EDITORIALE – …e quindi uscimmo a riveder le stelle
Il concetto di “stelle”, in rapporto alla situazione odierna dell’Inter, può avere una valenza multipla. Da un lato quella tipica della contusione, dopo tutti i capitomboli dell’ultimo mese e mezzo: vedere quindi le stelle come le può vedere chi s’è appena fatto molto male. L’altra è invece connessa alla lettura della formazione nerazzurra ogni domenica: in campo, di stelle, proprio pochine, giusto due o tre al massimo. E il tifoso soffre in entrambi i casi, sia a vedere una Beneamata continuare a cadere senza che dia mai l’impressione di rialzarsi in fretta, sia ad avere sotto il naso una squadra dove, oltre a un leader, manca evidentemente di elementi all’altezza in diversi ruoli.
C’è però una terza possibile lettura dell’elemento siderale, più strettamente imparentata con la celeberrima citazione dantesca che chiude l’Inferno: la speranza che da questa particolare bolgia nerazzurra si possa uscire, se non in tempo per quel che resta della stagione, perlomeno l’anno prossimo. Roberto Mancini continua a fare proclami bellicosi per la prossima stagione, al punto che non si capisce più se sbandieri cotanta ambizione per un’assenza già raggiunta di altri validi argomenti oppure se realmente creda a un obiettivo che, oggi, pare onestamente lontanissimo. Lontanissimo perché siamo di fronte a uno dei periodi più bui della storia dell’Inter, il peggior campionato di sempre da quando vengono assegnati tre punti per la vittoria (persino nella sciagurata edizione di Serie A 1993/1994, dopo ventotto giornate, l’Inter aveva un punto in più di oggi – allora però le squadre erano solo diciotto e non venti e non vale nemmeno ricordare quanto fossero mediamente più competitive di oggi).
Mai 4 volte di fila sotto il 4° posto in tutti i nostri 107 anni di storia. Numeri spietati. (Grazie @IlVal_79) #amala ? Fulvio Santucci (@SantucciFulvio) 22 Marzo 2015
Insomma, vedere positivo è difficile, molto difficile. Tuttavia si deve provare, almeno per un’ultima volta, ad avere speranza per il prossimo anno. Un’idea di gioco esiste ed è tangibile per quanto, a ora, ancora grezza, incompleta e, soprattutto, inefficace. Però Mancini ha già mostrato ai suoi giocatori cosa vuole da loro in campo e la rosa lo segue: di solito questo tipo di insistenza su un impianto di gioco e un approccio costante al come si gioca alla lunga paga. Il mercato sarà ancora una volta autofinanziato, non è una novità, e la presenza di Mancini in panchina può fungere da catalizzatore, come già a gennaio, per giocatori di buon livello – sempre tenendo presente l’attuale situazione di Serie A. La sanzione del FPF non è particolarmente preoccupante: non è senz’altro un bene, ma poteva essere molto peggio e, comunque, non sarà un ostacolo inaggirabile. Il vero progetto manciniano, infatti, dovrebbe partire da giugno e, a oggi, è comunque evidente che il tecnico jesino avrà moltissimo lavoro da fare su almeno tre fronti.
Primo: il Mancio dovrà radicalmente cambiare l’autostima dei suoi giocatori, forse perfino l’autocoscienza. La squadra attuale non ha abbastanza fiducia in sé stessa per poter pensare di vincere con tutto e tutti: dimostrazione ne siano tutte quelle situazioni in cui l’Inter non ha saputo controllare il match o non è stata capace di dare il colpo di reni decisivo in gare che si potevano e si dovevano vincere o perlomeno pareggiare (come ieri sera, contro la Samp, ma soprattutto nella sfida col Cesena, nella doppia partita col Wolfsburg, nell’andata col Celtic, contro la Fiorentina in casa, contro la Lazio sempre a Milano… Eccetera). Per vincere bisogna prima di tutto crederci: il Biscione attuale dà spesso l’idea di aver paura anche della sua stessa ombra, figuriamoci portare regolarmente a casa i tre punti, specie andando sotto.
Secondo: la preparazione atletica dei nerazzurri dovrà essere curata in modo che la rosa sia fisicamente pronta sempre e comunque ma, in particolar modo, sia in grado di giocare ad alta intensità ogni gara. La Serie A attuale, più povera in termini di contenuti tecnici, dimostra che un’organizzazione di gioco coerente e la capacità di mantenere un ritmo elevato quanto meno nei tratti salienti delle partite sono due qualità che fanno tanta differenza, specialmente sul lungo periodo: ne siano esempio la Lazio, che corre per tre, la stessa Sampdoria o, più in basso in classifica, realtà comunque positive come Empoli e Sassuolo.
Terzo: la registrazione del reparto difensivo. Toccherà a Mancini stabilire chi sia all’altezza di giocare al centro (e sui lati) della difesa in quest’Inter e come limare, già adesso, i molteplici difetti che affliggono la retroguardia interista, vera cartina tornasole della situazione di squadra complessiva. Anche qui l’unica cosa certa è che con un reparto arretrato come quello orrorifico andato in scena nell’ultimo paio di mesi non si va da nessuna parte, figuriamoci vincere lo scudetto.
La mole di lavoro è ingombrante e, guardando anche agli ultimi risultati, un po’ scoraggiante. In panchina, però, siede un tecnico tra i più pagati della Serie A che vuole dimostrare a ogni costo che ha fatto bene ad accettare la nuova sfida che Thohir gli ha sottoposto a novembre. Dunque che il cantiere per il prossimo anno apra i battenti già oggi: non si può sprecare l’unico vantaggio che una stagione tanto sciagurata ha concesso all’Inter.