19 Marzo 2021

Cruz: “Scelsi l’Inter per Cuper. Adriano? Ostacolato da problemi personali. Spero Conte vinca lo scudetto”

'El Jardinero' ha rivissuto le tappe più importanti della sua carriera da calciatore

Julio Cruz, Getty Images

Cruz Inter

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Julio Cruz, Getty Images

Lunghissima intervista di Julio Ricardo Cruz rilasciata questo pomeriggio sulle pagine de Il Posticipo. L’ex centravanti argentino, che per diverse stagioni ha difeso i colori dell’Inter, ha ripercorso buona parte della sua carriera, dai primi passi mossi in Argentina fino alla consacrazione in Europa e soprattutto a Milano in maglia nerazzurra. Queste le parole dell’ex attaccante che inizia dal presente, raccontando la sua vita dopo aver lasciato il calcio.

Julio, lei ha smesso di giocare da una decina di anni: cosa ha fatto dopo il ritiro?
“Ho lasciato l’Italia e sono tornato in Argentina. Mi sono goduto un po’ la vita. Al primo anno sono stato benissimo con la mia famiglia e i miei bambini. Al secondo ho fatto un po’ di politica: ho lavorato con l’ex presidente Mauricio Macri. Sono stato con loro quattro anni. Poi mi sono allontanato perché la politica non fa per me. Ho scelto di fare beneficenza. Da tre-quattro anni faccio il papà. Seguo mio figlio Juan Manuel: gioca nel Banfield, un anno prima della pandemia è diventato professionista. Sto aiutando lui ed altri ragazzi, voglio che facciano una bella carriera”.

Lei ha una fazenda che si chiama ‘La Lorenita’ come sua moglie: di che cosa si occupa?
“Me ne sono occupato dopo aver smesso. Pensavo alle mucche. Era una bella cosa. Però se sei stato nel calcio per tanti anni, la cosa migliore è fare quello che hai sempre voluto. La fazenda rappresenta un momento della mia vita: ce l’ho ancora, ma non ci faccio caso. Poi io non sono fatto per la campagna”.

Com’è nata la sua passione per il calcio da bambino?
“Mio padre giocava nel Santiago del Estero, la stessa squadra in cui sono cresciuto io. Si trova in una delle province più antiche dell’Argentina, a mille e cento chilometri da Buenos Aires. Poi sono andato al Temperley, una squadra vicino Banfield. Mio padre non mi ha mai chiesto di fare il professionista. Lui ha giocato un paio di partite nell’Estudiantes di Santiago del Estero, ma un problema alla vista lo ha costretto a smettere di giocare”.

Com’è nato il soprannome ‘El Jardinero’?
“È nato quando ero negli Allievi del Banfield: un giorno mi ero messo a giocare col tagliaerba e qualche giornalista mi aveva visto. Alla mia prima partita ho fatto un gol molto pesante con cui abbiamo vinto 2-1 alla Bombonera contro il Boca. Tutti i giornalisti si chiedevano chi fossi. Volevano intervistarmi, ma non mi andava. Al lunedì qualche giornalista che mi aveva visto giocare mi ha chiamato “Il Giardiniere”, ma io non tagliavo davvero l’erba dello stadio del Banfield. La storia del mio soprannome è nata così”.

Nel ’96 lei ha perso col River la Coppa Intercontinentale contro la Juve: cosa ricorda?
“Ero molto giovane, avevo 20-21 anni. Era una partita molto sentita da parte nostra. La Juve dell’epoca era una squadra forte, aveva vinto la Champions e aveva grandissimi giocatori. C’è rammarico perché ci tenevamo tanto a quella partita. Mi dispiace. Avevamo voglia di portare la Coppa a Buenos Aires”.

Nel ’97 lei è passato in Olanda: com’è nato il trasferimento al Feyenoord?
“Tutti i giocatori che arrivano in Europa fanno fatica ad inserirsi subito. Gli allenamenti sono differenti rispetto al Sud America. Per me non è stato difficile adattarmi al calcio olandese. Ho fatto fatica con la lingua. Mi ha aiutato l’allenatore Leo Beenhakker: parlava spagnolo, francese, portoghese, inglese e tedesco. Per me è stato molto importante capire quello che voleva da me. Al secondo anno abbiamo vinto lo scudetto. Avevo scelto il Feyenoord per questo: il club non vinceva il campionato da 10-15 anni. Per me è stata una doppia gioia: ho imparato dagli olandesi e ho vinto Eredivisie e Supercoppa olandese”.

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