EDITORIALE – Dove iniziano i meriti di Pioli
Il nostro consueto editoriale del lunedì sera, quest'oggi incentrato sulla "mitologia" nascente di Stefano Pioli, visto come nuovo deus ex machina tecnico/tattico della stagione. Ma se i suoi meriti fossero altrove?Cinque vittorie consecutive, fanfare a mille, esaltazione prossima a toccare Betelgeuse e tornare indietro, l’Inter di nuovo pronta per lottare fino in fondo per il podio e, complice anche l’inciampo della Juventus a Firenze, chissà, magari persino lo scudetto. Può sembrare folle ma bastano un pugno di vittorie di fila perché l’escalation di ingordigia del tifoso subisca un’accelerazione progressiva sempre più impetuosa. E, al contempo, si finisce regolarmente per trovarsi lontanissimo dalla realtà. E non è un bene.
Stefano Pioli, suo malgrado, è stato investito da questo vortice di entusiasmo malato. Prima era la personificazione stessa dell’annata storta dell’Inter (in quanto traghettatore verso l’abisso di mediocrità che chiunque attendeva, un moderno Caronte somigliante a John Malkovich e che parla con accento emiliano). Adesso è una sorta di taumaturgo mistico in grado di guarire i lebbrosi, un asceta illuminato che riesce a far convergere verso il Bene qualunque cosa, un uomo bellissimo e, probabilmente, uno dei migliori cinque allenatori mai passati per la Serie A. E, ovviamente, l’attuale classifica è solo merito suo.
Ci vuole un minimo di equilibrio, però. Come con de Boer serviva pazienza.
Pioli è un ottimo professionista e un buon allenatore come già il primo dei suoi due anni alla Lazio aveva messo in evidenza; ha avuto l’indiscutibile merito di ripartire da quanto di buono avesse costruito il suo predecessore olandese senza stravolgere il piano gara basilare della Beneamata, ha portato a casa il risultato anche quando probabilmente non lo meritava granché e ha anche goduto di una discreta dose di fortuna in più di una partita (in casa col Genoa, a Udine, il primo tempo di San Siro con la Lazio). Un ottimo ruolino di marcia, non c’è che dire, ma certamente il mister italiano ha avuto la fortuna che invece è mancata a de Boer, fermo restando che è davvero un bravo allenatore e che sta lavorando molto duramente per dare effettivamente una quadratura a questa rosa. Quanto poi è bravo lo dirà il prosieguo di stagione.
Però non è tutto merito suo, non può esserlo.
Non bisogna dimenticare, infatti, i principali responsabili della traumatica separazione da de Boer (traumatica perché non è normale cambiare allenatore già a novembre). Già, i giocatori. Eufemisticamente poco disponibili e discretamente – altro eufemismo – svogliati con l’ex tecnico dell’Ajax, improvvisamente rinsaviti e rinvigoriti dall’arrivo del mister ex Bologna e Lazio. Ora, probabilmente de Boer ci aveva messo del suo per riuscire a non far mai decollare il rapporto tra sé e gran parte del suo gruppo ma è innegabile che accattivarsi le simpatie dello spogliatoio sia stato il primo e, ancora oggi, più importante mattone posto da Pioli per dare una forma e una efficacia accettabili alla sua Inter.
Tutta la nuova epica “vincente” del Biscione parte da lì, dalle indiscutibili capacità diplomatiche di Pioli che, ancora più che tecnicamente o tatticamente, ha saputo individuare i principali focolai di carisma della squadra e portarli stabilmente dalla sua parte. Il resto, in confronto, è praticamente venuto da sé.