EDITORIALE – I dubbi del Mancio
Il nostro consueto editoriale del lunedì, presente anche a fine stagione. Stavolta era inevitabile concentrarsi sui "dubbi" di permanenza che vengono attribuiti a Roberto Mancini negli ultimi giorni: quale futuro ci sarà per lui e per il Biscione?Il campionato è appena finito eppure da qualche giorno stiamo già parlando tutti dei fantomatici dubbi di Mancini e, soprattutto, ci chiediamo se il tecnico jesino rimarrà sulla panchina nerazzurra anche il prossimo anno.
Per adesso, intanto, il Mancio ha dichiarato più volte che rimarrà a Milano anche per la prossima stagione mettendo però la singolare condizione che, per proseguire, lui ha bisogno di vedere tutte le parti in causa contente di quest’unione tecnica. Venerdì scorso il mister ha infatti detto che lui resta se e solo se la presidenza, la società, i giocatori e i tifosi sono felici di andare avanti con lui.
Spesso abbiamo cercato di attenerci strettamente ai fatti e alle dichiarazioni dei protagonisti per valutare le veridicità di questa o quell’ipotesi lanciata dai media e vivisezionata dai tifosi, stavolta proviamo noi a credere per primi che davvero Roberto Mancini abbia dei dubbi sulla continuazione della sua seconda esperienza interista, partendo dalle ipotesi che godono di più credito presso i tifosi.
Tanti hanno voluto leggere nelle sue parole lo spettro del dubbio sulla sua eventuale permanenza in nerazzurro, dubbio che parrebbe connesso all’incerto futuro che attende il progetto dell’Inter di Thohir, limitato dalla mannaia del Fair Play Finanziario e dall’esiguo spazio di manovra in sede di mercato. I soliti problemi economici, insomma. In sostanza, ci si chiede se il Mancio rimarrà anche nel caso in cui non si riuscisse a ottemperare alle sue richieste, se la società dovesse fallire nel rafforzare la squadra secondo i suoi desideri. Molti sono concordi nel ritenere che l’ex leggenda sampdoriana potrebbe andarsene qualora Ausilio e la sua squadra non riuscissero a trovare i giusti elementi di carisma, esperienza e qualità che dovrebbero far fare lo step successivo all’attuale rosa. Questa sensazione sarebbe avvalorata anche dall’aver visto un Mancini demotivato e scorato durante il finale di stagione, abbattuto e avvilito dall’aver fallito l’aggancio al podio e, con esso, i preliminari di Champions League.
I sostenitori di questa posizione, perciò, vedono il Mancio in controllo della situazione e identificano in lui l’eventuale motivo di una separazione tra il Biscione e il suo mister mentre tendono a escludere il contrario, che è invece quanto sostiene un’altra fazione – di segno quindi opposto – che vede invece l’Inter non così certa della riconferma del mister (nonostante le parole di Ausilio e Zanetti nei giorni scorsi, che hanno prontamente ribadito di non avere motivi per non proseguire con il mister marchigiano). In sintesi, si pensa che la dirigenza del club di corso Vittorio Emanuele non sia soddisfatta dei risultati ottenuti fin qui dal tecnico e che quindi la società nerazzurra stia dando uno sguardo al panorama degli allenatori (liberi e/o liberabili) per rimpiazzare Mancini già dal prossimo anno, con una stagione d’anticipo rispetto a quel che dicono i contratti. La voce più insistente è ovviamente quella che vorrebbe il ritorno alla Pinetina del Cholo Simeone ma sono stati fatti i nomi anche di Frank de Boer, di Unai Emery e addirittura quello di Leonardo.
Ovviamente non c’è la benché minima garanzia che alcuno dei nominati possa arrivare davvero ma, prima ancora, non c’è alcun tipo di conferma – ancorché indiretta – che l’Inter stia trattando realmente con un potenziale nuovo allenatore, com’è logico che sia.
Vorremmo però provare a dare almeno due letture alternative sulla titubanza del Mancio, ammettendo che questa esista davvero e sia fondata.
Prima di tutto: e se le parole dello jesino siano effettivamente da ricollegare alle voci su Simeone ma in modo diverso da quello comunemente inteso? Proviamo a spiegarci meglio: conosciamo tutti il carattere di Roberto Mancini e sappiamo perfettamente che non è un uomo a cui piace essere messo pubblicamente in discussione. Dunque non gli ha fatto piacere che non solo apparisse sui media il nome del Cholo collegato alla panchina nerazzurra ma che addirittura gli si chiedesse un’opinione su un eventuale arrivo dell’allenatore argentino al suo posto (è successo durante una conferenza stampa). È quindi lecito supporre che possano essergli venuti i cinque minuti anche dando per scontato che la società non stia in alcun modo pensando di sostituirlo: l’ego del Mancio è grande e può non essere stato particolarmente soddisfatto delle smentite del club su Simeone, sempre accompagnate da una pioggia di complimenti e di rimandi al futuro. Ancora di più, c’è il discorso dei media, perché a tutto questo aggiungiamo che TV e giornali hanno spesso sostenuto che, nonostante le dichiarazioni di facciata, l’Inter stesse lavorando sotto traccia col Cholo: certe cose non fanno piacere e dunque si può anche pensare che l’eventuale insofferenza del mister del Biscione fosse più rivolta ai media che non al club, verso il quale Mancini non ha comunque risparmiato qualche frecciatina come a richiamare i dirigenti perché vanno benissimo la bravura di Simeone e il suo passato ad Appiano Gentile, ma al timone c’è ancora lui. E si può anche comprendere, francamente: se la società gli ha promesso sostegno assoluto, che sia tale anche (e soprattutto) in pubblico.
Più interessante ancora, tuttavia, è la seconda possibile interpretazione delle frasi sulla felicità di tutti: e se fosse proprio lo jesino il meno contento di tutti? Non per le poche garanzie sul rafforzamento della squadra né per un eventuale poco sostegno societario ma per il fallito raggiungimento dell’obiettivo. Normalmente non ci si pensa quasi mai ma un anno in cui un tecnico non riesce a centrare l’obiettivo (ambizioso, d’accordo, ma non gli si chiedeva lo scudetto) nonostante il proprio club si faccia in quattro per accontentarlo non rende soddisfatto l’allenatore stesso per primo. Siamo stracolmi di retorica sul calcio attuale pieno di milionari mercenari, pronti a incassare a prescindere dal rendimento, svogliati, pigri, stanchi, viziati e senza idee però a volte basterebbe reinquadrare la questione su binari meno arzigogolati – e più realistici – per capire che disattendere le proprie aspettative delude e fa arrabbiare (con due zeta) i protagonisti diretti per primi. E Mancini non fa assolutamente eccezione, anzi; se c’è un allenatore che vive totalmente sulla sua pelle il rendimento della compagine che è chiamato a guidare quello è lui – con tutti i pro e i contro del caso.
Il Mancio potrebbe essersi reso conto che il mancato arrivo sul podio dei suoi ragazzi dipende in prima battuta proprio da lui nonostante l’ex numero 10 di Samp e Lazio abbia dato fondo a tutte le sue personali risorse per centrare il maledetto terzo posto. Un’amara consapevolezza acuita dal triste rimpianto – visto come un’ulteriore aggravante – di aver condotto un intero girone in testa alla classifica, dilapidando in seguito il patrimonio accumulato durante gli avvii lenti di Juventus e Napoli e la crisi esistenziale della Roma. Si diceva già qualche tempo fa, in una seduta psicanalitica interna alla redazione: Mancini potrebbe davvero aver dato fondo a tutte le sue risorse tecniche, tattiche, motivazionali, nervose ed emotive pur di giungere al risultato e nonostante questo abbia fallito. Un simile esito avrebbe “svuotato” il serbatoio di energie di chiunque, figuriamoci di un uomo perennemente sotto pressione come il tecnico marchigiano.
Se tutto ciò fosse vero, allora diverrebbero d’un tratto immediatamente più logici i discorsi di qualche settimana fa sul voto di fine stagione alto che lui stesso ha dato alla squadra riservando per sé quello più basso, così come si capirebbe perché ha ipotizzato che disputare la prossima stagione coi soli ragazzi provenienti dalla Primavera potrebbe anche essere «più divertente» (cit. esatta) o come mai è apparso sempre meno teso dopo le sconfitte o perché sembrasse in debito di sonno negli ultimi tempi. La verità, dunque, è che Mancini potrebbe semplicemente essere molto stanco, troppo poco carico rispetto all’avvenire che si sta aprendo di fronte alla società milanese.
Le prossime settimane serviranno a fare definitivamente chiarezza sulle sorti della Beneamata e, intanto, forse vale la pena sperare che tutto ciò di cui si è parlato in questa sede si riveli semplicemente un inutile esercizio di esegesi fine a sé stesso perché un mister demotivato in panchina o l’ennesima rivoluzione copernicana non servirebbero a niente.