conosciuto di persona. Quando ci parli anche solo due minuti te ne rendi conto”.
ZANETTI – “Un amico, un fratello, un modello per me. L’ho sempre seguito, ho sempre voluto fare tutto quello che faceva lui e forse è per questo che mi sono infortunato. Lui aveva queste grandissime gambe, io così piccolino (ride, ndr). È una persona su cui si può costruire qualcosa di importante”.
MANCINI E MOURINHO – “La differenza fra loro due? Per rispetto non mi piace parlarne, perché ognuno ha dato il meglio per l’Inter alla sua maniera. Mancini ha lottato per l’Inter in un momento molto duro contro tutti quanti, questo é il bello. Mou è arrivato dopo che è successo quello che sappiamo e ha fatto “la guerra con tutti”. È uno che si è messo la maglia dell’inter e ha giocato con l’Inter, inventandosi anche cose che non esistono per far andare l’attenzione degli altri da un’altra parte. Ma anche Cuper per noi fu significativo. Eravamo allo sbando, è arrivato e ha messo le basi per costruire la squadra che ha vinto”.
RIMPIANTO – “Avrei voluto giocare la finale di Champions, ovviamente. Sapevo che sarebbe stato difficile giocare perché mi ero fatto male in finale di Coppa Italia. Facevo 3 allenamenti al giorno per rientrare. Ho avuto situazioni difficili con Mou e ci siamo confrontanti da uomini faccia a faccia. Il giorno dopo l’infortunio stavo pensando a come recuperare e lui mi ha detto di non preoccuparmi: “per me sei tu il primo convocato. Almeno in panchina sei sicuro, poi vediamo. Tu meriti questo più di altri e per me vai tranquillo, non strafare che poi magari è peggio, allenati e sarai con me lì in panchina”.
ICARDI – “Personalità da capitano? Me lo auguro perché lui ha una responsabilità addosso molto importante che è la fascia. È giovane, torno al discorso di prima. Penso che fare il calciatore è facile, nel senso che devi concentrarti a giocare e divertirti e fare quello che hai sempre fatto per poi essere. giudicato. Ma noi dobbiamo essere giudicati per quello e quando dimentichiamo che la cosa più importante è quella che facciamo in campo, sbagliamo. Se il calciatore è più concentrato a fare il suo mestiere, secondo me la squadra fa di più ed è più bello il messaggio che si può dare agli altri”.
5 MAGGIO – “Ormai l’abbiamo dimenticata (ride). Ho un problema in testa, una parte mi dice parla e una parte no. Va rinfrescata un po’ la memoria. Non che noi non abbiamo vinto per questo, però ci sono episodi che sono successi con dei fatti… C’era nel frattempo Udinese-Juve, vabè Udinese e… un’altra squadra (risponde sorridendo ad un tifoso, ndr). Quando senti un compagno che dopo quella partita viene da te, un mio compagno di nazionale, che dice che senza nessun motivo quattro titolari sono stati mandati in tribuna… Allora, noi non abbiamo vinto perché non abbiamo avuto tutta quella carica che dovevamo avere per vincere perché era nelle nostre mani. Però se non ci fossero stati tanti altri episodi, secondo me sarebbe stata un’altra storia. Non voglio dire il nome dell’allenatore, ma lo capite: però quell’episodio come tanti altri”.
CALCIOPOLI – “Non voglio parlarne. Poi va a finire che sembra sia stata l’Inter che ha scatenato una cosa così clamorosa e che è colpevole di una tragedia nel calcio italiano. Quello che è successo in quegli anni deve essere una vergogna del calcio italiano, punto. Fare quello che hanno fatto quelle persone che gestivano il calcio italiano, sapere che vai a vedere una partita e altri sanno già come va a finire, non esiste. Non bisogna dimenticarlo perché altrimenti si torna a fare le stesse cose. Bisogna ricordarle e parlarne perché non esiste che poi si fa finta che non è esistito. È esistito eccome”.
IL GOL IN FINALE DI COPPA AMERICA – “Adesso l’ho rivisto tremila volte, in diretta diciamo no perché quando io sfioro il pallone con la testa, sento il boato della gente e ho capito di aver segnato, allora ho cominciato a correre, poi la gente era impazzita totalmente. Guardavo le facce dei compagni che prima erano terrorizzati perché pensavano ai rigori, dopo il gol invece ho pensato di buttarmi per terra perché non sapevo che fare. Mi sono venuti tutti sopra e non respiravo, ho pensato che sarei potuto morire, ma sarei stato felice. Sarebbe stato anche bello morire così (ride, ndr). Era un momento molto particolare per la Colombia, c’era una battaglia interna e la partita univa tutti. Per un giocatore non esiste momento più felice di quello, di far gioire una nazione”.
L’ARRIVO IN ITALIA – “Quando mi hanno detto che mi voleva l’Inter non ho visto più niente e ho detto vado lì e basta. Quindi anche se cascava il mondo continuavo a cercare l’Inter. Ero con mia moglie in Argentina, era incinta, ho detto va bene, avevo un po’ paura. Abbiamo detto dobbiamo cambiare Paese, là fa un freddo incredibile, arriviamo e c’è un particolare che racconto nel libro. Non ci aspettava nessuno all’aeroporto (ride, ndr). Per me non esisteva nessuno ostacolo. Arrivare alla inter era una cosa così bella che qualsiasi problema ci fosse stato avrei dovuto risolverlo. Non c’è cibo colombiano? Mi arrangio! Io pensavo alla squadra, devo andare ad allenarmi con Ronaldo, Vieri, Zanetti, Peruzzi. Meglio di questo? Non c’è. Però ovviamente c’è la difficoltà, che è normale. Mia moglie non era abituata al cibo italiano e non stava bene. Il primo giorno che dovevo andare ad allenarmi, esco il mattino ed era notte. Torno a casa alle 3-4 di pomeriggio, entro in albergo e dico a mia moglie se andiamo a fare passeggiata al Duomo, siamo usciti e era tutto buio e non vedevamo niente dalla nebbia e ci siamo spaventati. Così siamo tornati indietro e rimasti in albergo”.
RONALDO – “Simpaticissimo, ci faceva morire dal ridere. In allenamento faceva cose che ci faceva cascare per terra, era molto simpatico. Ronaldo è un buono, purtroppo ha avuto questa difficoltà, succede nel calcio. Era pura potenza, quando non poteva esprimere tutto quello non era Ronaldo. C’erano allenamenti che noi non vedevamo l’ora di farli per vedere cosa si inventava lui. Quando entrava in partita non faceva quelle cose che faceva in allenamento perché aveva paura che gli facessero male dopo l’infortunio. Lui in allenamento faceva sparire la palla, era incredibile. Avesse avuto qualche anno in più di carriera con le ginocchia ok sarebbe stato il migliore di tutti i tempi”.
LA NOTTE DI VALENCIA – “Quello è un episodio di cui non vado fiero. Ho dimostrato di essere veloce, ma di non calciare bene (ride, ndr). Ho sempre detto di essere un calciatore fisico ma non tecnico. Facevo bene il mio lavoro. Valencia penso che io sono credente e credo che Dio mi ha dato una mano. Se io avessi atterrato quel calciatore con quel calcio, per dieci anni non avremmo giocato la Champions magari, e quindi neanche vinto nel 2010. Quello che è scattato a me in quel momento è quello che scatta ad un bambino quando il gruppo di amici è molto affiatato e fanno qualcosa di brutto ad un amico, quindi tu vuoi difenderlo. E mi è scattato quello. Non sono fiero di quello che ho fatto, si fa da bambini, però ormai è andato. L’altro giorno mi sono trovato con Marchena, il giocatore che stava litigando con Burdisso, e sai quanto abbiamo riso? Abbiamo fatto una partita per la fondazione di Figo e insieme abbiamo fatto una bella partita. Questo è il calcio”.
TRIPLETE – “Dopo il pari con la Fiorentina eravamo sotto ed il momento era difficile, era tutto in discussione. Il mister faceva queste grandi frasi, ti metteva una responsabilità pazzesca addosso. In una squadra forte, quando vuole vincere e fare la storia, succede questo: i giocatori si devono trovare tra di loro e dire, lo facciamo o non lo facciamo. Lì c’è stato un confronto così duro e bello che quando il mister lo ha saputo che ci siamo incontrati, anche se non era felice per averlo escluso, era sicuro che da quell’incontro sarebbe venuto fuori qualcosa di grande. Ci siamo detti, siamo a 15 giorni dalla storia e non possiamo buttarlo via, lasciamo stare tutto e vinciamo per noi e per la gente che ci segue. Facciamo la storia. Noi eravamo in tanti a fine carriera, poi così è stato. Noi pensavamo che la Roma non era abituata a vincere e poteva perdere punti, noi invece dovevamo fare la storia e così è stato”.
IL RITIRO – “Sì, è stato difficile dire basta. Una cosa che mi è costata tanto digerire è stato il mio infortunio al ginocchio. Noi giocatori ci sentiamo indistruttibili per come ti fanno sentire, tutto quello che si crea, ti fanno sentire diverso. C’è chi la prende in un modo e chi in un altro. Questa cosa mi caricava, ma dopo l’infortunio ho pensato: questa cosa sarà un’esperienza nuova e mi farà capire cosa significa subire un infortunio e fare le cure mentre gli altri si allenano. Però dopo quando cominci a rientrare è dura perché non ti senti te stesso. Il mio ginocchio è stato compromesso abbastanza. Il dottore mi aveva avvisato che poi avrei avuto problemi. Dopo un altro intervento al menisco dava noia, dopo quattro anni ha cominciato a farsi sentire la cartilagine è questa cosa l’avevo sentita sempre come un problema che non avrei mai dovuto affrontare e invece eccola qui. Il presidente era pronto a farmi altri due anni di contratto, ho fatto una visita e mi dissero che con un altro intervento avrei potuto andare avanti, ma a 35 quasi 36 anni il mio ginocchio mi aveva dato tantissimo, e ho detto no. A me l’Inter ha già dato tanto, non voglio mettere a rischio quello che ho fatto per l’Inter e non giocando come facevo un tempo non ero Ivan Cordoba, così ho detto stop. Ora mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta nel momento giusto”.
LA COLOMBIA – “Sarebbe molto più facile giocare in questa Colombia. Mi divertirei con loro, la nostra è stata più sofferta e con pochi giocatori. Adesso me la godo da fuori”.
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