EDITORIALE – In difesa serve un Ministro
Il day after la sconfitta meno bruciante dell’anno, l’Inter si ritrova a guardarsi allo specchio e a dover decidere come fare per poter dire la sua fino in fondo in un campionato che, indubbiamente, al di là di Juventus e Roma, pare decisamente alla portata dei nerazzurri. Il derby, la sfida col Dnipro e il 4-2 pirotecnico di ieri sera sono tre indizi e quindi, come diceva Sherlock Holmes, presi tutti insieme ormai costituiscono una prova sulla nuova Beneamata di Mancini.
Se il pari con il Milan aveva messo in luce un’attitudine nuova di una squadra che sembra attaccare con una convinzione assai maggiore nei propri mezzi (quanto tempo era che non si vedevano i centrocampisti attaccare lo spazio o rispolverare la soluzione del lancio lungo? Quest’ultimo sarà anche poco elegante e inviso ai cultori del joga bonito ma resta una soluzione praticabile, non va vietata per legge), la gara col Dnipro aveva invece posto l’accento sul carattere forte e su una determinazione di squadra assente da un anno. Ieri sera, infine, l’Inter ha messo in campo una sensazione di continua pericolosità nelle sue folate offensive che durante l’egida di Mazzarri s’è sfiorata in poche occasioni. Certo, i nerazzurri hanno goduto anche di un po’ di fortuna sul gol di Osvaldo, ma come si dice spesso, se non ci provi non ci riesci. Ed è questa rinnovata voglia di provarci e riprovarci che funge da balsamo per gli esacerbati cuori del Biscione, sia di chi scende in campo, sia dei tifosi.
Tuttavia, un solido impianto di squadra prevede anche un’ancor più solida difesa e di quest’ultima, al momento, non vi è traccia. La gara dell’Olimpico ha messo in evidenza tutte le pecche di un reparto arretrato che sta faticando a metabolizzare il passaggio a una linea quattro così come, in origine, aveva penato non poco per rendersi efficace a tre (efficacia comunque persa quest’anno dopo che nella scorsa stagione, alla resa dei conti, era stata una delle note liete). Deve essere posta sotto una lente attenta tutta la fase difensiva della compagine, inclusa anche la copertura del centrocampo, ma al momento sono proprio i singoli ad apparire poco lucidi e confusi. Per primo è proprio capitan Ranocchia a essere in un momento di appannamento preoccupante, pare che la fascia sul braccio finisca per destabilizzare il numero 23 piuttosto che lanciarlo nel firmamento dei grandi e, come scriveva giustamente Garlando su La Gazzetta dello Sport, il buon Andrea deve ormai decidere se ascriversi al registro dei campioni o se perdurare ancora nel suo attuale stato di elegante ma fragile (caratterialmente) centrale di belle speranze.
Non che Juan Jesus, l’altro stopper attualmente titolare, sia privo di pecche. Il dinamico JJ è sicuramente una forza della natura dal punto di vista fisico così come spesso il suo istinto e la sua personalità lo rendono in grado di salvataggi o recuperi impressionanti però non è impeccabile tatticamente, tutt’altro, e avrebbe ancora bisogno, vista la giovane età, un regista di difesa che sappia dargli una mano in campo anche con istruzioni precise. Potenzialmente, il brasiliano può ancora essere un novello Lucio e sta a lui e all’Inter farlo deflagrare in un muro che ricordi l’ex eroe del Triplete nei suoi anni migliori.
Particolarmente delicato, poi, il discorso sui terzini: Dodô ha delle lacune evidenti sul piano difensivo (e si sapeva già da un pezzo, peraltro) che andrebbero urgentemente colmate specialmente laddove sono più vistose, com’è il caso delle diagonali in transizione difensiva o della marcatura a uomo, per citare le prime due che vengono in mente. Sia il desaparecido Jonathan, sia Nagatomo e sia D’Ambrosio, poi, devono adesso riadattarsi a una difesa a quattro che richiederà loro movimenti diversi da quelli fatti fino a due settimane fa però ben sapendo che comunque hanno già interpretato nella loro carriera una fase difensiva che preveda due centrali e due terzini in linea; anch’essi dovranno limare eventuali défaillance soprattutto sulle diagonali, perché nessuno di loro è particolarmente abile in quel fondamentale – forse il migliore è proprio l’ex capitano del Torino.
Come si può ben intuire, di lavoro all’orizzonte ce n’è decisamente parecchio per Mancini, senza contare il recupero soprattutto mentale di Vidic o la decisione su che ruolo riservare a Campagnaro e Andreolli, entrambi meritevoli di encomi dopo le ultime gare giocate e, chissà, magari anche di qualche minuto in più rispetto a quanto rosicchiato finora. Un serbo di nuovo al 100%, un ex Napoli tutto sommato sempre affidabile nelle sue uscite in maglia nerazzurra e un ex Chievo praticamente impeccabile ogni volta che è stato chiamato in causa sono delle risorse veramente rare persino nelle compagini di alta classifica e, al momento, non sono certo elementi da relegare in panchina senza averci dedicato una seria riflessione.
In realtà, la panacea di molti dei mali che attualmente affliggono la difesa nerazzurra potrebbe serenamente essere un regista di retroguardia che sappia infondere sicurezza a tutto il reparto, un ruolo ricoperto dai vari Materazzi, Cordoba e Samuel negli ultimi dieci anni, non proprio gente qualunque. I candidati principali per esperienza sono ovviamente Campagnaro e Vidic ma, d’altro canto, va ammesso che Ranocchia è un capitale importante del club e la scelta di affidargli la fascia non può cadere nel vuoto dopo soli tre mesi. Chiaramente, anche all’azzurro però tocca dimostrarsi all’altezza del ruolo richiestogli, senza se e senza ma.
La missione, ovviamente, non è affatto facile ma si deve percorrere assolutamente. Altrimenti il processo di crescita intrapreso dal Mancio rischia di rimanere monco in partenza.