EDITORIALE – Il 2017 che è stato e la sua eredità
L'editoriale che ripercorre l'anno passato tra gioie (non troppe), dolori (diversi e alcuni molto intensi), errori e trovate geniali. Un anno intricato e molto intenso, a doppia faccia, difficile da giudicare e tutto sommato altrettanto complesso da metabolizzare ma non privo di qualche lezioneIl 2018 non è iniziato da nemmeno un giorno e, smaltiti gli alcolici, i dolci, le ore piccole e i trenini brigittebardotbardot tipici della ricorrenza, è inevitabile approcciarsi all’ultima delle tradizioni di Capodanno: lo sguardo all’anno appena trascorso condito dal sempiterno bilancio. Il quale, nel caso dell’Inter, è complesso, intricato e soprattutto bipolare come solo la Beneamata (il più delle volte purtroppo) sa essere.
E no, alla fine della fiera non è poi così bello essere innamorati di una squadra pazza, cari fanatici dell’idea romantica e crepuscolare di un’Inter geniale ma incostante che, un giorno, saprà finalmente azzeccare il giro giusto ed essere solo geniale – il cui sotto testo, appunto, sottende un immediato ritorno alla consueta pazzia nel secondo successivo al casuale ma artistico trionfo. Ecco, facciamo pure di no, grazie. Perché anche questo genere di retorica, per quanto originariamente innocente, adesso aiuta e sospinge lo stanco trascinarsi del cliché nerazzurro per cui a una certa si perde la brocca e tutto va in vacca: lo stesso Spalletti ha chiaramente fatto capire che questo terrificante trend va invertito, punto e stop. Retorica della “pazza Inter” inclusa. Pax vobiscum.
Ma torniamo al nostro resoconto finale e inappellabile sul 2017 del Biscione che, come detto, è stato un anno bipolare: drammaticamente ansiogena, desolante e inutile la prima metà quanto solida e a tratti esaltante la seconda. Non solo: è stato anche il primo anno intero con la nuova proprietà cinese, per più di un verso rivelatasi molto più “normale” di quanto credessero – e alla fine soprattutto sperassero – tantissimi tifosi interisti, se non addirittura la quasi unanime maggioranza. Ma procediamo con ordine.
Il 2017: la storia
Ab originem, il 2017 aveva portato con sé un leggero, fragilissimo entusiasmo per il nuovo corso nerazzurro, con l’ambientamento definitivo del buon Stefano Pioli nonché la cessione di alcuni soggetti ormai invisi alla piazza come Felipe Melo o Stevan Jovetić (e quella momentanea di Ranocchia, anche lui sempre al centro del metaforico lancio di pomodori dei tifosi). L’arrivo di Gagliardini, poi, aveva saputo riscaldare il cuore di molti, sebbene l’impatto positivo del bergamasco sulla nuova tifoseria sia stato tutt’altro che immediato: quasi tutto il primo mese è stato sostanzialmente un test per capire se fosse o meno degno dell’affetto della sua nuova tribù, in quanto non proprio un grande nome o un obiettivo di mercato sognato dalle folle. Tuttavia, alla fine del rodaggio, il buon Gaglia era stato accettato, anche grazie all’ottimo rendimento di squadra palesato da dicembre 2017 fino a metà marzo quando, dopo l’insipido pari col Torino, l’Inter è definitivamente crollata.
Dopo il deludente 2-2 colto in casa del Toro, infatti, sono arrivati i due KO contro Sampdoria e Crotone, seguiti dal pareggio col Milan, arrivato com’è ormai notorio solo al 97’. A quel punto la stagione viene del tutto bollata come finita (e probabilmente anche fastidiosa) dal gruppo e l’ambienta si surriscalda: ad assurde polemiche extra campo si accosta la poco piacevole consapevolezza che la Beneamata stia diventando carne di porco in campionato per chiunque si dia la pena di combattere un minimo per la vittoria (salvo poi vincere le ultime due, completamente inutili, partite della Serie A edizione 2016/2017). Tra le vittime dell’annata finisce anche il povero Pioli, chiamato in corsa a gestire un progetto non suo e immolato sull’altare di un gruppo capriccioso e inconcludente a tre giornate dal termine: l’ex tecnico della Lazio non ha alcuna colpa né, tanto meno, grande responsabilità per il tracollo del collettivo però viene comunque sollevato dall’incarico (i più maligni dicono tanto per fare qualcosa, i meno cattivi sostengono invece che gli si volesse evitare una walk of shame sproporzionata).
L’ambiente, depresso, deluso e profondamente ferito, si rivolta sdegnato rispetto alla scadentissima stagione a cui ha appena assistito esprimendo soprattutto sui social la propria contrarietà al tutto e la notizia ufficiale dell’ingaggio di Luciano Spalletti, avvenuto a inizio giugno dopo breve trattativa, non è che passi sottotraccia ma, certamente, non fa troppo piacere a nessuno, se non a qualche tifoso qua e là già persuaso del valore assoluto del tecnico toscano. È probabilmente il momento più buio dell’anno in assoluto, con un interesse per la squadra prossimo allo zero e, di fronte, persino il miraggio di uno smembramento: Perišić sembra essere già ceduto, su Icardi e Handanović paiono addensarsi pretendenti come nemmeno le nuvole nere nei giorni di pioggia torrenziale (ma lo stesso si può dire di qualunque giocatore anche solo vagamente appetibile) e i rumour in entrata parlano solo di under 21 od onesti mestieranti. Le prime voci parlano di un’Inter a rischio rivoluzione al ribasso a causa del mancato ingresso in Champions.
Nel giro di un paio di settimane, però, le cose sembrano cambiare radicalmente in parallelo all’alzarsi della temperatura: Sabatini viene scelto dalla proprietà come referente tecnico per Inter e Jiangsu, Spalletti si presenta nel miglior modo possibile nelle sedi formali quanto – e forse soprattutto – in quelle informali mentre i media iniziano a parlare di una rinnovata “volontà di potenza di Suning” che dovrebbe tradursi in massicci investimenti sul mercato. Iniziano a circolare nomi di giocatori molto forti, parte la campagna abbonamenti #InterIsComing su internet e i tifosi entrano in fibrillazione.
Le cose sul mercato, però, andranno in maniera molto diversa rispetto a quelle che erano le attese: Borja Valero, Vecino, Padelli, João Cancelo, Dalbert, Škriniar e Karamoh non sono per forza orribili acquisti ma il pubblico sognava Vidal, Nainggolan e Di María e la delusione diventa palpabile. Contestualmente con la sfarzosa campagna acquisti del Milan, i tifosi ripiombano nel più cupo pessimismo dopo essere volati altissimo con la fantasia e la nuova stagione parte decisamente in tono minore, senza che nessuno si aspetti granché.
E invece Big Luciano fa il miracolo: gli ultimi tre mesi sono più cronaca che storia e non c’è bisogno di ripercorrerli troppo a lungo, anche se i tre inciampi di fila con Udinese, Sassuolo e Milan (in Coppa Italia) hanno un po’ raffreddato quell’entusiasmo che stava montando lungo il corso del girone d’andata grazie al rendimento completamente fuori programma del Biscione, che ha corso alla velocità di 2,5 punti per partita per le prime sedici giornate. L’obiettivo era e resta la Champions League ma una prima metà di campionato così convincente non la si viveva da anni, anche perché le basi gettate dalla squadra sembrano sufficientemente solide per durare qualcosa più del battito d’ali di una farfalla anche se, probabilmente, serviranno tra i 75 e gli 80 punti per assicurarsi un posto in zona UCL al cessare delle ostilità.
Una lezione da tenere a mente
Si diceva di bipolarismo, all’inizio, ed è verissimo: una prima metà d’anno vissuta prima con la speranza cieca di chi è vicino al limite della sopportazione e poi con la rassegnazione arrabbiata di chi sa di aver gettato al vento una stagione, in generale in maniera anche pesantemente negativa; di contro c’è pure una seconda metà cominciata con una delusione quasi asettica e poi cresciuta esponenzialmente in convinzione e soddisfazione fino ad arrivare a una punta di paura frammista ad ansia per gli ultimissimi risultati dell’anno solare ma che, tutto sommato, non intacca il feeling positivo montato tra agosto e dicembre. Prima male poi bene, dunque. Anzi, prima molto male e poi decisamente bene, per rimarcare la disparità emotiva tra le due parti dell’anno.
Al netto dell’implosione dovuta all’incapacità della squadra di mantenere la concentrazione quando la qualificazione in Champions è diventata più o meno palesemente irraggiungibile vista nello scorso campionato, si può dire che il 2017, iniziato sulla coda dell’epilogo della vicenda de Boer e con la risoluzione di Suning di tenere costantemente in orbita Inter un referente affidabile (il buon Steven Zhang), ci ha confermato che una società solida è sempre la base per una squadra che funziona. Solida ma non necessariamente evidente, anzi. Ancora meglio: presente ma non eccessivamente esposta, capace di intervenire in pubblico solo quando serve ma che dà invece l’impressione di avere in pugno ogni cosa dietro le quinte.
I primi passi in questo senso sono appunto arrivati dopo la conclusione della brevissima egida del tecnico olandese, sfortunata, brutta, infelice e incomprensibile per più di un motivo. Poi è arrivata anche la figura di Sabatini a corroborare una risoluzione giusta della proprietà (cioè l’affiancare a Zanetti il giovane Steven) e, infine, la scelta di un tecnico carismatico come Spalletti ha completato l’opera. Particolarmente importante è stata la scelta di assumere l’ex DS della Roma: per quanto non sia ufficialmente parte dell’organigramma nerazzurro è l’uomo forte attraverso cui la proprietà si informa sulla situazione interna nerazzurra e che media le decisioni che vengono prese in Cina con la realtà italiana, affiancando un po’ Steven Zhang, un po’ Ausilio, un po’ Spalletti nella salvaguardia dell’interesse sportivo interista.
Oggi Zanetti e Ausilio non sono più soli di fronte alle intemperie che possono causare i risultati sportivi e questo è un aspetto centrale della questione nonché la grandissima e sottovalutata conquista di quest’ultimo anno: la costruzione di una società essenziale, fatta di poche persone ma efficace nelle risoluzioni e decisa nelle sue azioni. Certo, qualche errore anche piuttosto pesante la società l’ha fatto (diciamo che la gestione della comunicazione relativa alla presunta “rinascita interista” della passata estate vale per tutti) ma, tutto sommato, se si pensa che un anno e mezzo fa e, per estensione, lungo tutta l’era Thohir una società si distingueva a stento, non è poco.
Certo, servirà ancora una buona dose di rodaggio ma non bisogna dimenticare che l’organo senziente preposto a vidimare ogni scelta e ogni operazione è ancora lì a Nanchino e la comunicazione con lo stato maggiore cinese non sarà mai né facile né agile. Chiaramente, dei risultati sportivi brillanti potrebbero influire parecchio sugli umori delle parti in causa e aiutare parecchio…
Le certezze
…o, in altre parole, l’eredità più tangibile dell’anno appena passato, al netto della conformazione societaria di cui sopra (più che altro perché, ai fini della nostra narrazione, con “certezza” intendiamo qualcosa di più affidabile di un organigramma in essere da sette mesi).
La prima è ovviamente Luciano Spalletti, capace una volta di più di dimostrarsi uno dei migliori tecnici italiani nonché uno dei primi tre del campionato (e almeno da Top 20 europea, siamo sinceri). Certamente ha tutt’ora una foltissima schiera di detrattori (che, tuttavia, spesso e volentieri lo discutono più per le capacità di rapportarsi ai media e, in generale, agli ambienti in senso lato più che per la sua competenza tecnica) ma è innegabile che l’abbinamento Spalletti-top club, perlomeno in Italia, porti direttamente dalle parti del podio o immediatamente ai suoi piedi. Come dimostrano i risultati di quest’anno rispetto a quelli della stagione passata, il pilastro principale su cui l’Inter al momento sta costruendo il suo progetto è l’uomo di Certaldo.
La seconda eredità del 2017 (ma anche del 2016, del 2015, del 2014 and so on) è invece – e ovviamente – Mauro Icardi. Il capitano nerazzurro, al di là dei palesissimi meriti tecnici che meriterebbero un buon 5.000 parole a parte, sembra finalmente autorevole al punto giusto anche nello spogliatoio, finalmente legittimato e non solo portatore random di fascia. Certo, gli altri leader del vestibolo non sono scomparsi ma l’importanza sul campo di Maurito, dei suoi gol, la sua etica professionale e il suo ingresso nel prime della carriera contemporaneamente al progressivo appassimento – inevitabile, è questione di età – degli altri guru della squadra lo hanno eletto come principale riferimento per tutti i giocatori, specialmente i più giovani (ma non solo, almeno a giudicare dal rapporto che Icardi ha con Borja Valero). Non si sa cosa sarà del futuro del 9 ma la sensazione è che lui sia ben contento di rimanere per sempre a Milano e all’Inter e, nel caso in cui la Beneamata riuscisse finalmente a riconquistare la dimensione che le compete, la cosa parrebbe dover essere quasi automatica. Ah, poi c’è quella piccola, trascurabile questione per cui il centravanti argentina segna sempre di più ogni anno che passa…
L’amore del pubblico, specie quello da stadio, è la terza e ultima certezza che si eredita dall’anno passato. Non è scontato. Anche negli anni più bui San Siro ha sempre risposto presente agli eventi nella stagione percepiti come cruciali (anche se magari non così rilevanti ai fini della classifica) e non solo ma l’affluenza degli ultimi mesi del 2017 certifica una volta di più che, davvero, a volte basta fare una buona partenza di campionato per ricevere dalla tifoseria persino di più di quel che le si dà a livello di risultati. E questo accade perché c’è tantissima fame di Inter decente (e magari vincente) e, conseguentemente, anche la voglia di viverla e toccarla.
IL BACIO HOT DI WANDA E MAURITO PER FESTEGGIARE IL 2018!