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Dzeko: “Una scintilla e torniamo in vetta. Con Lautaro mi trovo benissimo, Inzaghi un fratello maggiore”

Intervistato questa mattina sulle pagine de La Gazzetta dello Sport, Edin Dzeko ha iniziato ad infiammare il clima da derby d’Italia che entrerà nel vivo domenica sera con il big match di San Siro tra Inter e Juventus. L’attaccante bosniaco, in termini di numeri, fino a questo momento non ha fatto rimpiangere Romelu Lukaku, sebbene comprensibilmente abbia voluto evitare ad ogni costo i paragoni con il centravanti belga. Queste le sue parole sul suo approdo nel mondo nerazzurro: “Sapevo di arrivare in un grande club, avevo in testa l’obiettivo di farmi apprezzare da subito. Volevo solo quello, poi il resto l’hanno fatto i campioni che ho trovato qui”.

Con lo Sheriff, in ordine cronologico: gol, ripiegamento decisivo in difesa, assist a Vidal. Ora limetta infila lei, questi tre gesti.
“Il gol è la gioia estrema, quello che la gente si aspetta sempre da me. Ma proprio perché sono un attaccante, a quella corsa in difesa è stato dato risalto: è giusto così, se poi non vinci il gol segnato serve a poco”.

L’Inter è una macchina da gol, produzione continua di occasioni. È la squadra più offensiva in cui abbia mai giocato?
“Sì, insieme al City con Mancini. Attacchiamo con tanti uomini, siamo molto propositivi, si è visto anche in Champions. Ed è per questo che incassiamo più gol di quanti dovremmo: qui dobbiamo crescere”.

Edin Dzeko, Getty Images

In fretta, pure: domenica c’è la Juventus, maestra nelle ripartenze.
“È il derby d’Italia, sono in palio punti che pesano. Non c’è tanto da inventare: dobbiamo neutralizzare quello che loro fanno bene, ovvero i contropiede”.

Chi perde rischia un distacco dalla vetta tra i 10 e i 13 punti: è già una partita decisiva?
“Il campionato non si vince a ottobre o a novembre, Inter e Juve lo sanno bene. Ma se perdi altri punti adesso, comincia a essere sempre più difficile recuperare”.

Lei contro Chiellini. È il difensore più forte che ha incontrato?
“In quella posizione è uno dei migliori degli ultimi dieci anni, per la Juve è determinante. Con lui è pesante, è tosta. Si attacca addosso sempre, anche troppo… Contro Chiellini ho segnato il mio primo gol in Italia, ma tante volte mi ha lasciato a secco. Ecco, per domenica posso farne a meno: vorrei vincere anche senza far gol”.

Il -7 dal Napoli è un distacco che rispecchia il valore delle due squadre?
“Le hanno vinte tutte, bravi loro. Ma basta un niente, una scintilla per tornare lassù”.

E pensare che questa partita poteva viverla in maglia bianconera… Perché saltò l’affare?
“Prima cosa: non guardo indietro, sono felice all’Inter e stop. Secondo: fu la Roma a parlare per prima e a mettersi d’accordo con la Juve, io neanche sapevo della trattativa, entrai in scena solo successivamente. Saltò tutto poi perché la Roma non trovò il mio sostituto”.

Che cosa le è rimasto dentro, del caso fascia di capitano alla Roma?
“Tante cose non mi sono piaciute, tante persone mi hanno deluso. Ma preferisco pensare ai sei anni bellissimi trascorsi lì”.

Senza un trofeo, però.
“Avrei voluto vincere qualcosa, soprattutto il secondo anno avevamo una squadra molto forte, ma poi è difficile riuscirci se ogni volta vendi i giocatori più importanti… Ora sono venuto all’Inter proprio per colmare questa lacuna, voglio dare il mio contributo per vincere. Farlo, però, non è mai facile: se l’Inter avesse mantenuto Conte, Lukaku e gli stessi dell’anno scorso, non sarebbe stata comunque scontata una nuova vittoria dello scudetto”.

Le sarebbe piaciuto un po’ essere allenato da Mourinho?
“Veramente mi ha allenato, per un mese. Dico la verità: mi sono divertito, Mourinho è Mourinho, sempre. È in privato proprio come è in pubblico. Con lui c’è tutto: sa scherzare e arrabbiarsi. Sono stati allenamenti molto belli e la squadra si divertiva”.

Edin Dzeko, Getty Images

Racconti, invece, la chiamata dell’Inter.
“Sapete chi è stato a telefonarmi? Kolarov. È stato lui a dirmi che l’Inter era interessata, che c’era la possibilità di un trasferimento: ‘Qui ti vogliono, vieni’. Ed eccomi qua”.

Come si convive con l’eterno parallelismo con Lukaku?
“Lui qui ha fatto cose importanti, l’Inter deve dirgli grazie, ha portato uno scudetto assieme a Conte. Poi ha fatto la sua scelta. E io onestamente sono abituato a guardare avanti”.

Si parla tanto delle differenze tra di voi. Ma c’è una cosa che avete in comune?
“Sì, il numero di maglia…”.

Proseguiamo con i paralleli: Inzaghi ha qualcosa di Mou?
“Mou parte dalla solidità e poi sviluppa il suo gioco, Inzaghi ama di più il gioco offensivo”.

Lo dipingono come un fratello maggiore per voi: è vero?
“Sì, lo è. Ma è pure molto sincero e diretto: dice sempre la verità, sia quando è piacevole sia quando non lo è. Ed è questo che ci aspettiamo, perché la verità fa sempre bene: se qualcuno non ti dice le cose come stanno non potrai mai migliorare”.

Inzaghi lo aveva vissuto da avversario al derby: lo ha trovato come se l’aspettava?
“Me lo aspettavo esattamente così. Anche nel modo di giocare perché mi aveva colpito la qualità della Lazio. Ho pensato subito: ‘Se qui giochiamo alla stessa maniera mi diverto parecchio'”.

L’Inter domenica vincerà perché…: completi la frase.
“(ci pensa un po’) Vincerà se saprà dimostrare di essere campione d’Italia. Se tutti i giocatori daranno un contributo non per se stessi, ma per la squadra. Se penseremo a vincere in ogni modo possibile: con una strategia offensiva o difensiva, conta poco. Basta solo che si vinca”.

Lautaro e Dzeko (@Getty Images)

Lei ha giocato con Aguero: Lautaro in cosa gli somiglia?
“Nel fatto che è argentino… Scherzi a parte, Lautaro è molto giovane e forte e ha margine per migliorare ancora tanto. Con lui mi trovo benissimo: non è solo un grande giocatore, ma pure uno che pensa al bene collettivo. Guardatelo, ad ogni gol esulta come l’avesse fatto lui. Servono questi giocatori per vincere”.

È già a 6 gol in campionato, l’anno scorso alla fine arrivò a 7: che cosa è cambiato?
“Non ho dato la migliore versione di me stesso. Ma ci sono stati anche tanti fattori esterni che hanno influito”.

È vero che le hanno chiesto di candidarsi per diventare presidente della Bosnia?
“No, e non ci penso nemmeno. In politica non mi vedo di certo…Intanto, voglio fare altri cinque anni di calcio, poi penserò al futuro. Magari saranno tutti quanti all’Inter, perché no?”.

Lei e il rapporto con Milano.
“Non ho ancora trovato casa, momentaneamente sono vicino alla sede del club. Ibra è mio vicino? Non lo so. Incrocio spesso Ilicic, un caro amico. Milano è comunque più piccola di Roma, la quotidianità è più semplice: ti sposti facilmente in centro”.

Lei, Giroud e Ibra: a Milano il centravanti è over 35. Un caso?
“No, non è un caso assolutamente. C’è chi a 35 anni ha già smesso: se siamo ancora qua, a questi livelli, vuol dire che siamo in forma e sappiamo ancora essere decisivi. Io non ho dato tutto e, per questo, sono qui a giocare: non sono ancora contento della mia carriera”.

Le danno fastidio i continui riferimenti alla sua età?
“No, la carta d’identità non è tutto. Voi vedete solo il campo, ma lavoro tutti i giorni prima e dopo l’allenamento per restare in forma. E mentalmente, cerco di evitare argomenti che mi tolgono energie”.

Un esempio?
“Beh, i discorsi sull’età (ride)”.

A chi lo darebbe il Pallone d’Oro?
“Lo rivince Messi”.

Perché lei è sempre stato fuori da quei discorsi? Perché è sempre stato percepito un gradino sotto i Lewandowski o i Benzema?
“Eh, forse mi è mancato andare a giocare con il Real Madrid… O forse giusto un po’ di continuità. Ho fatto tanti gol in carriera, ho segnato ovunque. E non è mica finita: quando smetterò, è perché avrò dato davvero tutto. Ma quel momento ancora non è arrivato”.

L’INTERVISTA DI BEPPE MAROTTA >>>

Antonio Siragusano

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