EDITORIALE – Dottor Mancio, signor terrore
Eppure di sconfitta stiamo parlando e, passate 24 ore, adesso è il momento di capire a mente fredda cosa sia accaduto e quali siano le cause di un tracollo inatteso, per come si era messo il match, e francamente frustrante. È chiaro che c’è una spiegazione principale inerente alla mentalità e al carattere, ma non è la sola: anche tatticamente l’Inter di Mancini è stata surclassata nella ripresa da Stramaccioni, che ieri ha spiegato chiaramente dove ha avuto difficoltà nella prima frazione e cosa ha corretto dell’atteggiamento dei suoi per rimettere in carreggiata la gara, riuscendoci poi alla grande. Se poi a tutto ciò aggiungiamo i problemi endemici che affliggono la Beneamata ormai da anni, il quadro è completo.
Ieri sera, infatti, è risultato evidente una volta di più – come se ce ne fosse bisogno – che la rosa ha un livello complessivo non adatto a quelli che sono gli obiettivi, persino in una Serie A così poco competitiva (senza nemmeno scomodare la questione blasone); non può essere una scusa la scarsa qualità delle contendenti, tutt’al più può essere un’aggravante: questa squadra è frutto di almeno tre progetti diversi ormai naufragati, presenta svariate lacune e mette in mostra alcune scommesse che, oggettivamente, a oggi si sono rivelate perse quando non fallimentari. D’altra parte non è un segreto che in squadra ci siano ancora elementi con qualche buon numero ma troppo discontinui, altri troppo poco qualitativi o altri ancora semplicemente non da Inter le cui lacune, inoltre, vengono addirittura accentuate dai difetti tattici e caratteriali dell’undici nel suo complesso. Questa però è una situazione di partenza che Mancini ha ereditato e che non si può risolvere in un amen: ci vuole tempo e pazienza per sistemare tutti gli errori commessi dal 2011 a oggi.
Subentra poi anche un discorso di carattere tattico: il mister deve ancora comprendere appieno come schierare i suoi giocatori in modo che possano dare il 110%, sfruttando una posizione in campo che consenta loro di dar fondo a tutto il potenziale latente che hanno, per quanto basso in alcuni casi: tra un passo avanti e uno indietro, si può sperare che il Mancio stia raccogliendo abbastanza informazioni per plasmare il prima possibile quella che davvero dovrà essere la sua Inter (al netto dei buchi della rosa pregressi e creatisi con l’adozione del 4-3-3) che non gli consentono di schierare una formazione con le caratteristiche che lui predilige. Il tempo per gli esperimenti, vista la carenza di risultati e punti, sta già per finire: da gennaio la fisionomia dell’undici titolare dovrà essere assai più precisa. Certo, qui si parla di work in progress ma va da sé che una compagine che si affida a un solo uomo – come ieri sera con Kovacic – non può fare molta strada: bloccato il croato e pressato più alto con continuità, ieri l’Udinese ha avuto vita facile nel colpire l’Inter in ripartenza e sulle fasce, dove i meccanismi di scalata in marcatura hanno funzionato poco e male. Situazioni simili non si possono più ripetere e, all’uopo, allenatore e squadra dovranno elaborare alternative credibili che non possano consentire agli avversari di mettere in crisi nera il Biscione con una sola mossa tattica: qui il lavoro del tecnico risulterà centrale.
Infine, ecco la vexata quaestio: non è tollerabile una paura e una sfiducia nei propri mezzi come quelle osservate ieri sera. Semplicemente, non ci sta. Perché, al proposito, ha pienamente ragione Mateo Kovacic: non solo non è da grande squadra ma, più precisamente, questo tipo di atteggiamento non è proprio da squadra punto. Già la cifra complessiva non è eccelsa, già si è passati attraverso un esonero: se poi non si riesce nemmeno a ragionare da squadra e a muoversi all’unisono in campo, allora c’è ben poco da sperare e le prospettive, da grigie, diventano ineffabilmente nere. Questo è il primo punto su cui Roberto Mancini deve lavorare e sputare sangue assieme ai suoi ragazzi per assicurarsi che errori marchiani come quelli visti a San Siro un giorno fa non si ripetano più. Un cambiamento nell’approccio mentale alle partite e, ancora di più, alla gestione delle stesse è inevitabile per arrivare a quell’ideale di squadra che l’Inter adesso deve assolutamente inseguire e, possibilmente, raggiungere.
Altrimenti non ci sarebbe nemmeno più qualcosa di cui parlare.