EDITORIALE – Cuore e attributi
Essere interista è diverso, è speciale. A pochi giorni dall’avvio del campionato abbiamo le stesse sensazioni di sempre: adrenalina, speranza, quella voglia di sognare che a volte ci sembra veramente il collante che ci tiene legati a questa squadra. Uno dei più grandi interisti di tutti i tempi, mai abbastanza compianto, ci ha spiegato che “tifare Inter vuol dire onore” ed è soprattutto in questi ultimi anni che ce lo siamo ricordato: magre soddisfazioni, qualche gestione discutibile in campo e fuori, tanti progetti tecnici nati sotto una buona o cattiva stella e conclusi con ingloriosi naufragi in mari tempestosi e travolgenti. Tra gogne mediatiche, lotte intestine, rivoluzioni e rifondazioni, tutti gli interisti sono sempre stati concordi nell’esigere dai loro beniamini l’unica cosa che li rende sempre orgogliosi di aver scelto questa fede: gli attributi. Con gli attributi si possono colmare le distanze che nello sport di oggi sembrano essere decise a tavolino dai danari sapientemente impiegati per riempire di grandezza i propri blasoni: è con gli attributi che l’Inter resse ad esempio l’impatto del Camp Nou e dell’allora squadra più forte del mondo oltre le avversità, andando a prendersi il sogno proibito di almeno due generazioni di tifosi. Oltre le individualità e le forze spiegate in campo, quella garra che gli interisti rivendicano quasi come un proprio cavallo di battaglia, può fare la differenza persino al di là del risultato. Non stupisce perciò che in tanti qualche mese fa abbiano avuto almeno per un secondo la tentazione di trovare El Cholo Simeone sulla propria panchina, al di là dei trascorsi: quella frase pronunciata dopo aver eliminato il Barcellona, “non siamo costruiti per fare calcoli ma per combattere”, era stata così interista da ritrovarsi istantaneamente a simpatizzare per i Colchoneros nella cavalcata europea, conclusa con una beffa atroce e forse non del tutto meritata. Ciò che è stato l’Atletico Madrid, “qualcosa che non è facile da spiegare ma qualcosa di molto molto grande”, è più o meno ciò che ci aspettiamo di vedere costantemente dagli spalti di San Siro: irrazionalmente, incondizionatamente ed inevitabilmente l’onore della maglia è un patrimonio che dalle nostre parti si trasmette a ritmo martellante a chiunque si trovi a vestirla. Perchè perdere saltuariamente è accettabile, se l’onore delle armi è dalla parte dell’Inter. Ed è così, in un’ ideale catena cronologica che unisce la tradizione al destino, che è stato proprio l’ultimo arrivato ad aver ricordato a tutto l’universo nerazzurro cos’é l’Inter: “E’ cuore, é attributi, é tifoseria”, firmato Gary Medel. Il rinforzo della nuova Inter ha enunciato in sostanza i tre fondamenti portanti dell’interismo così come lo riconosciamo e lo ha fatto proprio in un momento in cui serve come l’aria qualcosa di davvero interista ad una squadra in cerca di nuovi leader e di futuri senatori. Non ce ne voglia un cultore del freddo ed efficace professionismo come Walter Mazzarri, che pure tanti progressi ha trasmesso alla squadra dal suo avvento, ma oltre i dettami tattici e la meticolosità del lavoro sul campo riavvicinare l’Inter ai successi e di riflesso alla sua gente passa proprio dal Medel-pensiero. Che sia allora una stagione scrupolosa nell’economìa aziendale e concentrata sul campo, che sia una stagione foriera di passi avanti per il collettivo e per i nostri talenti, che sia una stagione piena di belle sorprese e di vittorie prestigiose. Ma non dimentichiamoceli mai: cuore e attributi, dai tifosi ai giocatori. Per tornare ad essere davvero l’Inter. di Fulvio Santucci