EDITORIALE – Fuori dal limbo
Gli ultimi due mesi di problemi nerazzurri hanno generato dibattiti su dibattiti relativamente a più o meno qualunque cosa che inerisca all’ambiente Inter e, soprattutto, tentativi di comprensione delle cause molteplici che hanno condotto a una stagione così disgraziata e avara di soddisfazioni, persino quelle minime. Parecchi giocatori sono stati al centro di cento e più discussioni di natura tecnico-tattica, dalle domande sul non sviluppo definitivo di Kova?i? alle interrogazioni sulla scarsa forma di Palacio; dai dubbi sullo schierare o meno Podolski, Ranocchia e Juan Jesus al non sapere che fine avesse fatto Hernanes; dalle colpe – vere o presunte – di Handanovi? e Carrizo in occasione di alcuni gol subiti fino alle problematiche dei movimenti di Icardi (troppo poco mobile prima, troppo mobile adesso, in una continua altalena di aspettative più o meno sensate verso il centravanti nerazzurro).
Tre giocatori in particolare, però, sembrano come immersi in un limbo senza alcuna possibilità di uscita, preda tutti e tre di un’involuzione a spirale che sta soffocando, per motivi diversi, l’indubbio talento che, eppure, possiedono evidentemente. Va però ricordato che anche Palacio sembrava ingabbiato in una stagione che pareva segnata e maledetta, un’annata in cui il gol lo aveva apparentemente abbandonato più o meno a tempo indeterminato e nella quale, dopo quel pallone clamorosamente fallito nella finale dei Mondiali, tutto quel che avrebbe potuto andare storto sarebbe effettivamente andato storto. Ebbene, il Trenza è riuscito a riprendersi abbastanza brillantemente, date le premesse mostrate perlomeno fino a Natale e questo ci ricorda che la speranza è l’ultima a morire.
D’altra parte, però, pur con le differenze del caso, le situazioni personali di Kova?i?, Hernanes e Podolski sembrano persino più gravi di quella in cui era piombato il numero otto della Beneamata.
Il giovane croato sta vivendo il secondo anno di fila da oggetto misterioso, nel quale non ha saputo ritagliarsi un ruolo da titolare inamovibile nonostante il non proprio eccellente livello complessivo della rosa: il buon Mateo, infatti, è ancora al centro di mille equivoci riguardanti la sua collocazione in campo (anche se, forse, più di un indizio c’è, come ha brillantemente scritto Emanuele Atturo) nonché almeno altrettanti dubbi sulla sua effettiva utilità in senso assoluto, con persino una fazione anti-Kova?i? che è già nata e cresciuta, specialmente sui social network. Se con il calcio propugnato da Mazzarri il croato c’entrava effettivamente poco, con la filosofia di Mancini, più orientata al possesso palla (anche se non insistito come al Barcellona ma più propedeutico alle verticalizzazioni, per semplificare molto) il numero 10 nerazzurro ha sicuramente più a che spartire anche se, forse, non ancora abbastanza, come ha spiegato stupendamente Simone Nicoletti. Quel che però è imprescindibile, sia per sé stesso che per la “sua” Inter, è una riscossa di Mateo: la squadra ha bisogno di lui non solo per la solita tiritera dell’investimento nel futuro e retorica annessa, ma anche solamente come dodicesimo uomo (perlomeno in questa fase in cui Mancini non lo vede titolare). La sua capacità di spaccare un match entrando in corso d’opera – quando gli schemi sono sempre giocoforza già parzialmente saltati e dunque c’è più spazio per lui – e le sue qualità nel fraseggio, nel dribbling e nell’assist, se sfruttate opportunamente, possono essere manna dal cielo in una Beneamata che ultimamente sta avendo problemi mostruosi a trovare la via della rete.
Una situazione per certi versi simile la sta vivendo Hernanes: preso poco più di un anno fa come grande botto? del mercato di gennaio (ed. 2014), in realtà il brasiliano non è mai riuscito a caricarsi sulle spalle la squadra e, anzi, è stato per parecchi mesi protagonista di una difficile convivenza proprio con Kova?i? e quella che doveva essere una splendida fusione è diventata una complessa convivenza. Complice anche un infortunio, il ritorno di Mancini l’ha visto relegato ai margini dopo qualche prova incolore sia da (improvvisato) esterno d’attacco, sia da mezzala; in campo, specialmente col passaggio al rombo, sono andati più spesso Guarín e Brozovi?, che l’hanno più o meno definitivamente costretto in panchina. Eppure per il brasiliano sono stati spesi parecchi soldi poco più di un anno fa e anche per lui, anche se fosse solo come rincalzo e non come attore principale, vale lo stesso discorso fatto per il giovanissimo collega croato: in quest’Inter così schiava delle proprie ansie e delle proprie paure e, soprattutto, incapace a trovare con regolarità la porta avversaria, il miglior Profeta sarebbe oro colato grazie alla sua capacità di passaggio e alla sua visione di gioco (tra l’altro nessuno in rosa può vantare la medesima ambidestria e un tiro anche solo paragonabile a quello dell’ex Lazio, tolto forse il solo Guarín). Inoltre l’ex Lazio è un leader silenzioso ma carismatico, che sempre più spesso sta cercando di incitare i suoi alla riscossa: in un’Inter così dimessa, anche solo il tentativo di rialzare verbalmente la cresta è sempre apprezzabile. La squadra, inoltre, ha difficoltà notevoli anche nella conservazione difensiva del possesso, fase di gioco nella quale Hernanes è maestro: che una migliore capacità di gestione delle partite – e dei momenti diversi che queste attraversano – passi anche da una rivalutazione del numero 88?
Infine, ultimo ma non per importanza, Lukas Podolski. Il tedesco, dopo un avvio che faceva ben sperare, ci ha messo relativamente poco tempo a perdersi completamente (senz’altro la confusione sul modulo di base da adottare non ha semplificato il suo inserimento in squadra, considerando anche il cambio di paese, cultura e campionato). Accantonato il 4-2-3-1 anche a causa dei limiti fisici palesati dall’ex Colonia, di fatto Prinz Poldi ha trovato spazio solo grazie al turn-over garantito dall’Europa League (finché c’è stata) e s’è trovato ad agire da seconda punta e più vicino alla porta, in una posizione che, secondo ottime analisi fatte al momento del suo sbarco a Milano, avrebbe teoricamente dovuto giovargli e riscattarlo dal primo momento di appannamento qui in Italia. E invece no. Poldi non ha ancora segnato, ha giocato stabilmente titolare per nemmeno un mese e ha visto il campo da subentrante persino contro il Cesena (regalando però al pubblico la sua miglior prestazione recente), nonostante la gara coi romagnoli fosse esattamente in mezzo a due impegni di coppa. Fin qui, l’esperienza milanese di Podolski è quasi interamente da cestinare però, in questo finale di stagione a cui resta da dire ancora così poco, può sempre riscattarsi e mostrare il suo vero io, quello intravisto contro la Juventus a Torino e per larghi tratti contro il Genoa. Siamo alla terza ripetizione del concetto: se l’Inter ha un bisogno quasi disperato di giocatori che segnino, chi meglio di una punta può provvedere alla necessità? Anche perché, mi sia consentito, vedere un giocatore così titolato e dall’indubbio palmarès internazionale ridotto in questo stato fa veramente male.
Tirando le somme, dunque, un finale di stagione accettabile e ben augurante per il futuro passa anche dal riscatto di questi tre giocatori che, per motivi diversi, alla vigilia della stagione o al momento dell’acquisto, parevano poter essere in grado di far fare al Biscione il salto di qualità che ci si attendeva quest’anno. Come si dice in questi casi, la speranza è l’ultima a morire.