EDITORIALE – I rischi dell’altitudine
Eppure si avrebbe bisogno di ripassarlo, talvolta. O, davvero, è passato così tanto tempo dall’ultima volta? Non è che stare in alto, in montagna come in classifica di Serie A, sia poi facilissimo, specialmente quando si è direttamente in vetta: prima di tutto, lassù vivono tanti avvoltoi, desiderosi di vederti capitolare il prima possibile, quanto […]Eppure si avrebbe bisogno di ripassarlo, talvolta. O, davvero, è passato così tanto tempo dall’ultima volta? Non è che stare in alto, in montagna come in classifica di Serie A, sia poi facilissimo, specialmente quando si è direttamente in vetta: prima di tutto, lassù vivono tanti avvoltoi, desiderosi di vederti capitolare il prima possibile, quanto meno per esclamare: «Te l’avevo detto, io, che non durava».
Ma, più ancora degli uccellacci, il rischio maggiore per chi si trova a guardare il mondo dall’alto in basso senza che ne sia preparato è – da che mondo è mondo – quello del delirio di onnipotenza. I greci hanno parlato di piume e di cera, di raggi del sole troppo caldi e di altitudini eccessive, di labirinti e di fughe aeree per esprimere questo concetto nel modo più chiaro possibile: avete presente Dedalo e Icaro? Ecco, qualcosa del genere.
I tifosi nerazzurri non possono e non devono cedere alle sinuose sirene (tanto per rimanere in area di miti greci) che cantano le virtù della loro squadra del cuore indugiando su di una apparente invulnerabilità: le giornate trascorse sono appena sedici, mancano ancora due gare, una di campionato e una di Coppa Italia, prima della pausa invernale; l’Inter non ha ancora fatto assolutamente nulla. Sì, è partita bene e adesso è in vetta, d’accordo, ma siamo a 90’ dal termine del campionato per questo anno solare 2015, non della stagione (anche se c’è chi ci fa su titoli come se contasse qualcosa, i punti fatti entro un qualunque arco temporale che non sia quello di una stagione canonica contano meno di zero).
In sintesi, è pericolosissimo pensare che adesso l’obiettivo sia lo scudetto: il bersaglio di questa stagione è e resta la qualificazione alla prossima edizione della Champions League, senza se e senza ma. Questo il dato fondamentale da non perdere di vista e l’allenamento mentale a pensare che l’attuale condizione di classifica sia transitoria tornerà molto utile non appena ci sarà uno stop inatteso perché, a volare in alto con la fantasia, si rischia poi di farsi un male del diavolo quando tocca tornare coi piedi per terra. Se il Biscione dovesse terminare secondo non ci sarebbe da parlare nemmeno per un minuto di fallimento o di delusione.
Poi, sia chiaro, l’appetito vien mangiando e se, in vista del rush finale, l’Inter dovesse essere ancora in pole position per l’assegnazione del tricolore, farci la bocca – solo e soltanto a quel punto, ripetiamolo – non sarà certo un peccato mortale, anzi.
Ma parlare di scudetto adesso non ha alcun senso, se non quello – temerario – di rischiare seriamente il capogiro da vertigini: Roma non è stata costruita in un giorno e la banda Mancini stessa ha ancora bisogno di lavorare molto duramente per arrivare al livello adamantino di sicurezza in sé stessi che serve ad affermarsi. Di più: parlare anche solo di fuga, oggi, è abbastanza ridicolo: quattro punti non sono nulla, un margine che può sparire dall’oggi al domani senza nemmeno perdere (basta fare due pareggi di fila e veder vincere per due turni consecutivi le avversarie per assistere a un eventuale affiancamento).
Certo, la speranza di essere protagonisti di un anno memorabile c’è ed è giusto che sia così ma un conto è la speranza, il sogno, un altro la convinzione assoluta (che, come ben sappiamo, può diventare facilmente ossessione, con tutto ciò che ne consegue). In pratica è forse più sensato, per quanto snervante, armarsi per controbattere a tono le critiche più o meno ingiuste che continuano ad arrivare – alcune delle quali sfiorano l’idiozia, siamo d’accordo – che non bearsi della lettura delle elegie del momento che, pure, spuntano come funghi. Il continuo confronto con un approccio, se non critico, perlomeno imparziale permette di mantenere una limpidezza di giudizio che il consumo compulsivo di complimenti non consente e, soprattutto, aiuta tantissimo a rimanere coi piedi ben piantati per terra (dove è meglio che stiano loro, piuttosto che altre parti meno nobili del corpo).
Anche perché in tutto questo parlare di scudetto stiamo quasi dimenticando che domani ricomincia la Coppa Italia che, tutto sommato, proprio come accadde alla prima Inter di Mancini, non sarebbe nemmeno un viatico malvagio per una strada che, in futuro, ci si augura costellata di successi.
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