EDITORIALE – Da Zanetti a Balotelli, i volti degli uomini del calcio
Di Aldo Macchi
Sono uscite solo alcune anticipazioni ma già si capisce il taglio dell’autobiografia di capitan Zanetti, un’opera che è la fotografia dell’uomo, senza grosse pretese se non quella di raccontare la storia di una carriera che non ha grossi scheletri nell’armadio e nemmeno fastidiosi sassolini nella scarpa. Non è mai stato protagonista di eventi da copertina, se non quelli della sua fondazione umanitaria. A differenza di Andrea Pirlo però, non si vedono nelle pagine di “Giocare da uomo” delle frecciate al suo passato, agli allenatori, se non una pagina contro il peggiore dei mister avuti nei vent’anni di Inter: Tardelli, deludente come uomo e come preparatore. L’uomo è la parola chiave della sua autobiografia, un viaggio alla scoperta di ciò che riempie la maglia numero 4 nerazzurra, un sorso di acqua fresca in un calcio falcidiato da business e stipendi milionari prioritari più delle maglie indossate.
L’UOMO ZANETTI – Ne ha viste tante Javier Zanetti, da quando lo chiamavano “alluvionato” per il quartiere disastrato della sua amata Argentina, al Pupi in onore del fratello, anche lui immerso nel mondo del calcio, ora allenatore. Ha sempre cercato ambienti familiari dove esprimere il suo calcio, trovando nell’Inter una seconda casa, un vero amore, il secondo, per importanza, dopo quello che lo ha legato a sua moglie Paula. Parole per tutti, per Mazzarri, che vede molto vicino a Cuper, allenatore molto apprezzato dal capitano ma che non ha avuto la fortuna sperata, con quel “5 maggio” pesante come una spada di Damocle sulla sua testa. Proseguendo con Gigi Simoni, l’allenatore che più di tutti ricordava suo padre e verso cui aveva un legame particolare. Nessuno come il profeta Mourinho, ma nemmeno come Lippi e il sopracitato Tardelli. Non manca nemmeno il riferimento alla fede, alla devozione a Santa Rita, a cui ha acceso un cero in occasione della finale di Madrid il 22 maggio tanto caro alla memoria degli interisti.
L’UOMO CALCIATORE – Le pagine scorrono così, senza colpi di scena e nemmeno titoli da copertina. Una piacevole evoluzione dei fatti di un calciatore umano, pur con quelle gambe impressionanti che gli sono valse il soprannome di “El Tractor”. Nulla fuori le righe e un infortunio che anche sul momento ha definito “un cambiare le gomme ai box”. Questo è Javier Zanetti, un uomo fedele ai suoi ideali che non ha conosciuto i lustrini del successo, troppo legato alle sue origini per perdersi per strada come molti giocatori hanno fatto, anche tra quelli passati nell’Inter nelle varie stagioni. Un rischio, sempre più elevato quando, come è ora, a 20 anni devi essere già decisivo, un astro nascente da big, perchè il calcio non aspetta, perchè altrimenti poi costi troppo, o non fai abbastanza carriera.
IL CALCIO DEI BALOTELLI – Ora a fare successo sono i giocatori sensazionali, quelli alla Balotelli per intenderci, quelli che fanno scalpore e, se supportati da una certa classe, diventano il prototipo perfetto della vendibilità del giocatore stesso. Se tra le mani di Mino Raiola ci sono sia Pogba che Balotelli che lo stesso Ibra, allora è chiaro come, eccedere fuori dal campo ti porta a fare la voce grossa anche in mezzo al campo e con la società. L‘arma a doppio taglio è quella che si sta vedendo proprio in questi giorni intorno a Balotelli: un’attenzione mediatica spaventosa, che limita il giocatore stesso, costretto ad essere fedele al personaggio costruito intorno a sè stesso. Di Zanetti insomma non ce ne sono più, ora per un milione di ingaggio si passa alla squadra rivale, affermando di esserne tifoso fin da bambino.
SPORT? – L’ho sostenuto più volte e questo libro è solo l’ennesimo assist, per una volta fuori dal campo, di Zanetti. Oggi un titolo come “Giocare da uomo” è un titolo ad effetto, una rarità, una perla consegnata a uno sport di porci. Perchè il ciclo delle bandiere si sta esaurendo. Coccoliamoci Zanetti, ammiriamo talenti come quelli di Totti e, nel suo piccolo, di Di Natale, e poi mettiamoci l’anima in pace, tifiamo i colori della maglia senza pensare troppo ai giocatori. E se saranno successi tanto meglio, fino a quando un ragazzino esaltato non prenderà la maglia centenaria e butterà in terra, per ottenere una cessione con un contratto più vantaggioso. A far accapponare la pelle però è il fatto che questa è già storia, e quel giocatore è lo stesso che ora si vuol cercare di rendere icona e simbolo di una Nazione, che ha nel calcio la sua massima espressione di unione. Forse è vero che dobbiamo fermarci e lasciare in pace gente come Balotelli, ma è anche vero che associare la parola “icona” e “simbolo” a certi personaggi è solo l’ultimo esempio dell’eccezionalità di poter dire “giocare da uomini” senza doversi poi lavare la lingua.