EDITORIALE – Il moto ondoso del tifo interista
Ci risiamo, eccoci di nuovo immersi nel clima del campionato di calcio, con tutti i pro e i contro del caso. Dopo due giornate di campionato l’Inter ha già mostrato entrambi i suoi volti: quello vincente di Pescara e quello perdente offerto in pasto alla Roma di Zeman. Sugli spalti tifosi che, non più tardi di una settimana fa, si accalcavano per poter avere un posticino sul carro dei vincitori, dopo un’estate passata a lanciare ortaggi contro quello stesso carro. I motivi erano semplici, una vittoria in campionato con un risultato convincente, un mercato che aveva riservato tre colpi in rapida successione, infine un ritrovato clima sereno nello spogliatoio con la scommessa Cassano. TUTTO IN UNA SETTIMANA – Ma ecco che qualcosa nell’ambiente degli interisti “occasionali” è cambiato. Tutti a chiedere a gran voce il vice Milito, un altro terzino, un altro centrocampista: in poche parole un’altra squadra di titolari. I giorni passano e arriva velocemente il fatidico 31 agosto, la data dei botti di mercato dell’ultima ora. Così come era accaduto nell’anno del post triplete, Moratti ha deciso di gustarsi gli ultimi colpi del mercato, comodamente seduto in poltrona, con il portafogli riposto in un luogo sicuro, senza alcuna intenzione di metterci mano. A questo si aggiunge un commovente saluto di Julio Cesar ai tifosi, per la sua imminente partenza verso la nuova avventura in Inghilterra. Già lì i primi rumori iniziavano a sentirsi: “Ma doveva proprio partire?” Un sussurro, che è diventato un boato dopo la prestazione tragicomica offerta in campo dalla accoppiata Castellazzi-Belec. Un elemento che ha aiutato a portare alla seconda partita ufficiale dove i tifosi, con la bocca buona fatta dai risultati vincenti delle gare in trasferta, desiderosi di poter urlare a fine partita l’inno “Amala” a gran voce, perchè a sostegno di una partita conquistata tra le mura amiche. Ma giovedì si è sfiorata la seconda sconfitta, agguantando un pareggio negli ultimi minuti che non è però riuscito a interrompere l’inesorabile crollo nel baratro dei tifosi pronti a scendere dal carro per tornare a inveirci contro. Ultima occasione, la partita che negli ultimi anni ha caratterizzato il marchio di fabbrica dei successi nerazzurri: Inter – Roma, a San Siro. La squadra fatica a trovare la porta, la difesa scricchiola, il risultato è pesante: sconfitta per 3-1, la goccia che fa traboccare il vaso che sprigiona un’ondata distruttiva che demolisce tutto ciò che incontra. SOLTANTO UNA SETTIMANA – Il panorama descritto non è una novità per l’Inter, ciò che preoccupa è che solitamente questo accade nel corso di una stagione, o passando da una stagione vincente a una disastrosa. Questa volta invece tutto è accaduto in soli 7 giorni. Troppo poco non solo per criticare una squadra per molti versi ricostruita, ma anche per osannarla dopo soltanto una vittoria. Il tifoso dovrebbe mettere i panni della razionalità, una volta soltanto, quanto basta per cercare di comprendere come sia difficile essere una difesa impenetrabile quando ci si ritrova con centrali che non hanno mai giocato insieme, un portiere che non è il titolare chiamato ad essere ancora più forte di ciò che era 10 anni fa, terzini chiamati ad essere subito, all’esordio, come i più forti del mondo. Non si può chiedere di vedere i giovani, quando al primo errore li si mette in croce, con bordate di fischi. Nessun giocatore, soprattutto quando si parla di un portiere, è mai riuscito ad entrare in campo a partita in corso, in una gara da dentro o fuori, arrivando alla fine osannato sugli scudi. L’UTOPIA DELL’APPLAUSO – Ricomincia così il grande moto ondoso, spesso tempestoso del tifoso medio, freddo, distaccato, perchè questa è la realtà. Sono stato allo stadio, non parlo per sentito dire, le voci che si sentono su internet, allo stadio non ci sono, la curva soffre di un mutismo preoccupante, mentre servirebbe il supporto del dodicesimo uomo in campo, quello tanto invocato dall’osannato Mourinho. E’ forse utopia immaginare un San Siro pieno di sciarpe interiste che cantano a squarciagola l’inno, “Amala” anche dopo una sconfitta, applaudendo i giovani che hanno tentato con tutte le loro forze di strappare un applauso, per evitare di dover assistere ad altri “Coutinho” o “Longo”, costretti a partire per poter esplodere, andando in squadre dove a fine partita, qualsiasi sia il risultato, ci saranno le sciarpe dei colori della propria squadra alzate al cielo, in un ambiente molto più avvolgente di uno stadio dove c’è la corsa a chi arriva prima al parcheggio.