EDITORIALE – Il 2016 che è stato e il 2017 che sarà
Il consueto editoriale del lunedì sera stavolta in inedita veste domenicale per via del primo dell'anno. Il 2016 in breve e il 2017 che aspettiamo: l'analisi e la visioneNegli ultimi giorni di dicembre o nei primi di gennaio è praticamente impossibile scampare ai temibilissimi bilanci sull’anno che è appena trascorso. Ovviamente lo è altrettanto scampare alle ugualmente classiche previsioni su cosa succederà in quello che deve venire. Noi, dal canto nostro, non ce la siamo sentita di fare eccezione e quindi ecco anche la nostra versione del più che tipico resoconto da fine dell’anno solare, stavolta con tanto di riflessione incorporata su un 2017 appena iniziato (così nessuno si stanca a leggere due articolesse invece che una sola).
Prima di immergerci a capofitto nel 2016 a tinte nerazzurre, però, val la pena ricordare che quello appena trascorso è probabilmente uno degli anni più intensi dal 1980. Ce lo si potrebbe dimenticare perché i risultati sportivi insabbiano tutto ciò che gli si accosta nel breve termine ma il passaggio di consegne tra Thohir e Suning è stato un evento ancor più epocale rispetto a quando la famiglia Moratti cedette la maggioranza delle proprie quote allo stesso magnate indonesiano. Come contorno a questa difficile transizione sono successe anche tante altre cose, magari più attinenti al campo e infinitamente più “visibili”, però è l’insediamento della proprietà cinese la chiave di volta del 2016 – e, probabilmente, dell’intera epoca che conosciamo come “post Triplete”. Basterebbe una svolta del genere a rendere denso un anno intero ma, come ben sappiamo, ad Appiano Gentile e dintorni è successo anche molto, molto altro.
Teoria del caos
A pensarci bene, il 2016 dell’Inter è stato vissuto all’insegna del caos. La confusione ha regnato sovrana quasi in ogni momento, fin dalle primissime battute. Un anno quasi esatto fa c’era chi parlava di uno spogliatoio in subbuglio, di uno Jovetić ribelle, di un’Inter prima in classifica ma con ben più di uno scheletro nel vestibolo. La solita presunta #crisi di metà stagione, insomma, acuita dal fatto che la Benamata aveva brillantemente perso l’ultima uscita pubblica del 2015. Se fosse vero o no tutt’ora non si sa ma, certamente, il presunto scoop de La Gazzetta contribuì a rialzare il polverone mediatico sull’allora formazione di Mancini dopo che già per almeno un bimestre s’era dissertato sul tema degli 1-0 senza costrutto.
In sintesi: il 2016 iniziò subito con una bella confusione attorno alla squadra. Questa, poi, è penetrata anche all’interno del sistema creato dal Mancio, inceppando i pochissimi meccanismi nerazzurri, fin lì sì sparuti ma anche efficaci. Di fatto, da quella situazione non si è più usciti, se non con singole partite particolarmente ben giocate che si sono dimostrate isolati lampi nel buio. E tutto questo per quanto riguarda esclusivamente il campo perché fuori dal rettangolo verde c’è stato tantissimo altro. Come non pensare ai tre allenatori che si sono succeduti sulla panchina tra l’inizio di agosto e la metà di novembre? Contando anche il traghettatore Vecchi sono stati ben quattro. Ecco, quando si pensa a una guida tecnica ordinata, non si pensa a situazioni tipo quella vissuta fin qui dall’Inter 2016/2017.
Per quanto riguarda invece l’assetto societario la situazione è stata (e forse ancor oggi è) persino più intricata. Chi comanda davvero in casa del Biscione non è stato chiaro per mesi, anzi, per anni. Già con il buon Moratti non è che la società nerazzurra fosse sinonimo di stabilità ed efficienza, dopo l’arrivo del tycoon indonesiano la situazione è totalmente degenerata e ha partorito un organigramma più bifronte di Giano che non è mai stato semplificato né reso efficace come invece dovrebbe essere. La transazione che ha poi portato il Biscione nelle mani di Suning ha ulteriormente complicato la questione, rendendola quel groviglio inestricabile che ha mostrato tutti i suoi limiti negli ultimi sei mesi.
Forse adesso si intravede un filo di chiarezza in più o forse ancora no, lo scopriremo solo vivendo. Di sicuro, fino a pochissimo tempo fa, non c’era una chiara linea di comando, fine della questione. La prova diventa palese oltre ogni ragionevole dubbio guardando soprattutto alla comunicazione. Mancini è stato prima pubblicamente confermato e poi salutato, in una prima edizione del patetico film andato in scena anche sul finire dell’esperienza de Boer – vero capolavoro dell’avanspettacolo nerazzurro recente –, prima difeso pubblicamente e a spada tratta da Ausilio e Bolingbroke per poi essere esonerato quattro giorni dopo (venendo seguito a ruota nel mondo della disoccupazione anche dal dirigente britannico, dimissionario). Da anni l’Inter manca di un riferimento dirigenziale per ciò che concerne la comunicazione dall’interno all’esterno: è un ruolo che Ausilio sta svolgendo ad interim assieme a Zanetti ma in teoria non sarebbe quello il loro mestiere.
Infine come non citare la sovrapposizione di ruolo che si è vista tra Kia Joorabchian e Piero Ausilio stesso? Non è chiaro chi fa il mercato né chi emetta il mandato per farlo. A maggior ragione, non si è ancora capito chi scelga gli obiettivi, i giocatori da comprare. Anche in quest’ambito sono previste schiarite ma è innegabile che ci sia tutto meno che un sistema logico, dietro. Almeno per ora.
Come abbiamo visto in rapidissima sequenza, il 2016 dell’Inter è stato forgiato da mastro caos in persona, il quale ha usato un crogiolo di superficialità e approssimazione per generare quella sorta di guazzabuglio terrificante che è la situazione attuale. In ognuna delle poche occasioni – e sorge il dubbio che accadesse per mera entropia – in cui l’Inter sembrava assumere perlomeno una parvenza di forma ordinata ecco arrivare un trambusto che puntualmente scompaginava ulteriormente le carte, ripristinando il disordine di partenza. Molto poco da (aspirante) top club.
Grandi speranze
Per l’immediato futuro, in realtà, il popolo interista nutre discrete aspettative, per usare un eufemismo. In principio sono stati gli acquisti di gli acquisti di João Mário e Gabriel Barbosa, poi sono arrivate le rassicurazioni sull’ingenza delle risorse economiche di Suning, quindi le dichiarazioni bellicose degli Zhang e, infine, la concreta prospettiva di salutare definitivamente la mannaia del Fair Play Finanziario già la prossima estate. Tutto ciò ha risvegliato la volontà di potenza del popolo della Benamata, pronto a una conversione al socialismo reale cinese da un lato e a rivaleggiare a colpi di portafogli con sceicchi e magnati russi dall’altro.
Una volontà di potenza che, ovviamente, si dovrebbe manifestare attraverso il mercato, la fiera dei sogni facili per antonomasia. Ancora va capito su chi si voglia investire, quale sarà il profilo della guida tecnica (cioè se Pioli resta o no), se ci sarà una qualificazione europea a breve… Ma, nel dubbio, la tifoseria non fa altro che sognare fenomeni assoluti e campioni affermati sentendosi finalmente, anzi, di nuovo libera dopo stagioni intere in cui il vitello grasso era solo un ricordo e si campava di sciape minestrine.
Del resto, il clima da ristrettezze economiche vissuto per gran parte degli ultimi sei anni aveva molto fiaccato lo spirito del tifoso nerazzurro, passato anche piuttosto bruscamente da un centrocampo con Cambiasso, Thiago Motta, Stanković e Sneijder a Mudingayi, Gargano, Pasa e Schelotto. La mediocrità in cui il club pareva essere sprofondato dopo l’aver rinverdito nel modo migliore possibile i fasti della sua epoca più bella e, soprattutto, cento anni di storia gloriosa e – perché no – scialacquatrice non aveva ridimensionato l’ego di nessuno ma solo inacidito i cuori e incattivito il tifo. D’altra parte è normale quando sei abituato perlomeno a competere per certi traguardi (e a farlo con un parco giocatori adeguato) mentre invece ti ritrovi a vivere il miraggio stentato di un podio e a pensare a come far coesistere Taïder e Ricky Álvarez.
In definitiva, si può dire che gli interisti hanno dimenticato in fretta il Triplete e vissuto sempre peggio il progressivo ridimensionamento che ha interessato tanto i risultati sul campo quanto gli investimenti. La delusione non ha fatto altro che caricare a molla la voglia di rivalsa della gente della Beneamata e Suning è stata la chiave perduta per riaprire il Jack-in-te-box nerazzurro, riemerso dalla sua scatola di cupezza con un vigore anche esagerato, se si considera la situazione presente. Del resto, però, è inevitabile che si scateni un meccanismo simile in una squadra che negli ultimi dieci anni ha avuto un rendimento a dir poco schizofrenico, passando dalla vittoria di Champions al nono posto nel giro di appena tre stagioni.
Ciò a cui bisogna stare molto attenti adesso, però, è l’eccesso di euforia. Ci ricordiamo tutti delle valutazioni fatte sul mercato nerazzurro il primo settembre, con una stragrande maggioranza dei critici, dei tifosi e degli osservatori rimasta clamorosamente abbagliata dall’apparente magniloquenza del doppio colpo João Mário-Gabriel Barbosa di cui sopra. Beh, dove sta l’Inter in classifica? Che basi ha posto per un progetto tecnico convincente? Quali sono le prospettive per l’anno prossimo? Perché si sente ancora puzza di “anno zero”?