EDITORIALE – Falliremo tutti
L’Inter non rischia la bancarotta, l’Inter non ha bisogno di entrare in Champions per rimettere a posto il bilancio, l’Inter deve solo preoccuparsi di crescere tecnicamente e migliorare i risultati sportivi. Il resto è affare dei “migliori dirigenti del mondo”, come ha detto il tycoon indonesiano (e di lui bisogna fidarsi. Dopo tutto è un presidente che non parla molto e, quindi, automaticamente, le rare volte in cui si concede va ascoltato con molta attenzione).
Che poi sarebbe bastato rifletterci seriamente per qualche minuto per capire quale fosse la verità, invece che perdere chissà quante ore a “informarsi”, a fare congetture di vario genere basate su brandelli d’informazione ufficiale e intelaiature teoriche ufficiose. Se una società calcistica fa determinati investimenti economici è perché può farli, punto. È sempre stato così e sarà sempre così, a maggior ragione dopo aver presenziato di fronte alla Uefa ed essersi fatti studiare ed esaminare in lungo e in largo dalla lente d’ingrandimento di Platini, guarda caso proprio sul bilancio e sulla situazione finanziaria.
Non sarebbe da masochisti irresponsabili sapere di essere con la scure del Fair Play Finanziario sul collo e spendere e spandere oltre le proprie possibilità? Va bene che è appena entrato nel “giro”, ma Thohir non poteva essere così sprovveduto. E infatti non lo è affatto: alla Uefa sono state presentate garanzie sufficienti non solo per evitare il blocco del mercato ma, anzi, per poterne condurre uno di primo livello e senza alcun rischio. Alla faccia di chi profetizza fallimenti e indebitamenti che portano a scendere in prima categoria: Erick da Giacarta ha risposto presente e lo ha fatto per le rime, inserendo anche un non troppo velato attacco alla stampa italiana (quante cose nascoste – ma non troppo – in quel “Si dice”…).
Purtroppo, però, finora i risultati sportivi del mese di gennaio non sono ancora stati all’altezza di quelli ottenuti in sede di mercato; Mancini ha bisogno ancora tempo, parecchio tempo forse, per assemblare coerentemente quella che a oggi è una squadra nuova. Ma non solo: sulla strada dell’ex leggenda blucerchiata, ormai è evidente, si staglia l’ombra sinistra di una crisi fisico-atletica non da sottovalutare, la partita di ieri ne è stata l’ennesima prova. Quest’Inter ha poca birra in corpo e l’autonomia sembra scendere invece che aumentare anche perché il Mancio è costretto a schierare più spesso possibile gli stessi dodici/tredici giocatori per affinarne l’intesa nel minor tempo possibile ma le prospettive non sono troppo rosee: senza condizione fisica non c’è movimento senza palla, non si tiene compatta la squadra, non si riesce a interpretare bene un modulo dispendioso come il 4-2-3-1, non si può sperare in alcuna continuità. Senza condizione fisica si può solo sperare di vivacchiare, sopravvivendo solo grazie ai colpi dei singoli (e, a differenza della prima Inter di Mancini, non è che in questa militino chissà quali fenomeni e, soprattutto, quanti).
La società alle spalle, però, è sana e propositiva, nonché paziente, le condizioni per crescere e migliorare ci sono tutte. Magari non dall’oggi al domani, ma accanto alla solidità societaria c’è anche una chiara filosofia di gioco del Mancio che puà svilupparsi compiutamente in un’idea precisa e applicabile; queste sono due premesse che all’Inter, come in tanti sanno e ricordano, non si sono verificate contemporaneamente poi così spesso. Crediamoci, dunque.
Anche perché, checché i nemici di mourinhana memoria ne dicano, di sicuro non falliremo tutti.