In una lunga e toccante intervista rilasciata ai microfoni del podcast ‘BSMT’ di Gianluca Gazzoli, Federico Dimarco ha raccontato tutta la sua carriera. Dalle giovanili nerazzurre, passando ai momenti più bui in Svizzera, sino ad arrivare alla svolta di Verona che gli ha consentito di tornare all’Inter con una maturità diversa. Questo un estratto delle parole dell’esterno interista:
SVIZZERA – “In Svizzera parto benissimo, prima partita di campionato spaccato il metatarso. Quattro mesi fermo, avevo 19 anni. Da lì rientro dopo 4 mesi dov’era cambiare l’allenatore. A gennaio eravamo ultimi o penultimi, il presidente ebbe la bella idea di mandarci a fare una settimana al militare con le forze speciali francesi. Ci ha mandato una settimana per punizione visto che eravamo ultimi, nei campi, dormivamo col sacco al pelo, la mattina sveglia alle 6 e camminare per 5 chilometri. Mangiavamo dentro le scatolette riscaldate col fuoco. In Svizzera c’è la pausa lunga, questa cosa l’abbiamo fatta ad inizio gennaio e si ricominciava a fine gennaio, robe mai viste che provi una volta sola nella vita. Io non volevo andarci, ma se non andavo non mi pagavano. Robe mai viste, ci facevano anche sparare, ma non con armi vere”.
PARMA – “Io dopo ho discusso con l’allenatore, non ho più giocato fino a fine anno e finisce col Sion. Come stavo? Stare fuori mi ha fatto capire altre culture, ho capito anche tante cose. E’ stata una bella esperienza, anche se non è stata facile. In quell’anno lì ho avuto la sfortuna di perdere un figlio, tutto un disastro. Da lì poi sono tornato in Italia, ma non mi voleva nessuno secondo me, forse neanche in Serie B. Alla fine è arrivato il Parma, anche lì ho fatto 3 o 4 partite, ho fatto gol, e poi basta. Distacco del tendine dell’adduttore del retto addominale, altri 4 mesi e mezzo fermo e sono rientrato ad inizio gennaio. Poi anche lì ho giocato veramente poco”.
ADDIO SFIORATO – “A Sion volevo smettere io, dopo le cose che mi erano successe mi chiedevo: ‘A me chi lo fa fare di soffrire così?’. Poi ti guardi dentro, alla fine il mio obiettivo era solo uno: far ricredere le persone che non credevano in me e alla fine ci son riuscito. Dopo Parma son tornato all’Inter con Conte. Mi ero fatto conoscere a Parma, ma la svolta non è stata a Parma. Tornato all’Inter viene Conte dopo un paio di allenamenti e mi dice: ‘Guarda Fede, io voglio che rimani’. Io ero tutto gasato e felice, con tutto quello che aveva fatto, rimani un po’ spiazzato. Poi alla fine ho fatto sei mesi e a gennaio ho dovuto supplicarlo per andar via perché all’inizio non mi voleva lasciare. Ma erano arrivati altri calciatori, era bello stare all’Inter ma non mi sentivo neanche pronto, forse il livello era troppo alto. Da lì ho chiesto il prestito e sono stato un anno e mezza a Verona, lì è cambiata la mia carriera. Il mister (Juric, ndr) mi ha dato la possibilità di esprimere le mie qualità, il direttore è stato chiaro sin dall’inizio, è stato di parola”.
LA SVOLTA – “Il Verona aveva un diritto di riscatto e l’Inter il controriscatto. Da lì pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci. Ma quando sono tornato ero tutt’altro giocatore da quando ero andato via, ma non ero pronto per giocare determinate partite. Poi quando inizi a fare determinate esperienze, impari a stare nello spogliatoio con determinati giocatori. Da lì è iniziata la scalata fino ad arrivare qui. Un giocatore che l’anno che son tornato è stato devastante è stato Perisic, un giocatore che quell’anno ha fatto un’annata incredibile. Poi quando c’è gente come Dzeko che ha giocato in grandi squadre, c’era Skriniar, c’era Handanovic, Barella che lo conosco da quando abbiamo 14 anni, Bastoni era stato con me a Parma, c’era Lautaro. Il direttore Piero Ausilio mi ha detto delle parole che in quel momento lì mi hanno riempito di orgoglio”.
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