EDITORIALE – Domande, dubbi e perplessità
Può una vittoria lasciare più interdetti di una sconfitta o di un pareggio? Il 3-1 di sabato contro la Sampdoria, infatti, non è stato quel che si dice “un bel vedere”. Certo, le note positive non sono mancate, come per esempio un’efficacia mai vista prima sui calci piazzati offensivi o il ritorno al gol di […]Può una vittoria lasciare più interdetti di una sconfitta o di un pareggio?
Il 3-1 di sabato contro la Sampdoria, infatti, non è stato quel che si dice “un bel vedere”. Certo, le note positive non sono mancate, come per esempio un’efficacia mai vista prima sui calci piazzati offensivi o il ritorno al gol di Maurito Icardi, ma la situazione non pare essere migliorata a sufficienza per guardare con serenità alla prossima sfida con la Juventus (più importante per i bianconeri che per i nerazzurri ma comunque un crocevia stagionale da non sottovalutare nemmeno per i ragazzi di Mancini). Anzi, se possibile, il quadro generale visto con i blucerchiati non è stato per niente incoraggiante: i soliti problemi davanti che D’Ambrosio, Miranda e Icardi non hanno fatto altro che occultare grazie a tre regali della disastrata retroguardia doriana, spesso e volentieri presa a pallate da avversari con ben meno talento offensivo dell’Inter, la solita circolazione di palla cervellotica, approssimativa e confusa, l’ormai consueta distrazione difensiva che ha portato a segnare il fortunatamente inutile gol di Quagliarella (che, per la verità, avrebbe potuto trovare la via della rete anche in almeno altre due situazioni – e non parliamo nemmeno del rigore solare negato ai genovesi che chissà che impatto avrebbe potuto avere sul risultato finale).
La morale è una sola: il lascito veramente positivo dello scontro con la banda Montella sono i tre punti, sic et simpliciter. Non che ci si da sputarci sopra, tutt’altro, ma la sensazione è che il sapore dell’affermazione di sabato continui a essere diversissimo da quello delle partite di inizio anno: come non ci stuferemo mai di ripetere, anche allora c’erano evidenti problemi di fluidità e di qualità della manovra collettiva ma l’atteggiamento dei giocatori, la loro attitudine, l’organizzazione difensiva (più di ogni altra cosa), la loro voglia di primeggiare negli scontri individuali, la loro capacità di corsa e sacrificio erano lontanissimi da quelli che si vedono adesso. Oggi l’Inter sembra un’armata Brancaleone che cerca timidamente di volgere un qualche tipo d’inerzia delle gare a proprio favore più o meno con lo stesso stato d’animo con cui si aspetta un miracolo dal cielo senza però sprecarsi più di tanto a favorirlo. Un certo qual fatalismo degno del Raskol’nikov di Dostoevskij in Delitto e Castigo, dove i turbamenti derivanti dal senso di colpa del protagonista del celebre romanzo si ritrovano esattamente identici tra i nerazzurri, che sostituiscono la coscienza in subbuglio per aver commesso un crimine con i rimpianti per i punti persi, sicuramente il principale dei tanti fantasmi che stanno infestando le menti dei componenti della rosa.
Una massa ectoplasmica che pesa come un macigno, perché la consapevolezza di aver dilapidato tutto il tesoro raccolto inaspettatamente fino a quella disgraziatissima partita con la Lazio grava enormemente sulle spalle dei giocatori, probabilmente essi stessi tra i più allibiti per il crollo verticale del Biscione. Del resto, solo una totale impreparazione psicologica al cambio di marcia visto tra gennaio e oggi poteva spegnere con questa forza gli ardori dell’ambiente nerazzurro e Mancini ha senza alcun dubbio gestito male (se non malissimo) il momento che stavano attraversando i suoi, tirando ogni tanto fuori il bastone e ogni tanto la carota ma senza un costrutto riconoscibile. Tra i vari: «Non si possono sbagliare certi gol, li facevo io anche adesso a cinquant’anni», «Non possiamo andare sotto in quel modo, non si possono regalare dei gol del genere», «Abbiamo subito una sconfitta che non meritavamo» o «È un periodo in cui ci va tutto storto, gli episodi ci condannano e siamo sfortunati» non si scorge alcun disegno più grande ma solo un insieme di reazioni a caldo non troppo lucide che tradiscono la frustrazione del tecnico jesino, forse eccessivamente teso sempre e solo al risultato (e si capisce anche quando difende il suo operato, tirando costantemente in ballo l’ormai proverbiale «ottimo girone d’andata»).
Il punto è proprio che il girone d’andata è finito da un bel pezzo e ora non si può distruggere fino in fondo quanto di buono s’è costruito prima del giro di boa. La partita dello Stadium contro l’arcirivale bianconera arriva in un pessimo momento per le condizioni di forma in cui l’Inter ha dimostrato di versare ma se si pensa al match come a un’opportunità di ricostruzione della propria autostima non poteva capitare in un frangente più opportuno. Più ancora che un buon risultato, una buona prestazione a Torino potrebbe ridare al Biscione uno slancio persino maggiore di una balbettante vittoria come quella dell’altro ieri contro la Sampdoria (e del resto le partite – vinte – contro Empoli e Chievo e quella – persa – col Napoli sono lì a dimostrarlo).
Purché, però, si sia pronti e consapevoli che quella dello Stadium sarà una battaglia, il tipico scenario in cui non si può concedere assolutamente niente al caso. L’Inter tutta, da Mancini ai giocatori passando per la dirigenza, farà meglio a farsi trovare pronta. Anche perché poco è quel che è certo nella vita ma che la Juventus non regalerà niente a nessuno è poco ma sicuro.