EDITORIALE – Habemus Kondogbiam!
Il nostro abituale editoriale del lunedì oggi riguarda Geoffrey Kondogbia, autore del gol partita contro il Torino e protagonista di un'ottima prova al di là della rete (comunque fondamentale). La storia di un calciatore francese ancora molto giovane e pagato tanti soldi che, però, ha bisogno dell'unica cosa che nessuno sembra volergli dare: il tempoBidone, strapagato, lento, inutile, oggetto misterioso, inadatto, sopravvalutato: ecco uno stringato riassunto (non esaustivo, ovviamente) di quanto è stato scritto di Geoffrey Kondogbia in questo primo scorcio di stagione. Non da tutti, a onor del vero: c’è sempre stata anche una fetta di giornalisti e tifosi che ha preferito aspettare di avere sufficiente materiale a disposizione sul francese prima di pronunciarsi in maniera categorica, così come c’è stato chi – dotato di sufficiente buonsenso – s’è sforzato di trovare spiegazioni (spiegazioni, non alibi: quella è un’altra cosa) al rendimento non sempre eccelso dell’ex centrocampista di Siviglia e Monaco.
S’è parlato di adattamento al campionato italiano, di ambientamento da rifinire in una città nuova non proprio semplicissima (Milano) e in un Paese nuovo per lui nonostante sia già alla seconda esperienza all’estero della carriera a soli ventidue anni ma s’è parlato poco (e quasi sempre superficialmente) del nuovo approccio che inevitabilmente ha dovuto adottare alla preparazione fisica estiva, tarata ad hoc sulla Serie A, così come in pochissimi si sono perlomeno chiesti quanto tempo avesse bisogno un elemento col suo fisico a entrare in forma.
Va infatti ricordato che un giocatore di questa stazza mediamente tende a entrare in forma in autunno inoltrato: vero è che si tratta di un discorso trito e ritrito in termini generali – quanto spesso abbiamo sentito le manfrine sulla facilità a entrare in condizione dei brevilinei e sulle difficoltà dei longilinei? – ma che raramente viene applicato poi ad personam una volta che si ha in mano un “materiale giocato” sufficiente, di solito a causa della preponderanza dei risultati e del rendimento – nel senso del voto sulle pagelle dei quotidiani del lunedì.
Ecco, Kondogbia è la prova vivente che questi discorsi hanno invece un peso molto reale: chi lo conosce già da qualche anno ha scritto in lungo e in largo che raramente è entrato in forma prima di novembre e questa sua necessità di tempo e spazio in squadra (per incamerare minutaggio atto a un miglioramento costante della condizione fisica) è già una buona spiegazione al perché non abbia ancora inciso come ci si aspettava prima ancora di tirare in ballo elementi come l’adattamento al calcio italiano o l’ambientamento in una nuova realtà (che pure sono validi argomenti).
L’aumento del suo peso specifico in campo visto ieri a Torino, poi, oltre a essere motivato da questo argomento preliminare, è spiegabile anche con la situazione tecnico-tattica creata dagli schieramenti a specchio di Inter e Toro: come già scriveva quest’estate Daniele Manusia, il numero sette nerazzurro migliora il suo rendimento quando si riduce la porzione di campo in cui deve giocare. In parole povere, il 3-5-2 disegnato da Mancini e attorcigliatosi contro lo stesso identico schema attuato da Ventura, ormai un marchio di fabbrica granata, ha ingolfato sufficientemente la sfera d’influenza di Kondogbia al punto che il calciatore francese s’è trovato nelle condizioni a lui più congeniali per esprimere il suo gioco. Il gol è poi stato la ciliegina sulla torta della sua ottima prestazione.
Poi resta indubbio che il buon Geoffrey deve ancora migliorare molto in vari aspetti: nonostante sia naturalmente portato a correre in avanti o comunque a smarcarsi dopo aver dato via il pallone, a oggi l’ex Monaco non è ancora una mezzala in grado di attaccare seriamente l’area avversaria con dei movimenti senza palla efficaci. Allo stesso modo, manca ancora un’intesa oliata coi compagni (comprensibile, peraltro, e forse unita a un’insicurezza che ancora lo spinge a buttare via qualche giocata di troppo con sufficienza, magari per la troppa ansia di liberarsi del pallone. Del resto, lo stesso Mancini l’ha definito «Timido e sensibile»).
Ora, tutto quel che bisogna sforzarsi di fare è attendere Kondogbia e aspettare che si esprima al suo meglio prima di dare giudizi, sia positivi sia negativi, troppo affrettati. Il giocatore, ieri, ha dato un primo ed efficace saggio completo di quel che può fare e di quanto ancora possa crescere: un segnale incoraggiante e al tempo stesso confortante, considerando che il francese è stato l’investimento più grosso degli ultimi anni nonché una delle voci più fuori dal coro (in quanto a rendimento effettivo rispetto alle attese) di questo inizio di stagione nerazzurro.
La situazione, insomma, non può che migliorare: Kondogbia sarà sempre meglio inserito nelle dinamiche di gioco e conoscerà sempre più a fondo i compagni così come anche le sue condizioni fisiche cresceranno. Quando ci saranno finalmente tutte le condizioni migliori perché il numero sette si possa esprimere al massimo delle sue potenzialità lo giudicheremo, finché restiamo in sua attesa, però, abbiamo scoperto che lui vuole prendersi quest’Inter (in questo senso, il messaggio mandato ieri è inequivocabile). Ed è già molto così, in realtà.