EDITORIALE – Disabitudine al progetto
L'editoriale del lunedì, puntuale come le tasse, che disserta stavolta dei drammi del tifoso, costretto a interfacciarsi con un progetto vero dopo trent'anni di improvvisazione...L’Inter ha perso a Roma e, di conseguenza, s’è propagato immediatamente il virus preferito dai tifosi nerazzurri: l’isteria da panico. Panico dovuto all’uno-due subito tra Europa League e campionato perché, a differenza del dopo Hapoel Be’er Sheva, stavolta non è arrivata una vittoria ma un altro ko. Ora, si potrebbe partire dal fatto che comunque non è molto normale dar fuori di matto dopo due sole partite perse nell’ultima settimana – peraltro con storie agli antipodi – e quattro in totale dall’inizio dell’anno. Non tanto perché siano poche – in realtà quattro ko in un mese e mezzo di stagione non sono affatto pochi, questo è vero – ma piuttosto perché, appunto, siamo ancora ai primissimi giorni di ottobre e nulla è compromesso. È un po’ presto per aprirsi le vene, no?
La radice di tutte queste recrudescenze di malcontento lagnoso è multipla anche se se ne può trovare il ceppo principale nell’ormai pochissima pazienza dei tifosi nei confronti della squadra, una pazienza vessata dalla mala gestione, dalle tante figure da pellegrini e dalle troppe sconfitte. Tuttavia, quel che ci balza più all’occhio è soprattutto la scarsissima capacità di un po’ tutti di approcciarsi e relazionarsi con un progetto tecnico degno di questo nome.
Diciamoci la verità: in quasi vent’anni di morattismo – militante, indifferente o mal tollerato che fosse – la parola progetto è stata usata fin troppo spesso e praticamente sempre a sproposito. L’Inter ’95-2013 non ha mai avuto un progetto pluriennale, mai. A meno di non voler considerare tale il cercare di comprare sempre e solo i giocatori più forti possibili per poi darne la gestione all’allenatore di turno, chiunque fosse, tendenzialmente infischiandosene totalmente dei desiderata tecnici di quest’ultimo, delle sue idee di gioco o della sua filosofia di lavoro. Ma chiedendogli invariabilmente risultati pressoché immediati. Pertanto è anche comprensibile (anche se non del tutto perdonabile) che il rapporto con la neonata Inter di de Boer sia piuttosto complesso, per l’appassionato medio di Biscione.
Il fatto è che il tecnico olandese – per formazione, cultura ed esperienze pregresse – si porta dietro in maniera quasi intrinseca la progettualità, perlomeno dal punto di vista del campo e della visione di gioco: è il primo a portarla all’Inter da decenni. Ciò fa di lui un mister che, per sua natura, va valutato nel medio e nel lungo termine, praticamente mai nel breve – e in questo caso si parlerebbe di brevissimo, tutto sommato. Già è un concetto alieno alla quasi totalità del calcio italiano, figuriamoci se si restringe il cerchio alla sola Inter.
I tifosi devono rendersene conto: nonostante tutte le premesse di giugno/luglio, anche in questa stagione ci sono stati tanti ribaltoni grossi, per non dire enormi, e una nuova fase della storia della società è stata posta in essere, parte tecnica inclusa. Dalle nostre parti è dura vedere delle realtà che cercano di costruire con calma, ponendo delle basi poco alla volta con lo scopo di diventare seriamente competitive nel giro di due o tre anni però è esattamente così che la Beneamata targata de Boer (e Suning) si sta comportando adesso e bisogna adattarcisi. È chiaro che sarebbe molto meglio completare tutte le transizioni del caso vincendo ogni benedetta partita ma, suvvia, parliamo di qualcosa che rimanga all’interno di uno scenario realistico.
In estrema sintesi, forse varrebbe la pena provare a contenere la bile e l’isteria perché la strada tracciata è quella giusta. Siamo d’accordo che è qualcosa di totalmente inusuale ma stiamo assistendo a una piccola rivoluzione nel modus operandi dell’Inter e nessun passaggio è mai del tutto indolore, quindi può capitare che ci si dovrà leccare le ferite ancora diverse volte da qui a maggio. L’importante è saperlo.
Tifoso avvisato…